Linea d'ombra - anno VII - n. 35 - febbraio 1989

glia di Anna Frank viene qui indicatacome modello di comportamento"da evitare" in quanto autodistruttivo:ovvero il farecome se niente fosse, fedeli alle proprie abitudini quotidiane: rifiutarsi di credere al male. Nel racconto della sua esperienza di internamento resta sempre decisiva per l'autore la capacità di distinguere in sé ciò che è essenziale da ciò che è effimero. Cosa è essenziale per me, in questo momento? Il ruolo sociale, con i relativi riconoscimenti?Il possessodibeni materiali?La sicurezza degli affetti familiari? Le convinzioni interiori?La certezzadi un reddito fisso?L'autonomia di giudizio? O ancora, quantaparte dell"'effimero" è essenziale? Naturalmente le risposte a queste domande dipendono molto di più dall'esperienza e dal suo svolgersi chedall'autoesame di coscienza:Bettelheimriconosce che pochi mesi di campo di concentramentolo hanno influenzato in misura maggioreche anni di utile e fruttuosa analisi. Però quelle domande, benché elementari, non sono superflue. C'è un punto del ragionamento di Bettelheimche ci sembra particolarmente adeguato alla realtà di questi anni. Lì dove li- · guida con piglio deciso tutta la stucchevoleretorica dell 'interiorità. NellaGermanianazista c'era, come è noto, l'obbligo del saluto a Hitler. Chi era dissenziente doveva convincere se stesso che quel saluto non aveva alcuna importanzaper lui (tanto non ci credeva...). A lungoandare però, quest'obbligo quotidiano,ripetuto, minava irrimediabilmentela sua integritàpsichica, il suo rispetto di sé. Insomma l'esteriore vinceva sull'interiore. Quante volte si è creduto, ci si è illusi, in questi anni, di mantenere unapurezza interiore,a dispetto di gesti e comportamenticui eravamo e siamotenuti.Alla finequesti gesti hanno fatalmenteil sopravventosuciòchecrediamodi essere.Certo,non dobbiamonecessariamenteimmaginareunanacronistico"saluto aCraxi'', che non ci verrà mai richiesto. Soltanto, non ci si può illudere di restare indefinitamente spiriti liberi e integri, rendendo omaggio esteriore ai vari rituali sociali e professionali. Perdigiorno responsabili Il libro di Bettelheimpuò essere usato come un salutare antidoto contro certe categorie che dominano, indiscusse, la nostra pubblicistica.Per esempio l'autore ci ricordaumilmenteche il rispetto di sé, prima di essere un fatto che concerne la morale, il dovere ecc. è soprattutto un bisogno emotivo. "Rispetto di sé" è concetto assai prossimo a quelli di "dignità" e di "onore", che, ovviamente, andrebbero sempre adoperati con molta prudenza. Nella animata discussione che in USA ha accompagnato l'uscita del libro, l'autore è stato accusato di ispirarsi a una moraledi tipo eroico, idealizzato, e di non dare il dovuto riconoscimento al "basso", al corpo,al puro istintodi sopravvivenza.EppureBettelheiminsistesu unpunto: che il suocontinuo sforzo, a Buchenwald, di non chiudere ermeticamente il cuore, la ragione e le facoltà percettive, serviva proprio a sopravvivere, oltre che a dare un senso ali' esistenza. Anche da noi non è difficile immaginare critici analoghi a quelli americani. Si liquidano tranquillamentei concetti "vetusti" di dignità, autostima e responsabilità, escludendo in modo perentorio che possano magari corrispondere a bisogni emotivi e conoscitivi.Ci invitanosempre più frequentementead alleggerire la nostra esistenza. Ed effettivamente l'esistenza dei perdigiorno, di vagabondi,cantata dagli Eichendorff,dagli Hamsune dai Walser, sembrereb~ prescindere da ogni valore o concetto normativo. Pura sospensione, assenza di centro, danza, anarchia vitale. Nessuno di noi vorrebbe rinunciare "responsabilmente" a tutte queste cose. Ma la "dignità" non è associabile soltantoal lavoro ben svolto, o al dovere diligentementecompiuto. Forse il "perdigiorno", scegliendosiinquanto tale, hagià espressoun'opIL CONTHTO zione, un orientamentopreciso, nel senso appunto della "dignità" (liberamente accettando di pagarne i prezzi relativi). Preferirei di no Abbiamo visto come Bettelheimparli di "condizioni" e non di "valori umani". Non si tratta infatti di un piagnisteo sui valori perduti, e non è neanche un appellogenerico a destinatari generici. Solo che i destinatari non sono già impliciti in questodiscorso, ma devonocostituirsi proprio nella capacità di risponde-1 re ai suoi interrogativi, di riformularli continuamente. Al termine di un articolo di critica a certo illuminismodei Verdi, EdoardaMasi ricordava "quanto poco gli uomini agiscano in base ai loro 'reali' interessi". Una stranezza davvero inesplicabile, un autentico smacco della ragione, un fatto misterioso, inquietante, che però dovrebbe essere precisamente il punto di partenza della nostra riflessione e non una constatazione messa li, in modo quasi casuale. Nota Bettelheimche se l'uomo fosseun "animaleinteramenterazionaledovrebbe trovareunarelativa soddisfazionesoltanto in una societàorganizzata nellamaniera più razionalepossibile". Ma appunto non è così, e tutte le società "hanno la loro parte di persone felici e infelici". Il punto su cui EdoardaMasi richiama sbrigativamentela nostraattenzione, non riguarda solo l'illuminismo, ma potrebbe modificare la nostra stessa idea di emancipazione,di politica. Ci ricordiamo del dibattito sui bisogni? Fino a che si parlava di bisognodi libertà, di gioco, di creatività ecc. , tuttobene. Ma con il bisogno di "ordine", con quello di "obbedienza", la faccenda si complicava un po'; questi bisogni risuÌtavanomeno addomesticabili. Ma a che cosa concretamente sonoaffidate le residue speranze di Bettelheim?Il suo resta, nonostantetutto, un ottimismosobrio, limitato, privo di qualsiasi pathos, anche quando si ostina a parlare di "individui". Ricordiamoche un altro scrittore,che ha fatto un'esperienza forse altrettanto estrema del negativo,parlava ancora dell'individuo; l'autore di fantascienza, recentemente scomparso, Philip K. Dick, e pur sapendo che la definizione dell'individuo era possibile soltantoin negativo: "l'autentico essere umano è uriodi noi che sa istintivamentecosa non deve fare( ...) ed è questo per me il tratto davveroeroico della gente comune: saper dire di no al tiranno". Scrive Bettelheim: "la più grande speranzadel genere umano (...) consiste nell'esistenza di una minoranzapiuttosto cospicua di persone che resistonocontro un tale destino".Non ci si appellaalla specie, alla totalitàdegli uomini, né a qualche soggetto sociale salvifico, ma a "minoranze" socialmente indefinite e non ben visibili; e si parla, realisticamente, di "resistenza". Pensiamo a un personaggio di Melville, Bartleby lo scrivano, che rispondevaal suo capufficiosempre con la stessa, disarmante frase: "Preferirei di no". Naturalmente, nel mondo in cui viviamo, questa frase può costare a qualcuno '!lo}topiù che ad altri. Ma non si tratta di una proposta politica. E un diniego fermo, così ostinatamenteprossimo al silenzio, così poco interessato alla persuasione,al progetto, così disperante e solitario,ma certo non privo di "dignità". 19

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