Linea d'ombra - anno VII - n. 35 - febbraio 1989

ne, affrontando direttamente l'opera di Valéry, liberata dalla sua immagine corrente. "Non bisognava grattare via quello strato di vernice protettiva ogni giorno più spessa, quella ganga solida e dura, ogni giorno più solida e più dura, di encomi e di entusiastici commenti; non bisognava romperla a ogni riga, strofa, verso, per far tornare questi alla luce?" Bisognava dimenticare il Valéry della critica letteraria. Inizia così un confronto diretto con i testi; ascoltando le impressioni che provocano. Valéry decisamente non le piace, la sua poesia è artificiosa, il suo classicismo è. inquinato da troppe imitazioni e ripetizioni, il suo culto dell'intelligenza astratta è impuro; in definitiva, Valéry è inautentico, è un "prezioso ridicolo", un narcisista che in nome di una pretesa perfezione assoluta uccide in se stesso le autentiche vibrazioni poetiche dei primi versi della giovinezza per approdare a una poesia inutilmente cerebrale, applicazione di un metodo elaborato durante il tanto cc\ebre silenzio ventennale. In realtà, nota -laSarraute, questo famoso metodo "si inse_riscecon strana docilità nel filone tradizionale di una poetica vecchia e immutabile". "In verità né Boileau, né i vecchi e pedanti professori di collegio avrebbero trovato da ridire su questo metodo; quanto ai grandi classici, dei quali Valéry pensava sicuramente di continuare la tradizione, si sa che nessuno tra essi - per ragioni che risultano evidenti - ha mostrato un uguale disprezzo del lirismo e dell'emozione." Perché il silenzio ventennale di Valéry e la successiva teoria della purezza e della perfezione nascono da una crisi di creatività e portano i "segni allarmanti di una futura sclerosi"; altro che epurazione dalle passioni e dal lirismo! Il disastro annunciato da La Jeune Parque diventa una vera catastrofe nei Charmes, inautentici pastiches che riecheggiano ora Lamartine, ora Ronsard, ora Du Bellay, ora Racine ("e ciò ha contribuito non poco alla sua gloria"). "Non si finirebbe mai di enumerare tutti i disastri che provoca il silenzio delle Muse: la continua preoccupazione della ricerca dell' 'arguzia', dello 'strale', dell'abile dardo finale che chiude la strofa, le piroette compiaciute, la preziosità- così diversa dalla ricercatezza fertile e squisita di Mallarmé - che della poesia raffinata conserva solo l'aspetto pretenzioso e ridicolo"; e l'elefantino-Sarraute si chiede, ingenuamente: "Nel corso del lavoro poetico ogni ricerca o elaborazione non deve tendere a conservare per tutto il poema, attraverso gli ostacoli del linguaggio, la freschezza, la sincerità dell'emozione iniziale? E non è solo il continuo sforzo di tradurre l'emozione in espressione, che consente al poeta di apprezzare il valore dell'espressione medesima? Ma questo confronto, questo contatto può diventare impossibile, l'emozione poetica può sfuggire e il poeta, perdendo il filo, può essere trascinato dai giochi ingannevoli del solo linguaggio( ..)." Ma l'errore imperdonabile di Valéry è I' orgoglio esasperato con cui afferma il valore sublime della propria inautenticità, aggredendo con altero disprezzo, come una vecchia zia aristocratica, ogni esperienza contemporanea, da Nathalie Sarraute in una foto di J. R. Roustan (L'Express/G. Neri). Proust alle avanguardie (è lui ad annotare con sussiego: "Questo gusto puerile del nuovo che tormenta e sfianca le nostre arti da almeno cento anni"). Quest'arroganza reazionaria, che incontra la solidarietà degli accademici e l'ammirazione servile degli acculturati, è la vera ragione della fortuna critica di Valéry: "egli dirige e orchestra il coro degli elogi". "La cosa più straordinaria - e che meriterebbe da sola uno studio - è la docilità, la suggestionabilità dei lettori di Valéry. Ogni volta i suoi critici (ma com'è impropria per lui questa parola!), per magnificare le sue opere, riprendono esattamente i termini di cui egli si è servito e, attenti ai suoi desideri, gli applicano alla lettera ciò che, pudicamente, egli attribuisce aMonsicur Teste, a Faust, o a Leonardo Da Vinci." L'elefantino ha terminato Ia sua inchiesta: a cena, Valéry mastica i resti della grande tradizione culturale, odiando in se stesso il poeta che fu. Impassibili camerieri servono elogi al suo fallimento, e un'orchestrina dell 'Académie Française strimpella una pomposa e scialba marcia trionfale, senza enfasi, naturalmente. Al formalismo impuro di Valéry, la Sarrautc oppone una propria concezione della scrittura come confronto tra il linguaggio e la complessità dcli' esperienza umana; aJJa sua chiusura culturale, oppone il principio deJJa curiosità e della ricerca personale; ai luoghi comuni di quei critici che si rivelano pessimi lettori, oppone un metodo personale di avvicinamento progressivo ai testi, ricercando l'incontro tra autenticità ed espressione. In Flaubert il precursore, pubblicato su "Preuves" nel 1965, la Sarraute prende in esaIL CONTISTO me l'immagine, dominante negli anni della fortuna dei ,wuveaux romanciers, di "Flaubert precursore del romanzo moderno". A scrivere il saggio è! 'autricediL' età del sospetto (1959), unanimamente considerato il primo manifesto del ,wuveau roman. Il dibattito s\llla forma e il contenuto dell'operaletterariaè acceso. Nel- !' abbagliante dilagare della forma delle "cose" (Les choses di Perec è proprio di questi anni) si affermano "nuovi realisti" della rinuncia ali 'interpretazione di una "realtà"neocapitalistica, che si offre generosamente al consumo e al voyeurismo. Per queste tendenze letterarie, che molto hanno a che fare con il rwuveau roman, la forma è tutto, e il contenuto non svolge alcun ruolo nella creazione letteraria. I formalisti individuano in Flaubert il loro precursore, e si appellano alla sua indiscutibile autorità per liberare la scrittura da ogni significato. Con Flaubert il precursore, la Sarraute intende chiarire la propria posizione di scrittrice: "In questo momento Flaubert è il maestro di tutti. Sul suo nome il giudizio è unanime: è il precursore del romanzo moderno. Si dice che la sua opera risponda alle preoccupazioni e alle esigenze degli scrittori di oggi; questo è un punto fermo. Ma a partire da questo punto appaiono alcune discordanze.( ...) Ognuno adatta a sé ora l'opera di Flaubert ora le idee che ha espresso sulla sua opera o sulla letteratura in generale, e le sue idee e la sua opera insieme, e ci scopre ciò che prefigura e giustifica le proprie convinzioni." Secondo molti, per Flaubert "la forma era la sola cosa che contasse. L'espressione e non il contenuto.( ...) Linguaggio che rinvia soltanto a se stesso. " Ma è proprio vero che per Flaubert il contenuto non avesse alcun valore? In quale senso dobbiamo leggere la sua celebre dichiara27

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