Linea d'ombra - anno VII - n. 35 - febbraio 1989

IL CONTISTO partire credo sia il riconoscimentodella sconfitta subita attorno agli anni Ottanta dalla sinistra e dalle forze del rinnovamento. Tralasciamopuredianalizzare,pur se è uncompitodanonrinviare e archiviare con troppa disinvoltura, quando e come quésta sconfitta si è consumata (personalmentecredo che sia avvenuta tra il 1975 e il 1978, principalmente per l'incapacità dellasinistra arispondereinmodonuovoe diversorispettoaiprecedentigovernanti a quel mandatodi cambiamento espressoda un decenniodi lottesociali,vittorieelettorali,conquistelegislativee istituzionali, mutamenti culturali e sociali consolidati,ecc.). Resta il fatto che quella sconfittanon è stata solo una sconfittapolitica.È stata anche la sconfittadi una antica e tradizionalecultura solidari- - stica (uso il termine non nell'acceziòne cristiana, ma in quella della solidarietàdi classe su cui era natoe si era sviluppatoil socialismo italiano).Quella cultura era stata ravvivata e riaccesa, dopo la fasedell'egemonia comunistasulmovimentooperaiocaratterizzatadauneccessodi statalismoedallaprevalenzadelladisciplinadi partito,dalSessantotto,cheviaveva innestatoaltrielementi (l'antiautoritarismo, l'anticonsumismo;ponendo in modo nuovolequestionicrucialideglianniSessanta:larealizzazionedi una compiutademocrazia e l'affermarsi di un diversomodello socio-economicodi sviluppo).Che tuttociò sia stato sconfitto, è difficile dubitarlo, guardando ai modelli e ai valori oggi prevalenti. Quella sconfitta,tuttavia, non ha significatoda noi la vittoria e neppure l'emergere di quella cultura del/' individualismo o del cittadinocheesisteda tempoinaltripaesi (InghilterraeUSA.meno e diversamentein Francia e Germania;su questo tema si può dibatterea lungoe invarie direzioni,a partire dall'influenzadelledifferentiscelte"religiose"di questipaesi). In questosensol'Italia continua a rappresentare un'anomalia che l'approssimarsi della scadenzadel '92 rende ancora più evidente. Se si accettacomepuntodi partenzaquestaanalisioccorreperòanchechiedersisequestaculturadellasolidarietà(coniprogetti e i programmi che le hanno ruotato attorno) sia stata sconfitta profondamentema temporaneamenteo se invece non abbia fattodefinitivamenteil suo tempo;non tantoin termini idealio moralima squisitamentemateriali (che nones.istanopiù, cioè lecondizioni per la sua sopravvivenza,sia da un puntò di vista oggettivo che soggettivo).Viene infatti da domandarsi se lo sviluppo della societàcomplessivamenteintesa nonabbia fattoun saltoin unarealtà incui il solidarismo- pur potendorestaree di fattorestandounacomponente,un bisogno,unvalore,ecc. - non riesce più ad assumereunavalenzapoliticapropositiva,e ancormenoa candidarsiali' egemonia.E se la sconfitta,di conseguenza,sianata prevalentementedall'attardarsi a proporre un modelloormai esaurito e obsoleto, l'errore consistendoproprio nella coerenza maggiore,o comunquedi più probabilesuccesso,del modelloalternativoattuatoo assecondatodall'avversario. Perché, in sintesi, il tentativodi opporsi alle linee di tendenzaesistenti nellasocietà e prevalentinei gruppi dirigenti,non ha trovato forza, idee, obiettivi,per realizzarsie per imporsi?Per una sortadiegemonia, di forza ineluttabiledel percorso già intrapresoe che non si sarebbe potuto deviare comunque, o perché il tentativodi modificare il percorsoha comportatoun "piegarsi" e un subordinareal1'esistente quelloche avrebbe dovutoessere un modelloalternativo? Detto in termini semplicisticie brutali: la colpa principale è del riformismo del PCI che è scesoa patti e compromessicon i detentori del potere accettandone in buona misura se non i valori certo unapartedei metodi e dellamentalità;o è invecedella ingenuità (utopisticao violenta, anarchicao giacobina)dellaNuova Sinistrache altro non ha fattoche riproporreuna alteritàradicale ormai fuori dal tempo e sconfittadalla storia; o non risiede 12 addiritturanella forza superioredelle élites dirigenti, in una loro maggioreadesività (spontaneao cercatapoco importa) ai valori e ai comportamenticollettivi,a una ideologiaconservatricerampante e aggressivache sembraessereil piùadeguatocollanteculturale di questa fase dello sviluppo? Aquestopuntosi imponeunapiccoladigressionesullademocrazia, questo contesto ideologicoe normativo,culturalee istituzionale che tutti sembrano ormai accettare e considerare come orizzonteunicoe definitivodel divenirestorico.Una prima considerazione:i partiti, ma anche i gruppi di più varia natura, sono legittimatidal sistemademocraticooccidentale (a questoproposito le differenzetra le varie nazionisembranocontarebenpoco) soloquandoe inquantosi sonoaessoomologati.Essi, inaltre parole, hanno spazio, peso, ascolto e possibilità di parola solo in quantoaccettanola democrazia cosìcome è (nonsarebbeorache anche per la democrazia reale, così come si è fattoper il socialismo reale, si evitassedi rifarsiai sacriprincipicome alibipergiustificare l'esistente?). Ne risulta, di conseguenza, che la scelta e il desideriodi partecipazionesi trasformi,o comunquesi accompagni, in un obbligodi complicità.Questoaspetto doppioe ambiguo del coinvolgimento lo si può vivere oggi in tutta la sua drammaticitànelle ricorrenti polemiche sulla lotta alla mafia. È ovviochenonsipuòchiuderegliocchidi fronteallagravitàdi una questioneche ha proprie e originali caratteristiche, storiae connotati autonomie originali, che non è assimilabilead altrepur simili. Ma non si può neppure accettare il terrenodi scontro(proo contro Orlando,pro o contro Falcone)deciso dall'establishment e dai grandigiornali.Pansa può, con la sua ottusità da kamikaze, impartirelezionia Sciasciae ad altri perché il sensocomunedel- !' emergenzamafiasi è oggi attestatonelladifesa formaledi alcuni principi,formuleretoriche, ecc. e nel desiderio- che è insieme politicoeculturale,dei dirigenticomedei comunicittadinidi sottolineareladifferenzae la distanzatra lamafia vera e lamafia diffusadi cui non senza ragionehaparlatoGrahamGreene;E tuttavia occorreessere non menoduri verso chi si trincerasenza vergognadietrola difesa della normagiuridica e della sua intangibile formalità. Aquestoproposito,propriounaquestionecomeil garantismo evidenziaappienol'ambiguità del coinvolgimentoincui si è cacciata la sinistra. La sceltagarantistadi alcuni settori dellasinistra (altri continuanoa essere forcaioli:per scelta o per natura) è stata senz'altropositiva,siaper lasituazioneogg6ttivaincuici si trovava, sia per la tradizionenon certobrillante che la sinistrastessa aveva a riguardo. Il limite del garantismorisiede tuttavia,per il discorsoche qui mi interessa,nel favorire formalismie tecnicismi .(allaCarnevale,per intenderci)e nel privilegiare l'individuo in un momentoin cui mancadel tutto una affermatacultura giuridicache si riferisce ai gruppi, ai molteplici e variegatisoggetti sociali.Accanto all'indubitabile buono, quindi, si affianca unatteggiamentoche è necessariamenteconservatore,chenonsa mai preveniree anticiparema sempregiocare di rimessae troppo tardi. Questo è anche il motivodello scarso consenso (in termini di opinionepubblica generica)che ha avuto il garantismo: inesistentequandopiù serviva (ad esempio negli anni Cinquanta) e strumentoormai inadeguatoquanto lo si caldeggia (I 'idea o il pregiudiziopopolare che l'epoca del terrorismo, della delinquenza organizzata, dello sfascio ecologico non possa essere combattutacon le armidel dirittoborgheseclassicohaaspettidegni di interesse,e che non coincidono, se non superficialmente, con quellidi cui si sonofattiportavocepolitici e magistrati emergenzialisti).Per tornare alla democrazia,quando vi eranopartiti, gruppi,pezzidi societàche si opponevano,siapraticamentesia in termini teoricie ideologici (e nonerano quindi legittimati)all'e-

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