IL CONTISTO suahnente a New York, che potrebbe essere considerata la rappresentazione metropolitana di una pangaearisultatada una deriva che abbia portato i continenti a saldarsi nuovamente. ta, quando Kip Hanrahan metteva in atto operazioni di questo genere, che presentavano da questo aspetto unvalore discografico quasi pionieristico e fotografano un momento importante di rimescolamento delle carte nell'universo musicale newyorkese. Nato nelBronxnel 1954,ebreo di origine irlandese, Kip Hanrahan si è formato assorbendo il jazz e la musica afrolatina all'angolo della strada, studiando scultura e cinema e viaggiando molto, in Italia e in Nigeria fra l'altro. Figura atipica, si è tenuto in disparte discograficamente, scegliendo di animare una piccola etichetta, la American Clavé appunto, e si tiene in disparte anche sul palco, in occasione delle non frequenti esibizioni pubbliche di sue band (in Italia è apparso per un solo concerto, nell'85), ciò che non gli impedisce di far convergere sui suoi progetti musicisti di primo piano e di prirn• ordine. Poco strumentista (chitarra e percussioni), è principahnente produttore e regista di situazioni musicali, per le quali ama raccogliere attori di disparata provenienza. Variamente assortiti, nel cast dei suoi album si trovano jazzmen bianchi (Carla Bley, Steve Swallow) e neri (David Murray, Olu Dara, Jamaaladeen Taéuma, Chico Freeman), il milieu avantgarde rock-intellettuale, rumoriKjp Hanrahan (Arch. CBS). Già nella prospettiva di una certa distanza di anni, gli album di Kip Hanrahan conservano soprattutto la nobiltà di esperienze che non hanno nulla a che fare con un banale assemblaggio: tra jazzmen e salseros, rock e passione per la musica brasiliana,visi trovaun'autentica fusione, acui Hanrahan, discreto, dà però il tono con una cifra originalissima, portando con sicurezza la musica in una dimensione malinconica, inquieta e sensuale, dominata dalle tinte pastello e da una sottile tensione. Kip Hanrahan si fa conoscere ne11'81 con Coup de tele, a cui segue nell '83 Desire Develops an Edge; Conjure è dell '84, come Vertica/' sCurrency, un piccolo capolavoro. L'LP dell'86 A Few Short Notes from the End Run non aggiunge elementi di novità, mentre Days and Nights of Blue Luck lnverted, dell'87, un disco molto di atmosfera senza nerbo, farebbe pensare a un inaridimento della vena di Kip Hanrahan. Sia consentito osservare che quest'ultimo album è deludente fin dalla copertina, e spendere ancora qualche riga per dire delle altre: l'eleganza, e l'adeguatezza al contenuto, di alcune copertine del1' American Clavé è rara. RicordiamoinparticolarequellediCoup de tele e di Desire Deve/ops an Edge, quella di Bembé di Milton Cardona (un album di cui si è già avuto modo di parlare) e quelle di Tango: 'Zero Hour (pure ripreso dalla Pangaea) e The Rough Dancer and the Cyclical Night (che riporta una foto, virata in rosso, prorompente) di Astor Piazzolla, due album (di grande asciuttezza e forza) tra quelli che col contagocce l' American Clavé continua a pubblicare. Tutte copertine che si devono alla medesima mano (Capoeira Graphics). sta, radicale (Arto Lindsay, Bill Laswell, Anton Fier}, una schiera di musicisti, percussionisti soprattutto, portoricani, haitiani, cubani, un bluesman come Taj Mahal, un monumento del rock come Jack Bruce (basso e voce dei Cream, poi membro del gruppo proto-jazz-rockLifetime, quindi protagonista dell'opera di Carla Bley e Paul Haines Escalator Over the Hi/1) che Hanrahan ha fortunatamente tolto dal dimenticatoio. Accostamenti tra musicisti che rappresentano mondi musicali differenti so- • no oggi moneta corrente: non lo erano ancora nei primi anni OttanCONFRONTI Checosa mangia il coccodrilloa cena? Sotto la sùperlicie, conNathalieSarraute LanfrancoBinni Come evitare il mal sottile della cultura del consumo, lo scempio dei linguaggi e dei significati, la commedia triste dei ruoli sociali, la trasformazione del pensiero in perdita cerebrale, l'epidemia della ripetizione ossessiva del1'inautentico, la droga obbligata dell'imbecillità? Chi si diletta in simili domande leggerà con piacere due volumi di Nalhalie Sarraute usciti quasi simultaneamente in traduzione italiana, per una fortunata coincidenza editoriale: una "curiosità" che formalmente appartiene ali' ambito della critica letteraria, Valéry e l'elefantino. Flaubert il precursore, edita da Einaudi, tradiµ:ione di Lorenzo Fazio; e un "romanzo", Tra là vitae lamorte,edizioniSE, traduzione di Lucia Corradini, postfazione di Mary Mc Carlhy. Si tratta di tre testi considerati generahnente "minori" nella produzione della Sarraute; dunque, due répechages. Eppure una volta tanto la scelta di "raschiare il fon26 do del barile" ha come risultato un collage singolare. Grazie ai due saggi Valéry e l' elefantino e Flaubert il precursore, possiamo entrare nel laboratorio dell'autrice di Tropismi e// planetario, dietro i luoghi apparentemente noti della "sotto-conversazione", dei molteplici punti di vista del narratore, della dissoluzione del personaggio, ecc.; incontriamo così una Sarraute tutt'altro che "sotto-conversante", forte di un proprio dichiarato punto di vista sulla tradizione culturale e i suoi totem. Con Tra la vita e la morte possiamo partecipare a una simpatica operazione di sabotaggio del ruolo dello S(,.ittore e del linguaggio sociale, nella società del consumo. Valéry e l'elefantino appare nel 1947 su "Les temps modemes", alla vigilia della pubblicazione del secondo romanzo della Sarraute, Ritrailo d'ignoto (1948), che sarà accompagnato da un 'importante prefazione di Sartre. Se la concezione visiva degli involucri fossemediamente di guesto livello, sarebbero guai per le loroversioni compact. Peccato che la Pangaea riproduca le copertine degli album dell' American Clavé stampando però le buste degli LP senza la medesima sofisticatezza di impressione; e che le debba riprodurre sormontate dalla soluzione grafica che identifica gli album della Pangaea, una banda nera un po' stile Tg2. Con un testo che si presenta come saggio di critica letteraria, o perlomeno "esercizio di lettura", la scrittrice di Tropismi (1939) interrompe il proprio silenzio degli anni di guerra. E lo interrompe con un'aggressione all'immagine consolidata, istituzionale, indiscutibile, di Paul Valéry, il poeta sommo del culto dell'intelligenza e della perfezione, la "gloria nazionale". L'inizio è candido: "L'Elefantino di Storie proprio così di Kipling, 'tutto nuovo e pieno di curiosità', che poneva sempre domande facendosi sgridare da tutti, non si era mai comportato con così tanta imprudenza come un mattino, quando aveva formulato questa bella domanda: 'Che cosa mangia il coccodrillo a cena?' 'Zitto!' gli avevano risposto tutti con 'terribile voce tonante, e subito si erano messi a sculacciarlo continuando per molto tempo'. Io, come questo incorreggibile Elefantino, avevo un bel sapere che avrei fatto meglio a trattenermi: volevo vederci chiaro, era più forte di me e non potevo fame a meno, ne avevo assolutamente bisogno, qualsiasi prezzo avessi dovuto pagare. Ad ogni occasione non smettevo mai di chiedere: Ma-dunque è proprio vero, siete veramente certi che Paul Valéry sia un grande poeta? " Le reazioni sconcertate di troppi (soltanto uno le bisbiglia a un'orecchia: "Mallarmé reparto novità"), decidono l 'elefantino-Sarraute a vederci chiaro da sola, nell'intricata questio-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==