IL CONTHTO Forattini e due suoi eroi (Foto Speranza/Grazia Neri). finta di parlare da un improbabile altrove, non riguarda ovviamente solo Forattini o la satira nel suo complesso ma rappresenta una delle ambiguità di fondo dell'opposizione politica e sindacale, della stampa e di molte grandi firme intellettuali che accettano il terreno di scontro (o di chiacchiera) che viene loro imposto: giocando di rimessa, come fa il partito comunista, Q cercando di influenzarne gli esiti con il proprio prestigio e la propria autorevolezza, come fa "Repubblica" e come tenta di fare, con minor fortuna ma con molta più finezza "Il Manifesto". Grande è la confusione sotto il cielo e a provare a ragionare in termini un po' diversi da quelli dei finti dibattiti che ci sommergono da ogni parte si rischia di passare per marziani. Però non si può fare sempre la figura degli sprovveduti ed accettare simili rappresentazioni della realtà-così naif e assai poco post-moderne! - per cui il marcio starebbe tutto nella perfidia di Andreotti, nell'arroganza melliflua di De Mita o in quella roboante di Craxi, mentre Juori e contro ci sarebbero la scapigliata e simpatica schiera dei cartoonists e che so, il modernismo di Scalfari-De Benedetti o il "radicalismo" de "l'Espresso", tutti in qualche modo portavoce del punto di vista della "gente" - pensosa dei destini del paese, per definizione - e candidamente estranea ai mali che lo affliggono, dalle guerre per bande politico-affaristiche al degrado ambientale, urbanistico e culturale. Certo, rispetto a certe forme di compromissione tra stampa e politica il ruolo della satira è decisamente trascurabile, e può apparire anzi grottesco e vagamente paranoico coinvolgerla in un discorso che la tocca solo incidentalmente. Nel bene e nel male il suo peso non è neppure paragonabile alle conseguenze che quelle compromissioni provocano nella formazione dcli' opinione comune, sia sul piano immediatamente politico, sia nell'ambito della longuedurée ideologica. Basti pensare da un lato all'uso massiccio delle interviste ad hoc da parte di leaders politici e sindacali e ali' interventismo di alcuni giornali, dall'altro al ruolo di super-ego nazionale che è andato a~sumendo "Repubblica", al punto che perfino il più oscuro consigliere di circoscrizione o il funzionario della più sperduta Camera del Lavoro nel pronunciare i 10 loro discorsi si chiedono- più o meno consciamente-se il giornale di Scalfari li giudicherebbe abbastanza trendy e spregiudicati (2). Ma non si può negare, fatte le debite proporzioni, che anche la satira concorra a determinare orientamenti e mutamenti politico-ideologici. Non fosse altro per il linguaggio che usa, un linguaggio non molto dissimile da quello della pubblicità e quindi sintetico, allusivo, necessariamente ellittico. E, al pari di quello pubblicitario, straordinariamente efficace. Quando si dice che una vignetta di Forattini colpisce più di un articolo di fondo, si dice una cosa vera, nel senso che l'impatto comunicativo cui faricorso il cartoonist è estremamente più immediato e persuasivo di quello dell'articolo giornalistico che, per -convincere, deve assemblare con una certa fatica ragionamenti e argomentazioni, "smontabili" e criticabili anche da parte di lettori ignari dei meccanismi stilistico-retorici del linguaggio verbale o della semiologia delle comunicazioni di massa. Ma spesso si dimentica di aggiungere che il carattere apodittico dell'argomentazione satirica, la facilità nel suscitare un consenso emotivo prima che razionale viene talvolta usato per veicolare messaggi quanto mai rozzi e inquietanti, la cui traduzione in termini discorsivi provocherebbe un certo imbarazzo per le stesse testate che li ospitano (la vignetta de "l'Espresso" sul '68 è un esempio sin troppo facile, anche se mi sembra una eccezione nella produzione dell'ultimo Forauini, caratterizzata da una pigrizia e da una melensaggine che sembrano scongiurare qualsiasi futura "pericolosità"). Ma se la micidiale persuasività del mezzo può forzare il nostro giudizio su personaggi, eventi e fenomeni contingenti, vi è un altro aspetto della satira politica - in parte probabilmente intrinseco al genere, in parte certamente legato al suo livello di istituzionalizzazione- che non solo ne frustra ogni intenzionalità "eversiva", ogni velleità di porsi come una sorta di contropotere, ma la trasforma in un inconsapevole quanto formidabile strumento di consenso. I singoli autori possono anche essere animati dalle "peggiori" intenzioni, da livori e crudeltà autentiche, possono anche scatenare l'ira e le querele dei potenti presi di mira; ma l'effetto per così dire cumulativo dei loro attacchi sarà comunque, alla lunga, quello di suscitare nei loro confronti la nostra indulgenza, la nostra simpatia, persino il nostro affetto. Di trasformarli cioè in figure e figurine familiari del nostro pantheon nazionale, a cui tutto sommato - come per il varietà del sabato sera e i telesermoni di Enzo Biagi - ci dispiacerebbe rinunciare. In questo senso, il "gran rifiuto" di Forte dei Marmi, anche se filologicamente corretto e moralmente inevitabile, è tutto sommato ingenuo, perché l'assegnazione del premio ad Andreoni non faceva altro che sancire una situazione che è ormai nei fatti, la superfluità della satira, la sua assoluta innocuità, la sua riduzione a commento umoristico dei fatti e misfatti dei politici che in qualche modo riconosce e celebra il loro successo e la loro popolarità, aggiungendovi quel sale che, come ha osservato giustamente lo stesso Andreotti, rende l'esercizio del potere ancora più eccitante. Note. 1)La definizione si trova nell'articolo La politica? Un gatto di casa, che fa parte del Dossier "La Repubblica nostra quotidiana", pubblicato nel numero 3, 1988 di "Politica ed Economia". Allo stesso Dossier fariferimento la nota (2), e in particolare, ai contributi di Vinario Emiliani (Un giornalismo infervenl ista ) e di Bruno Manghi (Anche i sindacalisti leggono fotoromanzi ).
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