IL CONTISTO I 11 Cittadini'' dell'89 Marcello Flores A duecent' anni dalla rivoluzione francese ·cosa ne è dei suoi lasciti in un paese come l'Italia? che razza di gente sono diventati i "cittadini"? Il 1989 si apre - meglio sarebbe dire che già si è aperto - avendo come punto di riferimento il bicentenario della rivoluzione francese. Anche il mondo politico, oltre a quello culturale, sembra avere colto questa ghiotta ricorrenza per riverniciare eriformulare le proprie identità ideologiche. La prima impressione che si ricava è che si tratti di un "bicentenario di tutti", in cui possono razzolare senza vergogna perfino monarchici, cattolici, legittimisti. La tendenza prevalente non sembra quella di scegliere in blocco "una" delle rivoluzioni che si sono succedute alla presa della Bastiglia, ma di focalizzare l'interesse solo e unicamente sull'Ottantanove: privilegiandone magari un solo aspetto e in questo modo - senza ovviamente negare gli altri-l'egiuimando in un afflato pluralistico e tollerante le proprie posizioni. Il minimo comune denominatore che sembra accompagnare questa ricostruzione/utilizzazione dell'avvenimento - e da questo punto di vista nessuna ricorrenza poteva capitare più a proposito ---è il porsi "dalla parte del cittadino", fare perno sull'esaltazione del citoyen, sulla sua rivincita e contrapposizione nei confronti dello strapotere dello stato. È, questa, una esaltazione a più facce. Vi è quella del cittadino come individuo, che sottende un recupero generalmente acritico della tradizione liberale e borghese. Vi è quella dell'homo oeconomicuso,ascelta,delself made man, su cui si fonda il rilancio della cultura imprenditoriale, il mito dell'impresa e del libero mercato (che però, al dunque, non disdegna la protezione dello stato: vuoi contro idrogati, vuoi contro la temuta invasione di automobili giapponesi). Vi è quella del cittadino come consumatore o come abitante del pianeta caldeggiata dalle associazioni "civili" o "ambientaliste", ma che ha ormai trovato_partigiani più o meno sinceri ben al di là dell'arcipelago verde. Vi è quella del cittadino come detentore di diritti generali, propria della tradizione radicaleggiante. Vi è quella della difesa dallo strapotere dei partiti e dall 'espropriazione progressiva dalla politica cui si è assistito negli ultimi venti anni. Vi è infine quella di chi, come il PCI, le mescola un po' tutte confondendole magari con un femminismo tardivo, convinto che il vestito di Arlecchino sia il più adatto per rinnovare e rinverdire i fasti del socialismo italiano. In questa dimensione nuova e avvolgente con cui il tema classico del "cittadino" è genericamente riproposta sotto multiformi aspetti, sembra manchino due elementi fondamentali, caratterizzanti: un confronto "spaziale" e una comparazione "temporale". Cosa si cela infatti dietro il disinteresse di un confronto spaziale? Ciò che si dice e si intende sul terreno della democrazia, dei diritti del cittadino, dei valori e dei principi dell '89, vale solo per chi parla, per chi ha già quei diritti e quei valori, o anche per chi è lontano o contiguo in termini geografici, nazionali, etnici, di classe? La schizofrenia di utilizzare solo quando fa comodo la difesa "globale" del lascito dell'89, e di trovare spesso giustificazioni o scuse ("è un'altra cosa", "ha un'altra storia", "è un'altra cultura") per mutare improvvisamente e arbitrariamente il metro di giudizio e i riferimenti interpretativi, a cosa è dovuta? Al sovrapporsi di più tradizioni, verità, eredità che la rivoluzione francese ha lasciato ai posteri, o ali' arroganza dei depositari "storici" della corretta interpretazione? Intrecciata al confronto spaziale, ma forse ancora più importante è la mancanza di ogni comparazione temporale nel recente revival della centralità del cittadino. Non si vuole qui iniziare, o meglio riprendere, una questione certo non marginale come quella del carattere storico, della cultura di fondo, dei connotati tipici del nostro e di altri paesi, del nostro e di altri popoli. È quanto si sta dibattendo in modo assai fumoso e strumentale a proposito del "caso Jcnningcr"; cd è quanto ha cercato di fare Silvio Lanaro nel suo ultimo lavoro e ha fatto in modo sintetico 'e incisivo Graham Greene in una recente intervista (sostenendo che la scadenza "comunitaria" del 1992 lo portava suo malgrado ad appoggiare la Thatcher, non ritenendo un vantaggio uniformarsi, tra l'altro, a· paesi come l'Italia governati da un partito mafioso e da una classe politica che ha fatto propri i metodi della mafia; questa offesa di "lesa italianità" non ha portato per fortuna - pochi leggono le interviste di uno come Greene - a una levata di scudi in grande stile). Concentriamo l'attenzione sull'Italia, cercando di capire in seguito a quali avvenimenti - grosso modo l'ultimo ventennio - si sia arrivati ali' attuale riscoperta del cittadino. Il punto da cui 11
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