Linea d'ombra - anno VII - n. 35 - febbraio 1989

IL CONTESTO Harold Pinter (foto Rex/Grazia Neri) I personaggi sono infatti appenaabbozzati, privi di nomi propri: vengono elencatiall'inizio come una Giovane Donna, unaGuardia,un Ufficiale, ecc. Gli ambienti dellequattrobrevi scene sono suggeriti attraverso una didascalia ridotta al minimo: l'ambientazione dellaprima scena viene suggerita nel seguentemodo: "Il muro di una prigione". Anche i dialoghi sono scarni, ma comunque caratterizzati da continui echi e ripetizioni, che ci fanno ricordarela presenza del Pinter, poeta delle opereprecedenti. Pinter ha creato così una terra di nessuno, una zona quasi universale che ricorda la GranBre- \ tagna di oggi come anche la terradei curdi,ma che va oltre il tempo e lo spazio rispecchiando la realtà perenne della violenza umana. Ma raccontare oppure leggere la storia di questo popolo non basta. Infatti il racconto rischia di diventare banaie-come hannogià rilevato alcuni critici - in quanto siamo già al corrente dei regimi di tortura nazionalie internazionali di cui si parla nel testo.Perapprezzarla più a fondo, occorre invece assistere come spettatori al susseguirsi di quelli che appaiono come quattro fotogrammi. In un allestimento scenico ci troviamo davanti aun simbolismofisico che Peter Hall-regista dimoltidel lavori di Pinter-aveva già notato nel 1974parlando dell'allestimento di TheHomecoming. Allora Hall aveva previsto un probabile sviluppo del teatro di Pinter nel senso di privilegiare il linguaggio teatrale non verbale, ciòche è avvenuto, in modo sorprendente, con questoultimo lavoro. Ricordiamo che Pinter vanta una certa esperienza d'attore e i suoi lavori - come egli stesso ha rivelato - nascono innanzituttocome immagini alle quali vengono poi aggiunti i dialoghi. In quanto attore, Pinter sa sfruttarela piena potenzialità del corpo del]' attore immerso nello spazio scenico. Nel caso di MountainLanguage, le immagini sceniche sono di grande fona espressiva. Non a caso per la sua regia londinese Pinterha usato un centinaio di comparse per creare un muro umano che funge da muro del carcerenella prima scena. Nella zona antistante si trovala figura immobile di una donna anziana così de32 boledanonriuscire a tener fermala mano mentre con l'altra cerca di aiutarsi. Accanto a lei c'è, per terra, un semplice paniere e una donna giovane l'abbraccia cingendole le spalle. Le due donne non vengono ulteriormente descritte; importanti invece sono le loro rispettive posizioni all'interno del quadro scenico che servono a comunicare la profonda angoscia della loro condizione; rimangono creature senza viso come se ne sono incontrate altre volte nell 'universo pinteriano. La seconda scena, la cui rigida geometria ricorda gli interni dipinti da Francis Bacon, è indicata dall'autore come una stanza degli interrogatori "divisa da una partizione in vetro. Da una parte c'è un prigioniero seduto e dall'altra parte la donna anziana col paniere. Alle spalle di lei una guardia". Questa scena, come quella precedente, è assai stilizzata e rivela, attraverso le posizioni fisiche, i rapporti fra i personaggi e il loro stato d'animo. La scena si evolve con poco movimento, come la prima e lo scarno dialogo è inframezzato da silenzi eritmato da bastonate che la guardia dà alla donna anziana poiché questa non sa esprimersi nella lingua della capitale. La scena, quasi immobile, è orchestrata al suo interno dalle pause e dai silenzi in contrapposizione con il rumore delle bastonate che comunicano con grande forza espressiva la metafora centrale della violenza insita nell'uomo. La terza scena è particolarmente significaSCIENZA 00 tiva in quanto l'immagine iniziale di un uomo incappucciato che è sorvegliato dalle guardie, con accanto la giovane donna, viene improvvisamente immersa nella semi-oscurità. Solo quando le immagini visive sono diventate scure e statiche, due voci possono parlare perun attimo in una lingua diversa- suppongo quella della montagna - che allude all'amore in una primavera lontana. Il discorso comunque viene - bruscamente interrotto dalla ricomparsa sulla scena della cella di tortura e dà un ritorno alla lingua della capitale. L'ultimo quadro presenta il prigioniero della seconda scena coperto di sangue assieme alla madre, entrambi immobili su due sedie. La loro abiezione ci anticipa che il permesso della guardia di poter usare la lingua della montagna non avrà nessun seguito. La madre non parla più, non si muove; la sua linfa vitale si è ormai spenta, e tutto ciò ci viene comunicato attraverso l'immagine scenica. Sono questo quadri scenici quasi immobili che rimangono nella mente: immagini di un drammaturgo maturo che sa usare magistralmente il linguaggio visivo accanto a quello verbale. Alla luce di questa analisi forse Pinter farebbe meglio a mantenere la sua buona abitudine di non parlare della sua arte o di parlare molto poco, poiché i suoi lavori parlano da sé e di sé, in modo efficace, come hanno sempre saputo parlare in questi ultimi trent'anni e in termini tutt'altro che banali. Unconvegno_perMaccacaro e una battagna che continua Renzo Tomatis In un articolo su Sinistra-Destra di qualche anno fa, Marco Revelli faceva notare che destra esinistranon sono concetti assoluti, non riguardano l'identità sostantiva di un individuo ("Il Piccione Viaggiatore"nl, 56-119,1983). Si tratta di concetti relativi, e si può quindi essere, per esempio, di sinistra anche solo in rapporto a qualcuno che si ponga sulla nostra destra. In questo duecentesimo anniversario della rivoluzione francese vale forse la pena di ricordare l'origine di destra e di sinistra, in base a una topografia che solo in un secondo tempo è divenuta topografia e ideologia politica. Per il fatto che destra e sinistra non identificano una qualità intrinseca e immutabile di un individuo si può, come nota Revelli, "mutare connotazione (da sinistra a destra, ingenere) anche rimanendo fermi". Potrebbe essere questa la ragione per la quale molti che un tempo si qualificavano di sinistra, e come tali si sbracciavano per convincere anche i più scettici che era a sinistra che si trovavano, si trovanooradall'altra parte, senza che la loro coscienza rimorda, senza patemi d'animo, senza provare nemmeno un noioso sentimento d'infingardaggine. Poiché sono rimasti fermi, la colpa non è loro, non sono essi che hanno migrato, è la sinistra che si è allontanata. Di fronte alla dilagante massiccia invasione del consumismo eretto a sistema, all'appiattimento del clima culturale che sembra favorire la sola produzione di beni predigeriti e a transito veloce, e all'abbassamento del clima morale oggi nessuno più spera altro, sembra, che divenire ladro di professione invece d'esserlo solo occasionalmente; di fronte a questo paesaggio desolato c'è da domandarsi se esiste ancora in realtà qualcosa che sia giustificato chiamare di sinistra come un tempo, quasi romanticamente, si usava definire. Forse è bene domandarsi a questo punto cosa si intende qui per sinistra. Un abbozzo di defuùzione che si può arrischiare, per citare ancora una volta Revelli, è che sono di sinistra l'atteggiamento e le prese di posizione che possono contrastare quella forza "che è implicita nel potere costituito, che forma la base rocciosa della identità di destra" e lo può in nome di una volontà razionale, appoggiandosi a concetti non sostantivi, ma prodotti dalla ragione, quali per

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==