IL CONTIESTO La satira è morta? Gianfranco Giovannone I limiti e le ambiguità della satira politica: le velleità di contropotere, la realtà di strumento del consenso. -y - I : .,,...,~. ; ·. / - ::: '.: ~ ~;;-,,>:- ~~.~i~/;.{> :'\,, ',·, ~ ·.\\S~ ~- ~> ~ -- - - La satira è morta, viva la satira! Nell'estate alcuni "tanghisti" seriosi e retrò, in ossequio a un moralismo inconfondibilmente anni Settanta, si rifiutano di ritirare il premio Forte dei Marmi non tollerando la compagnia di Giulio Andreotti, e qualche settimana dopo chiudono bottega. Ma la vera satira, quella non addomesticata dalle compatibilità e dalle convenienze di partito conosce una stagione particolarmente felice, per molti versi esaltante. Forattini inaugura mostre prestigiose in tutta Ilalia, pubblica un libro dopo l'altro, uno più graffiante e corrosivo dell'altro, mentre "Repubblica" lancia una iniziativa stupefacente, l'operazione Forattini-Panini-Portfolio che non poche apprensioni e malumori sta suscitando nei corridoi del Palazzo ... Ci sarebbe - se qualcuno ne avesse voglia, se ancora fosse possibile prendersela per cose del genere nell'entropia di gusti, valori e significati in cui viviamo - da mettersi le mani nei ca- . pelli. E questo non perché "Tango" debba essere rimpianto quale esempio di "humour corrosivo e dissacrante", o perché la sua chiusura rappresenti addirittura una "frontiera che i disegnatori e gli scrittori ilaliani di satira dovranno prima o poi valicare", come scrive Gino Frezza sul "Manifesto" del 10 ottobre scorso. L"'inserto di satira, umorismo e travolgenti passioni" de "l'Unità" ha avuto anzi limiti evidentissimi, che il raddoppio da 4 a 8 pagine ha spietatamente amplificato-o rivelato- sommergendo in un mare magnum di insipidezza e di noia le poche cose buone e le pochissime eccellenti - gli apocrifi di Michele Serra, le false didascalie alla maniera (ma non all'altezza) del "Male", le cronache scolastiche di Domenico Stamone e non molto altro. Lo stesso Altan appariva in qualche modo a disagio, compresso, sacrificato, certo non nella vena che gli ha permesso di diventare quello che è diventato. Quanto a Staino, al di là della felicità di questa o quella striscia e della simpatia che il personaggio da lui inventato è riuscito a conquistarsi in certi settori di ex-militanza o di ex-appartenenza, ricordo che Bobo mi sembrò già "vecchio" quando fece la sua prima comparsa su "Linus". Vecchio-il personaggio-perché la sua crisi, i suoi dubbi e le sue "aperture" erano già state ampiamente sperimentate, sofferte e consumate negli anni precedenti. Vecchio, consolatorio, piacevolmente deformante lo specchio che offriva a quanti vivevano - spesso in ritardo - il drammatico smarrimento della sinistra nei termini semplificati e banalizzati degli "Speciali" televisivi o delle tavole rotonde de "l'Espresso". Eccetera, eccetera: analoghe o simili perplessità potrebbero venir sollevaté sia in riferimento al contributo dei singoli autori, sia in merito all'impatto complessivo del supplemento satirico de "l'Unità". E tuttavia, l'insistenza sugli aspetti negativi di ''Tango" mi sembra non solo ingenerosa ma sostanzialmente sbagliata se dal1'analisi "testuale" si solleva lo sguardo sul contesto, sullo squallidissimo panorama della satira "vincente". Forse perché non riesco a dimenticare il tono sprezzante di un Forattini televisivo dell'anno scorso che, vellicato da Gianni Letta, contrapponeva la propria indomita e ruvida alterità al Potere alle risibili velleità di quelli di "Tango", compatiti per il loro status di vigilati speciali, buffoni di corte autorizzati a ridere e a irridere entro limiti pericolosamente circoscritti. Giudizio doppiamente irritante, nel merito e per la fonte da cui pro veni va. L'aspetto più appassionante e coinvolgente di "Tango" infatti stava proprio nel suo essere dichiaratamente, sfacciatamente di parte, nella sua provocatoria e "calda" faziosità che impediva alla sin troppo celebrata autoironia e autoflagellazione di scadere in un manierismo intellettualistico, facendone invece uno strumento capace di far affiorare, nei suoi momenti migliori, umori, inquietudini, malesseri importanti e diffusi che non riuscivano a trovare espressione nel povero e triste linguaggio dei documenti ufficiali, o ad assumere rilevanza nella discussione interna al partito, drammatica nei toni ma paurosamente vuota di passione, intelligenza e prospettive ideali. Le insufficienze di ''Tango" non stanno insomma nella sua "anomalia" ma, al contrario, nel suo condividere la stanchezza, la povertà di idee, l'incapacità di scegliere un punto di vista radicalmente "altro" rispetto al compiaciuto conformismo e alla aggressiva volgarità di questi anni Ottanta- in una parola le miserie di tutta la satira italiana. A cominciare naturalmente da quello che Luigi Manconi ha definito il "tragico" "Satyricon" e dalle vignette di quel pestifero ragazzaccio che lo dirige (1). Ecco, forse ciò che risultava davvero insopportabile nella citata intervista televisiva non era tanto il sarcasmo nei confronti di Staino, Serra e compagni, quanto l'ennesima riproposizione dell'immagine di enfant terrible che all'autore del Kualunquista piace impersonare e che_ trova riscontro non solo nella compiacenza di Gianni Letta ma è generalmente accreditata - ad esempio dalla gente che ti strappa "La Repubblica" di mano per dare un'occhiata alle vignette di uno che "gliele sa cantare". Una pretesa -quella di chiamarsi fuori, di rivendicare una alterità sdegnosa e intemerata rispetto alle meschinità e alle nequizie dei politici - che non si sa se giudicare ingenua o in malafede proprio per la qualità simbiotica di gran parte della nostra satira, tutta interna al linguaggio e alla logica delle risse di bassissimo profilo in cui si risolve l'attuale dibattito politico. Questa "subalternità critica", il desiderio di esserci e di contare facendo 9
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