ILCONTESTO uguaglianza, e fa bene a negare alla stessa libertà un valore intrinsecamente positivo, e fa anche bene a ricordare come perfino per un liberale come Stuart Mili è quasi impossibile delimitare la sfera del "privato" (a rigore non rientrerebbero nel privato quelle azioni che comportano un rischio di danno ad altri per sola omissione: cioè virtualmente tutte!). Però il fatto che "non vi è nulla nella concezione democratica in quanto tale che esclude in via di principio il controllo democratico della società sulla famiglia, la scelta della professione" ecc., è tutt'altro che rasskurante. Forse davvero il "privato" non esiste, non è circoscrivibile. Ma non c'è di che gioirne. Gli ultimi "individui" A questo punto il discorso si può agganciare a quello di Bettelheim, che si chiede "dove passa la linea oltre la quale gli altri non sono autorizzati a influenzare la nostra vita interiore". La inviolabilità delle persone va intesa in modo relativo, non assoluto, come invece ritiene la tradizione liberale (si può "violare" qualcuno anche lasciandolo senzà lavoro), però non è qualcosa cui rinunciare a cuor leggero, magari in nome delle legittime richieste della società. E, infatti, come vedremo, Bettelheim si ostina a parlarci di autonomia, libertà personale, dignità, capacità di prendere decisioni. Il centro attorno a cui ruota il libro è la scoperta che lo stato moderno ha i mezzi per trasformare la personalità umana. Una scoperta che parte da un'analisi puntuale dei campi di concentramento, ma che non riguarda solo lo stato nazista. Anzi lo scopo dello stato totalitario moderno è riuscire a far fare spontaneamente (e non coercitivamente) ciò che vuole sia fatto. Ora, la bibliografia novecentesca a proposito della società di massa e degli innumerevoli mezzi di controllo di cui dispone, è sterminata (lo stesso studio dell'umanità è diventato un'ulteriore tecnica di dominio). E così molte delle cose che dice Bettelheim ci appaiono scontate, risapute. Ma la forza e la novità di questo libro risiede proprio nella sua parte più ~nattuale; nei suggerimenti "per restare uomini", in quello che può sembrarci un lessico inadeguato ai nostri tempi, impregnato di retorica umanistica. Di fronte a una testimonianza del genere abbiamo anzitutto l'obbligo di chiederci: da quale tipo di esperienza proviene questo lessico? Le pagine di Bettelheim, pur documentando con straordinaria precisione alcuni orrori non lontani da noi, ci parlano ancora dell'individuo, delle sue reazioni elementari e dei suoi bisogni vitali, della sua "complessità". Certo, da persone che si ritengono ben più smaliziate dell'autore, noi sappiamo bene che l'individuo non esiste, che solo discorrerne vuol dire alimentare un equivoco pericoloso, ragionare in termini astratti, aclassisti, idealisti. Eppure, riconoscendo insieme a una rispettabile tradizione filosofica (da Hume a Nietzsche) la scarsa consistenza dei concetti di "soggetto" e di "identità personale", dare per scontato che i processi di socializzazione hanno già totafmente bruciato ogni prerogativa individuale, significa assecondare quella socializzazione, rendersene complici involontari (come se dovessimo convincerci a tutti i costi che "abbiamo le mani legate" ...). Né meno illusorio sarebbe oggi ragionare in termini di identità e soggetti collettivi. Pickwick Nell'attuale revival dell'Etica si parla sempre più, in verità, dell' "individuo". Ma vanno fatte alcune distinzioni. Salvatore Veca, parlando di libri di etica scritti da e per manager, sottolineava la necessità del "fai da te morale", del pensare in proprio, senza mai delegare a nessuno. "Essere se stessi" nella nostra società è diventato, come si sa, molto difficile: c'è sempre il rischio ,. Disegni di David Scher. che qualcun altro parli per te, prima di te. Ci si affida agli altri per trovare risposte ai propri problemi: al posto del prete non troviamo solo lo psicanalista, ma proprio l'articolo di fondo che magari ti esorta a pensare con la tua testa. Appare evidente che affidarsi a un articolo di Veca o Alberoni, che raccomandano il "pensare in proprio", non è esattamente la stessa cosa che "pensare in proprio" ... Ora, le pagine conclusive di Bettelheim possono suoòare troppo edificanti: sì, lo sappiamo, gli uomini "non sono formiche" e, chissà, se cediamo a un po' di speranza, possiamo vedere che l'umanità si muove verso un "controllo delle nuove condizioni di vita". Leggendo passi del genere viene voglia di dare più ragione a quelli che negli anni Sessanta venivano chiamati "apocalittici". Però una cosa è l'ottimismo moderato di Bettelheim, che nasce da un'esperienza radicale del negativo, che lampeggia improvviso da un viaggio al termine della notte, tutt'altra cosa l'ottimismo di maniera, televisivo, predicato da qualcuno che ha l'aria di volerci per forza aprire gli occhi. In una trasmissione Veca affermava con tono filantropico e rassicurante: " ... è diffici-. le ... certo, ma non impossibile". Insomma: italiani, ancora uno sforzo! Non intendiamo disprezzare i generosi tentativi di Veca di contemperare tra loro il criterio dell'utilità collettiva e quello dei diritti del singolo, di trovare un equilibrio tra passione e ragione (che impresa!), di coltivare con pazienza la delicata pianta dell'altruismo (e scorgerla dappertutto, tra i nuovi manager e nei concerti rock).Ma perché si è messo in testa di convertirci alla sua candida e pensosa filosofia del "provare per credere"? Forse non dirà cose banali, ma, anche in ragione delfair-play con cui intrattiene vasti uditori, sembra proprio uscito da un circolo Pickwick. Il "saluto a Craxi" Torniamo a Bettelheim, il cui vero merito consiste nel parlarci non tanto di "valori"'(per cui dovremmo batterci, o da avere come meta finale), ma di "condizioni" che, qui e ora, permettono di vivere. È impossibile fame un elenco, anche perché le parti più belle del libro non sono tanto le esplicite conclusioni morali, ma certe pagine narrative, descrittive. Per esempio, la fami-
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