IL CONTHTO ANTOLOGIA la cella Ruth First Quello che segue è il brano iniziale di 117 Days, diario di prigionia e testamento spirituale dellasudafricanaRuthFirst.Nata nel 1925, militante comunista come il maritoJoe Slovo (il quale è oggi l' unicobiancoafar parte dell'esecutivo deli'AfricanN ational Congress), fin dai primi anni Cinquanta la First aveva partecipato alle lotte politiche contro l'istituzionalizzazione del regime dell'apartheid. Era stata redattrice epoi direttrice di g iornali politici militanti continuamente sequestrati e chiusi per le incisive campagne che promuovevano sui boicottaggi dei trasporti e degli ajf11ti.-Rifugiatasi dapprima in Swaziland con lefiglie, nel maggio del 1960, per sfuggire agli arresti del periodo dell' emergemasuccessivoaifatti di Sharpeville, la First tornava poi a Johannesburg dove militava nel nascente AfricanNational Congress afianco diNelsonM andela. Dopo ilprocesso di R ivonia che avrebbe visto la condanna ali' ergastolo di Mandela e dei suoi compagni, anche la First verrà messa inprigione in base a una legge detta "dei 90 giorni". Donna dalla intelligenza lucida ed affilata cui si affiancava una solida e vasta cultura, la First aveva sempre unito alla attività giornalistica quella della ricerca. Divenuta in seguito Direttrice del CenJro di Studi Africani presso l'Università di Mapulo, in Mozambico, quando fu assassinata, nel giugno del 1982, aveva appena finito di coordinare un progetto di ricerca sui problemi dell'Africa australe per contodel1' UNESCO. Maria Antonietta Saracino 24 Nei primi cinquantasei giorni di cella di isolamentomi trasformai da creatura soprattuttoverticale, quale ero stata, in un essere soprattuttoorizzontale.Un lettodi metallonerodiventò tutto il miomondo.Faceva troppofreddoper stare seduta,così mi stesisul lettocercandodi contarele ore, i giornie lesettimane,al contempofingendoconmestessadi nonfarlo.Ilmaterasso era tutto un bozzo, le coperte grigie della prigionepesanti comecopertonid'incerata e sapevanodi patate ammuffite.Imparai a fingere di non sentirequell'odore e a dimenarmiinmodo da evitareibozzi del materasso.Vistadalla porta, lacellami era apparsacome una catacomba,claustrofobica, freddacome il cemento. Senza la lampadinaelettricaaccesa che penzolava dal centrodel soffittocome ununicoocchio giallo,sarebbestata completamentebuia; la lampadinailluminava lo sporco grigiastrochericopriva i muri, dipintidi nero finoa due-terzidella loro altezza. La parte restanteun tempo era statabianca,ma adesso la polvere aveva depositato una patina di sporco sulla superficieoriginale. La finestra, in alto sul muro sopra la testa del lettoe a triplo spessore- sbarrata,poi sbarratadi nuovoe poi ricopertadi rete metallicacon una patina di fuligginenera che ne vestiva tutti e tre gli strati protettivi - costituiva una chiusuraanzichéuna apertura.Trepassi di distanzadallaporta ed ero già sul letto. Lasciataabbastanza a lungo in quella cella, temevoche mi sarei trasformatainunodi quegli insetti incoloriche strisciavano sotto un mondo di pietre grigie e piatte, lontanodal cielo e dalla lucedel sole, dall'erba e dalla gente. Sul lettodi ferroera come starechiusa inuna scatoladi fiammiferi.Stesasuquel letto, sulqualeentravoamalapena,sentivodidover tenerelebraccia allungateai lati del corpo, stese inun ordine forzato.Eppure proprioquel lettodiventava lamia intimità, il mio rifugio,e poteva rappresentarela mia vita segreta. Standomenesul letto avevo l'impressione di controllarelacella. Non avevobisogno di sorvegliarla,ma la potevo ignoraree concentrarmisul tentativo di tranquillizzarmi. Avreidormitoquantovolevo,senzala paura di essere interrotta.Avrei pensato senza distrazioni. Avreiattesodivederequellochesarebbesuccesso,dallacomodità del mio letto. Invece, meno di un'ora dopo essere stata messa in quella cellami accorsidi essere costrettaa fare quello che fanno iprigionierinei romanzi:misurarea passi la cella in lungoe in largo. Oalmenotentaredi.farlo,perchénon c'era abbastanzaspazio per camminare. Il letto occupava quasi per intero la lunghezza dellacella e nel varco che rimaneva tra questoe il muro c'era un piccolo ripiano sporgente. Se mi era impossibile percorrerneilperimetro,nonpotevonemmenoattraversarla da un capoali' altro.Per misurarnei suoiduemetri per tre,dovevo muovermi parallelamente al letto e al ripiano e poi, con una scarpainmano,strisciaresottoil lettoper misurarnela larghezza. La precisione sembrava importante.Qualcuno, un giorno - chissà quando- avrebbe potuto chiedermi le dimensioni della mia cella. Prese le Q1isure,mi rifugiai sul letto.( ...) Sei oreprima del mio ingressoinquella cella, uscivodalla sala di lettura della biblioteca universitaria.Quella settimana. lavoravoa come scegliere gli atlanti nel rifornire una biblioteca, e avevoancora inmano gli appuntiche avevo appenabuttatogiù sull'argomento. Il corsoper bibliotecariera un tentativo di imparareunanuova professione.L'ultimo gruppo di proibizioni emessecontrodi me mi facevadivietodi scrivere,di produrre qualunquecosa fosse destinata alla pubblicazione, e di mettere piede nelle redazioni dei giornali. Ciò poneva fine a quindiciannidi carrieradi giornalista.Avevoal mioattivocinque pubblicazioni che, una dopo l'altra erano state messe al bando o chiuse dal Governo nazionalista. Non c'era più un giornaleinSudafricadispostoad assumermi,o che potessefarlo senza rendersicomplice di contravvenzioneagli ordiniministeriali.Così, da giornalistache intervistavacontadinicheoccupavanoabusivamente le terre da cui erano stati scacciati,o che indagava sulle condizioni dei lavoratori e dei salari nelle miniered'oro, diffondendonotiziedi scioperi e manifestazioni politiche, ero passata ai sistemi di catalogazione e classificazione dei librie mi accorgevo che quegli scaffali erano un ben povero surrogatodelle personee dei ritrni•cheavevanofatto la vita del nostrogiornale. Due uominidal!'andatura rigidami si avvicinarono. "Siamo dellapolizia." "Sì, !oso." "Ci segua,per favore.IlcolonnelloKlindtle vuoleparlare." "Sono in arresto?" "Sì." "Per quale legge?" "Dei Novantagiorni." Inqualchemodo, inbiblioteca,mentreraccoglievoimieilibri dal tavoloriuscii a far usciredallaborsa e a nascondere sotto una pila di appunti il biglietto che D. mi aveva fatto avere quella stessamattina. Indicava un nuovo luogo di riunione in cui potevamo vederci e parlare. Il posto era "pulito" e sconosciuto, scrivevaD. Vi sarebberimasto alcuni giorni. I due investigatorimi affiancaronomentre uscivamodall'Università. Uno studente indianogettò uno sguardoalla mia scortaepoigridò:"Tutto bene?" Ioscossila testa energicamentee lovidicorrereindirezionedi unacabina telefonica:si facevaancorain tempoper l'edizione seraledel giornale,e un arresto sotto la leggedei Novanta giorni faceva notizia. La perquisizionein casa duròalcune ore e fupeggioredelle altre,neglianni preceden,ti.Alcuneerano statedelleformalità, episodi fruttodei sistemidellapoliziacontrogli "agitatori". Mentremiportavanovia cercaidi cancellare dalla mentele facce delle bambine. Shawn era corsa a nascondersi in gìardino, perché non la vedessi piangere.
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