Linea d'ombra - anno VII - n. 35 - febbraio 1989

IL CONTESTO CONFRONTI Ritornoa Tolstoi. Dinonviolenzae di al.tro in alcunisuoi inediti_e ristampe Pier CesareBori La produzione di Tolstoj successiva alla sua "conversione", agli inizi degli anni '80 del secolo scorso, è immensa, e occupa quasi due terzi degli ottanta volumi della sua Opera omnia in russo. Essa è tuttavia poco nota e divulgata, in Italia e ali' estero. La situazione sembra tuttavia rapidamente mutare. Sono da segnalare tre recenti apporti in questa direzione. Quasi contemporaneamente, negli ultimi mesi del1'88, sono apparsi: - Lev Tolstoj, Perché la genie si droga? E altri saggi su società, politica, religione, a cura di Igor Sibaldi, Milano, Arnoldo Mondadori editore, pp. 764, L. 15.000; - Leone Tolstoj, Il regno di Dio è in voi (riproduzione anastatica della traduzione italiana a cura di Sofia Behr del 1894), con introduzione di Gloria Gazzeri, Trento, Publiprint-Manca editrice, pp XXXIIl-387, L. 16.000; - Lev N. Tolstoj, La mia fede, Prefazione di Pier Cesare Bori, tr. di Orazio Reggio, Milano, Editoriale Giorgio Mondadori, pp. 239, L. 25.000. Il primo testo contiene una riccaraccoltadi brevi scritti (per la precisione29)trail 1890eil 1910. La prefazione di Sibaldi, informata, rigorosa e partecipe, comincia con alcune righe che dicono assai bene quanto si accennava sopra, a proposito del silenzio di cui è stata circondata l'opera dell'ultimo Tolstoj, e sui motivi di questo silenzio: "Se la cultura attuale sapo~ co o nulla degli scritti non narrativi di Tolstoj, ciò si deve principalmente al fastidio che sempre avvertono gli studiosi seri nei confronti di quegli scrittori che travalicano il proprio ambito consueto (la narrazione, l'arte) e invadono i domini della scienza accademica. Tolstoj rientra appieno, e nel modo più urtante, in questa categoria di scrittori indisciplinati, giacché fin dai primi anni Sessanta, quand'era poco più che trentenne, si dette ad invadere questo o quel campo di studi scientifici, senza alcun attestato di competenza, e tuttavia sempre con la pretesa insolente di criticare le metodologie 20 contemporanee e di influire sui loro sviluppi" (p. 5): ciò che avvenne prima nel campo della pedagogia, poi in quello della storiografia, infine, ancora più ampiamente e prepotentemente, in quello della religione. Il secondo lesto, del 1893, costituisce la più ampia trattazione tolstojana sul tema della non-violenza. La traduzione di SofiaBehr, autorizzala dal!' autore, fu basata sul francese. La riedizione italiana è frutto della passione personale (ciò che vale per tutte queste imprese di riproposizione dell'ultimoTolstoj)diG!oriaGazzera,che offre accanto al testo, a vantaggio del lettore meno informato, molti utili sussidi talvolta un poco ingenui, talvolta molto originali (p.es., "l'indice delle più belle metafore"). Il terzo testo è più antico nel tempo, risalendo al 1884. Andrebbe preceduto, nella lettura, da Le confessioni, a cura di M.B. Luporini, Milano, Rizzoli, 1979,econtiene l'esposizione più sistematica, appunto della fede di Tolstoj, ovvero della sua specifica lettura del Nuovo Testamento. Con questi tre contributi, aggiunti a studi già pubblicati e a tra- • duzioni già disponibili, il lettore italiano può ora disporre di un buon numero di strumenti per accostarsi all'ultima produzione tolstojana. Per concludere, segnalo anzitutto una mancanza, in questo panorama sempre più ricco: rimane non tradotta in assoluto (salvo una versione tedesca dei primi del Novecento) la grande opera compilativa di L. Tolstoj, Il ciclo di lellura, (voi. 41 e 42 dell'Opera omnia), raccolta di pensieri disposti per tutto l'arco dell'anno, tratti da autori di ogni tempo e cultura, con ampi apporti personali di Tolstoj. Aggiungo una indicazione di lavoro che mi pare interessante: andrebbe studiata la prima diffusione degli scritti etico-religiosi tolstojani in Italia (un primo utile elenco di traduzioni si trova nell'introduzione di G. Gau.era a Il regno di Dio è in voi cd esiste un contributo, credo isolato, di D. Mazzoni,LafortunadiTolstojnel movimento operaio italiano, in Movimento operaio e socialista, m, 1980). Quanto infine al significato in genere di questi scritti, non posso qui ritornare su riflessioni che ho già svolto parecchie volte, più ampiamente nel libro con Gianni Sofri, Tolstoj-Gandhi. Un carteggio e dintorni, Bologna, Il Mulino, 1985, e più brevemente nella prefazione aLa mia fede. Vorrei aggiungere qualcosa di cui sto diventando sempre più consapevole. Ma vorrei farlo riportando un brano poco noto di Cechov. Nel racconto Brava gente, del 1886, egli descrive la progressiva separazione tra due persone - fratello e sorella, letterato brillante e ozioso lui, donna insoddisfatta, alla ricerca di un senso della vita, lei. La rottura avviene a causa della superficialità con cui lui tratta della questione della non resistenza al male, che Tolstoj andava proponendo proprio in quegli anni. L'edizione definitiva è stata da Cechov accorciata, ma la prima, su una rivista, conteneva un'interessante riflessione sulla figura maschile, di Vladimir Semjonov. Perché egli non capisce, perché sbaglia? "Né la squisita cortesia, né l'onestà, nélabrillanteculturapotevano impedirgli questo errore. L'errore non era nel fatto che egli Tolstoj nel 1908. clùamasse un assurdo la 'non resistenza al male' o non la comprendesse, ma che non riflettesse sulla sua effettiva legittimazione a intervenire su questo così oscuro argomento. Non è corretto infilarsi in casa d'altri o leggere una lettera altrui, non è onesto prescrivere una cura, non conoscendo la medicina, o giudicare un ladro, non conoscendo il caso: ma stranamente nella vita ordinaria non si considera scorretto che delle persone non preparate, non dedite a questi temi, immature scientificamente e moralmente, pretendano di spadroneggiare in un campo di pensiero, in cui possono essere solo ospiti". Chiunque lavori un poco su questi temi, sente che ci sono due registri su cui muoversi: uno è sicuramente quello del confronto culturale: e su questo il "moralismo" tolstojano si presta acritiche più o meno fondate (alcune delle quali anche da me avanzate nella prefazione a La mia fede). Però l'onestà che questi testi riclùcdono nel lettore non è solo intellettuale, è qualcosa che investe l' intera persona, è qualcosa che una volta si chiamava umiltà, purezza. Al di là di tulle le riserve intellettuali legittime e inevitabili, per i duri di cuore, come noi, l'unico atteggiamento degno è quello del rispetto e dell'attesa, nella speranza che anche noi possiamo un giorno capire meglio queste cose così difficili.

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