Linea d'ombra - anno VII - n. 35 - febbraio 1989

LETTURE luci del norde nebbiedel sud Goffredo Fofi Di una nuova e ben individuabile casa editrice (per scelta di campo e per immagine grafica), la Iperborea che intende portare al Sud la luce dei Nord (europei), è stato già recensito su queste pagine il romanzo-biografia August Strindberg. Con iniziale sforzo, e poi via via conquistato, ho letto Betsabea, un romanzo "biblico" di Torgny Lindgren (svedese) di prosa che traspira bellissima nella traduzione di Carmen Giorgetti Cima. Èunacostante delle letterature nordiche il commercio con personaggi della Bibbia, Vecchio e Nuovo Testamento, base culturale dei ricchi e dei poveri di area protestante; c'è tutto un "leggendario" che di lì si diparte e si rinnova. A volte irisultati sono grami (quanti romanzi brutti sono stati scritti sulla fine di Gesù? anche se non va dimenticato che i più brutti sono pur sempre i tentativi dei cattolici dei Sud), ma a volte, come in Betsabea, antico e nuovo si incontrano per fondersi, dirompere. Questo vecchio David, questa fanciulla che cresce e infurbisce, questo Sacro che incombe, questo Dio che tutti interrogano anche nel momento del massacro e della perfidia, sono di una potenza oggettiva, concreta: maestosa e insieme rozza e asciutta (cd è connubio rarissimo) come la prosa di Lindgren. Di cui si ha voglia di sapere di più, di leggere tutto. Mentre si è più freddi di fronte ai racconti di Peter Seeberg (danese),L' inchiesta, esistenzial-dubitosi, pieni di risonanzekafka-camus-beckettiane, di una surrealtà costruita con qualche af- , fanno dimostrativo. I migliori sono quelli della dilatazione quotidiana di una insensatezza estrema e da humor nero, al quale humor però Sccberg non concede a sufficienza, forse per paura di non sembrare elevato. Un romanzo interessante è certamente La bella signora Seidenman del polacco Andrzej Szczypiorski ( la Polonia sembra essere una piccola miniera di scrittori da scoprire se dopo e/o e Sellerio vi si abbevera anché l' Adelphi). Qui il Christopher lsherwood in una foto anni '30 di Howard Coster. partito preso è una costante che vale per la Polonia quanto la Bibbia per il Nord: l'interrogarsi sull'identità polacca - l'autore ne presenta le risposte più divergenti, del tutto nero e del tutto biancosenza, mi pare, sciogliere il groviglio, ma in fondo con una sorta di compiacimento della diversità. Egli applica sapientemente un procedimento che ha dato nel romanzo un risultato altissimo con La gita delle ragazze morte della Seghers. Qui è il passaggio dall'altrieri allo ieri, dalla giovinezza alla vecchiaia dei suoi eroi, dalla guerra al dopo·, dal nazismo al cosiddetto comunismo. È, insomma, la risposta a una domanda continua: che fine ha fatto il tale, nelle spire della Storia? E se laSeghers passava dall'illusione giovanile al "piccole donne crescono" dentro l'orrore nazista e I' imprevedibile sfacelo delle potenzialità cui esso portava, qui conta piuttosto un "chi eravamo" e "chi siamo" della Polonia, sostanzialmente retorico, privo dell'altezza tragico-serena del vecchio Brandys (maestro, credo, anche per questo scrittore dal nome impronunciabile). Ne resta un quadro collettivo a tratti intenso con personaggi "di contorno" più forti della signora del titolo (italiano), che è immagine-pretesto non trascinante. Dei tre migliori romanzi di Christopher Isherwood, Einaudi ristampa (in attesa di rifare anche Il signor Norris se ne va) La violetta de/Prater, afflitto da una prefazione in cui un principe dcli' elzeviro mena, tanto per cambiare, il can per l'aia. Chi non lo conosce si affretti: è uno dei più bei romanzi degli anni Trenta, e uno dei più bei romanzi sul mondo del cinema. La frivolezza "viennese" del titolo (un film inglese la cui lavo- . razione è seguita dall'autore, diretto da un grande regista austriaco nei giorni delle invasioni naziste e che quindi ha altro per la testa) ha il controcanto della tragedia collettiva, ma non per la distratta Londra, troppo lontana per prendersela troppo. Fa pensare a qualche altra epoca più vicina a noi? Mah. Per la piccola cronaca, e per i cinéphiles, dirò quel che pochi sanno: il regista in questione era Ludwig Berger - ebbene sì, un quasi-grande, anche se i suoi film-operetta pochi ormai ricordano più (ed erano a volte migliori di quelli di Lubitsch). (Per restare al cinema, mi si permetta di segnalare la sola collanina italiana a esso dedicata che sia davvero utile, i Quaderni del Circuito Cinema di Venezia- da chiedere se non si trovano, all'ufficio cinema del comune. L'ultimo è dedicato, a cura di Roberto Zemignan e con una bella prefazione di Piera Detassis, a Claude Chabrol, regista "minore" che assieme a molte sciocchezze ha pur dato le più franche e spietate, quotidiane descrizioni dcli' orrore delD.H. Lawrence. la provincia borghese, francese e non solo francese.) Dagli anniTrenta di Isherwood arrivano anche i racconti di Thomas WolfeDallamortealmattino (SE, traduzione di Laurana Berra che a mc, contrariamente ad altri IL CONDSTO critici ingiustificatamente livorosi, del libro, pare buona). Wolfe è scrittore torrenziale, iperretorico, magniloquente, logorroico; ma ha scritto cose egregie (Angelo, guarda il passato, di cui ricordo la bella regia teatrale di Visconti con la Brignone e un Corrado Pani che sembrava promettere; e il molto malinconico Non puoi tornare a casa). Più che racconti, questi sono branid'impetomoral-sentimental-giornalistico, veementi e a tratti esaltati. Ma è qui il loro fascino, nel linguaggio quasi whitmaniano e nei risvolti drciseriani, nella evocazione di un'America soprattutto metropolitana di barbariche solitudini. Sempre la SE (Studio Editoriale), forse la più rigorosa e meno "premiata" delle nostre case editrici, ha ripubblicato lodevolmente un classico della critica letteraria, un gioiello di interpretazione sul fondo di una cultura e di una società in chiave mitico-antropologica, e le cui distinzioni, definizioni, acquisizioni hanno fatto scuola. Si tratta di Classici americani di D.H. Lawrence (nella vecchia e impeccabile traduzione di Attilio Bertolucci). Civiltà e wilderness, bianco e rosso.(o nero), · bionde emore, Europa e America, Est e West: le grandi dicotomie dell'immaginario USA sono state qui perlustrate e codificate con empito formidabile. Per chi ama la letteratura americana, è un libro indispensabile, come quello di Fiedler su Amore e morte nella letteratura americana (Longanesi) che ·lo ha avuto a modello e, diciamolo, lo ha dilatato saccheggiandolo. Finisco con una dichiarazione di accresciuta perplessità nei confronti dell'opera di un autore della perplessità, Gianni Celati, il cui recente Verso lafoce (titolo un po' da scuola media) è presentato da Feltrinelli ( come ogni cosa dei suoi troppo idolatrati autori Celati e Tabucchi) nella collana dei Narratori. Si tratta più modestamente di pagine di diario su e giù per la Padania, non particolarmente illuminanti, ma che confermano l'esile venatra Handke e Zavattini, tra nuova sensibilità (o sensiblerie) e vecchia aneddotica neorealistica, cui Celati indulge fin troppo dopo la virata promettente che sembrava aver fatto con Narratori della pianura (ma sbagliavamo), da cui si affrettò a espungere ogni briciolo di crudeltà, scegliendo la "fmessa" delle nebbioline più incerte. 23

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