FEBBRAIO1989 - NUMERO35 LIRE7.000 ' mensile di storie, immagini, discussioni H.ARENDT · H.M. ENZENSBERGER: C IMINEPOLITICA SANGUINETI: Il CRITICOCOMESTORICO DUERACCONTI D MAVISGALLANT TRESTORIEDICRISIORDINARIA DROGAEUOMINID'ORDINE MODELLISCIENTIFICI ESCELTEPOLITICHE
Dal primo al secondo volume la terra inizia • a girare intorno al sole. L'evoluzione del pensiero scientifico dall'età di Copernico ai giorni nostri. S10RIADELLASCIENZA MODERNAECONTEMPORANEA diretta da PAOLOROSSI Articolata in tre volumi in cinque tomi, l'opera ripercorre la Storia del Pensiero Scientifico, le teorie, ·i concetti, le metodologie delle diverse discipline, i loro rapporti e il contesto culturale e sociale in cui sono sorte. In un unico ampio quadro storico, la risposta completa e autorevole alla sempre più vasta esigenza di conoscere i fondamenti, le leggi, i presupposti della scienza. Un'opera indispensabile per comprendere meglio la scienza e la sua influenza sulla vita. --- u'fET EDITORI DAL 1791
•••• I 11 I 1111 I I I I •••• REGIONE D EL L' U M B R I A CENTRO PER LA REALIZZAZIONE DELLA PARITA' E DELLA PARI OPPORTUNITA' TRA UOMO E DONNA - Il CENTRO, istituito con Legge Regionale, ha la finalità di "favorire l'effettiva attuazione dei principi di uguaglianza e parità sociale sanciti dalla Costituzione, dalle leggi e dallo Statuto regionale". A questo scopo verifica l'applicazione delle leggi di parità esistenti, promuove iniziative istituzionali, predispone progetti e formula pareri nei confronti degli organi regionali. - Il CENTRO promuove e favorisce l'incontro e la relazione tra donne, la ricerca e l'elaborazione delle donne, la riflessione e l'iniziativa sui temi della differenza sessuale e della condizione femminile. In collegamento con i gruppi e le associazioni femminili, con i Progetti-Donna dei Comuni, sviluppa iniziative volte ad allargare la cittadinanza sociale delle donne. - Il CENTRO svolge attività di informazione, documentazione e consulenza a partire dai temi della parità e della violenza sessuale. A questo scopo istituisce una biblioteca ed alcuni servizi specializzati (il "telefono rosa", la consulenza legale, la consulenza psicologica), con i quali stabilire una rete di relazioni tra le donne e l'insieme dei soggetti sociali e istituzionali presenti nel territorio.
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Direttore Goffredo Fofi Direzione editoriale Lia Sacerdote Gruppo redazionale Adelma Aletti,Giancarlo Ascari, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli, Paolo Bertinetti, Gianfranco Bettin, Franco Brioschi, Marisa Caramella, Cesare Cases, Grazia Cherchi,·Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Alberto Cristofori, Stefano De Matteis, Riccardo Duranti, Bruno Falcetto, Fabio Gambaro, Pergiorgio Giacchè, Aurelio Grimaldi, Giovanni Jervis, Filippo La Porta, Gad Lerner Marco Lombardo Radice, Marcello Ll;rrai, Maria Madema, Luigi Manconi, Danilo Manera, Edoarda Masi; Santina Mobiglia, Maria Nadotti, Antonello Negri, Cesare Pianciola, Gianandrea Piccioli, Bruno Pischedda, Giuseppe Pontremoli, Fabrizia Ramondino, Alessandra Riccio, Roberto Rossi, Franco Serra; Marino Sinibaldi, Paola Splendore, Giarmi Turchetta, Emanuele Vinassa de Regny, Gianni Volpi, Egi Volterrani. Progetto grafico Andrea Rauchi Gnphiti Ricerche iconografiche Carla Rabuffettl Relazioni pubbliche: Miriam Corradi Esteri : Regina Hay_onCohen Amministrazione : Emanuela Re Hanno inoltre collaborato a questo numero Franco Cavallone, Roberto Cazzola, Giorgio Ferrari, Sandro Ferri, Edoardo Fleischner, Giancarlo Gaeta, Bar,bara Galla, Bruno Mari, Roberta Mazzanti, Grazia Neri, Michele Neri, Varma Massarotti Piazza, Marcelo Ravoni, l'Archivio fotografico ''Tuttolibri/La Stampa", l'ufficio stampa della CBS.e delle case editrici Bomp1ani e Serra & Riva, la libreriaTadino di Milano Editore ,Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 - 20124 Milano Te!. 02/6691132-6690931 Distribuzione nelle edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.DN. - Via Famagosta 75 - Milano Te!. 02/8467545-8464950 Distribuzione nelle librerie PDE - Viale Manfredo Fanti 91 50137 Firenze - Te!. 055/587242 SL~ampf?- v· Pu . . 6 1tounc sas - 1a ccrru Buccinasco (Ml)-Tel. 02/4473146 LINEAD'OMBRA Mensile di storie, immagini, discussioni Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393 Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo IIIn0% Numero 35 - Lire 7.000 Abbonamenti Abbonamento annuale: ITALIA: L. 65.000 da versare a mezzo assegno bancario o c/c pc>stalen. 54140207 intestato a Linea <l'Ombra. ESTERO L. 90.000 I manoscritti non vengono restituiti Si risponde a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. I Questa nVIsla è s!ampa!a su cana ncrclala LINDE'AOMBRA anno VII febbraio 1989 numere>35 IL CONTESTO 4 9 11 16 21 34 Marino Sinibaldi Gianfranco Giovannone Marcello Flores Filippo La Porta Mario Cuminetti Rocco Carbone Tutti drogati La satira è morta? I "cittadini" dell '89 "Preferirei di no" Credenti e no: la strada da fare insieme Pascoliana RUBRICHE: Media (O.Pivetta su droga e tv a pag. 6),Inmargine (G. Cherchi apag. 8), Confronti (M. Turchetto su Pietro Barcellona a pag. 14; P.C. Bori sugli scritti religiosi e politici di Tolstoj a pag. 20; L. Binni su Nathalie Sarraute a pag. 26; M. Caramella su Evelyn Scott a pag. 29), Letture (G. Fofi su T. Lindgren, A. Szczypiorski, C. Isherwood; D.H. Lawrence, T. Wolfe, G. Celati a pag. 23), Antologia (La cella di Ruth First a pag. 24), Cinema (MA. Saracino su Un mondo a parte di C. Menges a pag. 25), Musica (M. Lorrai su Kip Hanrahan a pag. 25), Memoria (A. Baricèo su Massimo Mila a pag. 30), Teatro (M. Rose su Harold Pinter a pag. 31), Scienza (R. Tomatis su un convegno per Maccacaro a pag. 32), Promemoria (a.pag. 36). POESIA . 47 62 64 Volker Braun Bianca Tarozzi · Marco Rossi-Doria STORIE 48 65 68 71 Mavis Gallant Marino Sinibaldi Piergiorgio Giacchè Mario Macagno INCONTRI 53 Edoardo Sanguineti NARRARE LA SCIENZA 59 Paolo Vineis SAGGI " 37 38 45 74 78 Hannah Arendt, Hans-Magnus Enzensberger HM. Enzensberger ' Cesare Pianciola Antonella Tarpino Gli autori di questo numero Benjamin sui Pirenei La buranella Poesie Le orfane; Su al Nord Lo conoscevo bene L'invasione dell 'ultracorpo Giustizia è fatta Il critico come storico A cura di Fabio Gambaro Modelli scientifici e politica. Otto tesi Politica e crimine. Un epistolario Riflessioni davanti a una gabbia di vetro Una postilla su male radicale e alterità del male "Amor sacro, amor profano". Norme di gruppo e individualismo degli affetti alla vigilia della modernità La copertina di questo numero è di Fabian Gonzalez Negrin
IL CONTESTO 4 Carelettricie cari lettori, direcentesonostatointervistatoa ''V a' pensiero",ealla domandasu cosapensassidellatelevisione ho risposto conunaformuletta-di quellechesi elaboranoneglianni e che servonoa spiegarsi,in condizioniunpo' estreme, quandoc'è bisognodi chiarezzeprimariee immediate.per esempioquandoqualchegiovaneti pone questioniimbarazzantieperentorie.Mi è venutoinmentechequesteformulettepote,sseroservireadefinirmeglioil lavorodellarivista.perquantostringate,e,avutoconfermadiquesta"intuizione"dai redattori-collaboratorpiiù assidui e dipiù vecchiadata, ho dedso disottoporleallavostrapregiataattenzione. La prima (quelladi "Va'pensiero") riguardala cosiddettaculturadi massa,omeglio,laproduzioneculturaleper lemasse.Ebbene:esisteunaproduzioneculturale per lemasseche eleva il (ivelloculturaledellemasse(ed è rara,madaChaplina Greene,daDylana Vcmnegute, cc., rionmancadigrandiegrandissimiesempivicinie lontani); ne esisteunache lo lascia dove lo trova ( e nellacitatatrasmissione,vi includevo "Va' pensiero", ma sbagliando, perchéquest'annoè scesodiciamoda "Tango"al "Satyricon"...); .eun'altra- dominante,massiccia,pervertitae pervertente-che lo avvilisce, abbassa, sporca e annulla./ prodottidellaculturadimassaandrebberogiudicatianche e soprattuttodallalorocollocazioneinquestoschemino. Secondaformuletta, in rispostaalladomanda:cosafa sì cheun'operasia "bella" o "brutta"?Lapongonoi giovani scrittorionesti con se stessi ( ma sonorarissimi). La miarispostafacilefacileèchecivogliono:talento(cheè un donodinaturaodiprowidenza, indispensabile basilare), cultura,eprogetto(cioè importanzao alteizadelprogetto anche il più soggiacente;un.mioamico,criticoletterario, · sostituiscequestaparolaconun'altra:stile).Rareleopere in cui ci sianotuttee tre le cose.Maalmenodue.. .! Terzaformuletta:_ cherazzadiintellettualic'è ingiro, in Italia.Di tre tipi:quelli chehannopoche ideema sbagliate(coni qualia voltesipuò anchelitigare);quelli(da evitare, e sonoipiù, esonogramigna,e allignanoovunque, esonoipeggiori)chesonostatifolgoratidall'incontrocon Borgesnellabibliotecadi Babelee hannotuttele ideedel mondoe il contrariodi tutteleideedelmondo,e si eccitano sommamenteper le "varianti"senzamaiporsi ilproblema se questeidee6 varianticorrispondonoa qualcosa,sono gius~eosbagliate;e infinequellidipocheideecheritengonogzuste,masoprattuttocercanodi verificarle,di attuarle, di rapportarlea unaprassi,o addiritiuraè dallaprassiche le hannoricevute. Ultimadomandae ultimarisposta,sullaquestionepiù · questionedi tutte:esiste "il senso"?C'è chi rispondedi sì (peresempioi credenti)e ricavadaquestacertezza,sovente,molteapplicazionitremende;c'è chirispondeno(enericava-si trattaa volteanchedeglipseudoborgesdi cuisopra--.i peggiocomportamentit,anto ... oppureundisperato,eper mechequi scrivo,per esempio,un insopportabile . cinismo);ec' èchirispondecheilsensononc' èmabisogna inventarlo,costruirlo,suquestasolaterrae inquestaunica .vita.Ma ancoraunadivisioneva segnalata,aU'internodi quest'ultimaschiera:tra chiritieneche il sensovadadato dall'alto, echiintendecontribuireacostruirlo,a crearlo dal basso. Noi vogliamoappartenere - quasi tutti - a quest'ultimogruppo. Leggiamo i giornali, ascoltiamo GR e TG, stiamo attenti alle discussioni nei bar e sugli autobus: eppure capita che una mattina ci si sveglia e si trova questo paese peggiore di come lo immaginavamo, si scopre una nuova ferita, un nuovo arretramento della sensibilità sociale, la cultura, la politica. Quasi che il pessimismo non fosse mai abbastanza. Questa è la desolante e non credo solo personale sensazione . che sta accompagnando la gestazione della nuova legge antidroga, una manifestazione esemplare deH' opacità dei tempi e del deteriorarsi di ogni tessuto di convivenza e di solidarietà. Un dramma che c'è, è sotto gli occhi di tutti, ha per anni dilaniato la vita delle nostre città, viene improvvisamente affrontato come fosse un'emergenza: un blitz spettacolare, una frettolosa "discussione'\ una legge forte. "Senza tregua né tolleranze"; come recita dai muri un manifesto del Psi. L'epoca della politica spettacolo (un aspetto del più generale e totalitario trionfo della forma spettacolo che ormai domina e plasma l'intera società, come ben avevano intuito i situazionisti) rende patetico e perdente ogni tentativo di ragionare, esaminare esperienze concrete, confrontare opinioni. Ogni tentativo di affrontare ''il problema", e cioè il conflitto, il comportamento deviante, la contraddizione sociale, con strumenti di minima razionalità (senso della misura e della complessità, equilibrio, concretezza senza pregiudizi: tolleranza, appunto) è immediatamente fuori gioco. Vince sempre l'eccesso, la voce grossa, la semplificazione grossolana ed emotiva; vince chi affronta i problemi semplicemente tagliando i nodi. È un meccanismo talmente efficiente e rodato da appari~ irresistibile, specie se viene messo in funzione nei confronti di questioni ormai inasprite e che riguardano la sfera più instabile e suggestionabile della vita sociale. Anzitutto si inventa un nemico, si identifica, con la massima semplificazione possibile, l'ostacolo che impedisce la soluzione del caso (Primo Levi è morto perché in Italia è stato abolito l'elettroshock, scrive un cretino in America: e subito il più grande quotidiano italiano riprende la "notizia" ... ). Ncll 'occasione della cosiddetta lotta alla droga sotto accusa è una legge; la solita legge partorita a metà degli anni Settanta anche come risposta e reazione a una qualche esigenza emersa dalla società, a un qualche movimento. E anche se nessuno ne parla, va ricordato che un movimento (un piccolo movimento di massa, chiamiamolo così) che discuteva e lottava sulla droga esisteva: si espresse, per esempio, nelle feste del Parco Lambro a Milano e in un.grande festival politico-musicale a Licola, vicino Napoli, che si tenne proprio in quei mesi, tra l'estate e l'autunno del 1975. Non solo quel movimento non sottovalutava la drammaticità del problema-droga ma ne era ossessionato: era l'unica realtà che, nella disattenzione generale, denunciava la diffusione del- !' eroina, smascherava strategie di mercato che oggi troviamo descritte con toni apocalittici su tutti i giornali, chiedeva una legge che iri qualche modo limitasse la diffusione della morte per droga. E falso dire.che non ci fosse allarme e che non si afferrassero le dimensioni del pericolo. Anzi, si drammatizzava e con ingenua ideologizzazione si riteneva che l'eroina fosse un'arma còscientemente puntata dai "padroni" contro i "giovani proletari" . Ma con tutto iì suo infantilismo, quel movimento aveva la più matura delle qualità: la capacità di distinguere, questa prerogativa decisiva della tradizione liberale oggi cancellata dal!' estremismo neolibertista. Distinguere le droghe e le persone ("i drogati"), le motivazioni e le punizioni, le strategie di dissuasione e di salvezza. La legge del 1975 nacque anche come ambigua risposta a quella sensibilità: le disposizioni relative alla "modica quantità",
IL CONTESTO Tutti drogati Marino Sinibaldi . • Il dibattito sulla nuova legge sulla droga, il movimento restauratorio che ha alla sua testa il PSI: segnali di deterioramento di ogni tessuto _disolidarietà. Foto Agenzia Sven Simon (Bonn)/Grazia Neri. peresempio,derivavanodallaconstatazione~talmenteovviada non potere essere ignorata nemmeno dal legislatore più ottuso - che il maggior luogo di diffusione e drammatizzazione (ossia di aumento delle frequenze e della pericolosità dell'uso di droga) era proprio la prigione. La storia - secondo la banalità che per consolarci continuamente ci ripetiamo- la scrivono i vincitori. Ma nemmeno i vincitori possono chiederci di dimenticare e mentire. E allora sulla storta della lotta alla droga in Italia, questa piccola verità va detta. E solo un esempio, naturalmente, del grumo di falsificazioni, schematizzazioni, strumentalizzazioni e mezze verità sù cui si basa la campagna antidroga. Smentite precise, ma chissà quanto efficaci, aiTivanoda quel po' di controinformazione che si è attivata in questi mesi: sulle pagine del "Manifesto" edell"'Unità" ,nei programmi di Radio Radicale e soprattutto nei numerosi e inoppugnabili interventi di Giancarlo Amao. Non si può che rimandare a quegli articoli; e dunque accennare appena i motivi specifici di opposizione ai provvedimenti in discu!lsione, a partire dalla loro sostanziale inapplicabilità, dal fatto che ogni parificazione e indistinzione fra le droghe favorisce nei meccanismi del consumo e del mercato le droghe più forti, dall'incapacità di indicare misure che non siano repressive fino all'illiberalità. E magari avere il coraggio di ricordare che dietro la droga ci sono anche specifiche situazioni individuali e sociali che si può almeno provare ad affrontare (e più sommessamente ripetere, spiegare, dimostrare che buona parte delle sostanze considerate droghe eritenute oggi "illecite" fanno meno male, molto meno male di sostanze non solo considerate lecite ma pubblicizzate come status symbol e strumenti di socializzazione e integrazione: i superalcolici, per esempio). Qui vorrei invece sottolineare un risvolto più generale. I toni del dibattito e la "filosofia" delle misure adottate rappresentano infatti il segno più evidente di una svolta epocale nella politica e la vita sociale del nostro paese. Specie se lette insieme a provvedimenti meno gravi ma non meno significativi decisi nello stesso giro di settimane (per esempio la liquidazione dell'equo canone, il còndono agli evasori ma anche, che so, la riforma degli esami di maturità), configurano i nuovi principi ispiratori o, come si diceva, "regolatori", della vita sociale. Con uno slogan, potremmo così riassumerli: punizioni per i deboli premi per i forti. Dalla gestione delle fabbriche alla legislazione statale, l'intera società pare riorganizzarsi intorno a questo orientamento, a questa norma bifronte. Non è solo il tracollo del "welfare state", come avviene altrove in Europa (ma spesso con un senso del limite e della misura sconosciuto a noi, popolo latino). È anche la caduta (il suicidio) di una cultura cattolica della solidarietà che, in uno stato sociale debole, ha funzionato come una rete di sicurezza, un'incerta e insufficiente supplenza. La cultura cattolica recupera la propria vocazione moralistico-reazionaria, sfugge come una peste "il pietismo", si integra nella nuova ideologia italiana: metabolizzata la crisi dei valori, ricomincia la marcia dei principi. Del resto, dal punto di vista politico è inutile farsi illusioni: come dimostra anche solo la cronologia della vicenda antidroga, la testa di questo movimento di restaurazione dell'autorità è oggi rappresentata dal Partito socialista. Sua la teorizzazione e la conseguente applicazione di una cultura politica che ignora alcuni conflitti (sulle case sfitte o l'evasione fiscale, niente decisionismo, eh ... ) e ne drammatizza altri; si fa beffe di ogni reale competenza ed esperienza (come quella dei giudici, per esempio, o delle comunità: competenze non sempre limpide e "insospettabili" ovviamente) in nome di una nuova autonomia del politico, della decisione centralizzata, con un rapporto di tipo borbonico con i peggiori istinti che emergono, ampiamente favoriti e blanditi, nella società; che risolve ogni problema, ogni conflitto, ogni contraddizione con la pura esibizione di energia. Questo è l'approdo della cultura emersa all'inizio degli anni Ottanta. Sotto l'apparenza laica, è una cultura estremista, un "vogliamo tutto" rovesciato. Vuole il consumismo e l'antinucleare, per esempio. E vuole, soprattutto, una società competitiva e meritocratica senza pagarne il prezzo più ovvio e naturale: l 'esistenza di sacche di inabilità, di debolezza, di irriducibilità a quei principi. Dì una marginalità che è fisiologica, di cui forse non si pos5
IL CONTESTO Sopra: coltivazione di coca in Perù (J. C. Criton/Sygma/Graxia Neri). Sotto1 un corriere della droga (foto Manchete/Grazia Neri). sono che combattere gli effetti disgregativi ma che va soprattutto affrontata con tolleranza; e non può esserepuramente repressa. Se c'è stato un dato positivo, in questa nuova ideologia neoliberale, era nella rivalutazione della libertà; anzi delle libertà: un'apertura apparentemente illimitatache sembrava capacedi rimescolaree rimettere in discussione le grandi, vecchie cuiturepolitiche. Ma è stata una primavera breve e fasulla. E verrà davvero il tempo che rimpiangeremo la vecchia cultura cattolica, come Pasolini prevedeva 15anni fa. Già ora, del resto, rimpiangiamo la tradizione liberale e i suoi valori. Non si tratta di riflusso. A venti anni dal '68, nessuna reazione a eventuali e ormai antiche unilateralitàpuò giustificare la cultura che sta avanzando in Italia. Amici meno pessimisti dicono che il dissenso degli esperti della lotta alla droga (comunità,medici, psicologi, ex tossicodipendenti) è troppo forte perché la legge vada in porto così com'è. Ma a questo punto tutto ciò conta relativamente. È infinitamente più grave il messaggio di semplificazione e drammatizzazione della realtà, di svalutazionee irrisione di ogni competenzaed esperienza concreta, di brutale improvvisazione in nome di ferrei principi simil-etici. È infinitamente più profondo e forte il movimento che trasforma questo paese e i suoi cittadini in irresponsabili preda di pregiudizi ancestrali,senzamemoria,mai ingrado di valutare serenamente le ragioni,di affrontare con tolleranza i conflitti e le contraddizioni, di viverecon un minimo di misura e di equilibrio emotivo i drammi sociali. In una parola, tutti drogati. 6 MEDIA . · Tanta droga a Samarcanda. Una merce che vale oro nell'audience e nelle tirature Oreste Pivetta Sono un cittadino comune. Non ho mai avuto alcun rapporto con la droga. Anzi sono esente da vizi. Non fumoneppure; Confesso di aver pensato alle tossicodipendenze di qualsiasi genere con discreta indifferenza. La questione non mi tocca. Ma essendo di sinistra oltre che "comune"non mi sono sentito di ignorarla del tutto. Qualcosa bisognerà pur fare. Che cosa non so. Tra Craxi che metterebbe tutti in manette e il condomino che scenderebbe la notte armato per difendere l'aiuola di fronte casa dalle siringhe, non riesco a trovare una strada solidaristica. Sposo l'intolleranza totale. Metterei inmanette tutti: ipadroni, i bottegai, gli operai perbene, chi butta le cartacce per terra, chi parcheggia sui marciapiedi, chi suona il clacson, il dentista che non mi dà la ricevuta fiscale, tutti i proprietari di case, prime e seconde, gli ubriachi molesti e i fumatori. Ma con i drogati (chiamiamoli alla fine così anche se il nostro amore per le sfumature ci consiglierebbe il termine tossicodipendenti), re: sto nel dubbio, non so che fare, che dire. Che la droga fa male. Che sarebbe meglio smettere. Che si può studiareelavorare.Nonsapreineppure, alcontrario di Scalfari in uno dei recenti numeri del "Venerdì", dare della "stronza" a una ragazza che, in una lettera, si collocava tra i "drogati che non sono tali per la mancanza di un progetto che li coinvolga ma per una precisa scelta esistenziale, di ricerca interiore ed evolutiva". La ragazza, con un filo di arroganza, si professava quindi oltre che drogata intelligente e speculativa, come un buon filosofo, senza credere evidentemente di poter giungere alla buona filosofia per le vie tradizionali del pensiero. Lei ha bisogno di qualche cosa d•altro, che ritiene indispensabile. Ma a questo punto esclude me cittadino comune esente da droga e senza vizi dalla possibilità di seguire le stesse vie di indagine interiore e di ascesi (a tanto, mi pare, lei mirava). Lei ritiene allora che io sia stupido, mi costringe nella stupidità. Poche pagine più avanti nel luminescente appendispot scalfariano Luciano De Crescenzo (il filosofo?) spiega che invece proprio i drogati sono stupidi e che per battere la droga occorre la propaganda nello stesso indirizzo. Spiega De Crescenzo: "Se non sono diventato omosessuale è perché a Napoli quand'ero ragazzo la peggiore offesa era costituita dalla parola ricchione". Così basterebbe dare dello "stupido" al tossicomane e questo smette. Proviamo anche così. Però di questo passo si arriva alla conclusione che tutti i mezzi sono leciti: le manette di Craxi, le percosse di Muccioli, le candele alla Madonna, la psicoanalisi di gruppo, i lavori forzati, le docce fredde. In un modo o nell'altro la speranza si apre. Si può dire che i regimi carcerari non sono utili e sono improponibili, si può sostenere che è meglio invocare il miracolo del cielo. Ma, in ogni caso, dietro le sbarre o in ginocchio al confessionale, si può sperare. Invece èontro ogni speranza si è pronunciata la tv, rai tre, in "Samarcanda", alla quale comodamente chiedevo luce in merito al mio problema: che fare, sequalcosa bisognerà pur fare. Sedotta dal catastrofismo, la savonaroliana Samarcanda sembra più che cercare analisi e soluzioni comminare penitenze.Tanto perché bisogna soffrire e la contrizione è il miglior viatico per la redenzione. Solo che quelli di "Samarcandà"non sono cattolici, non credono nel paradiso e ci rifilano, sapendolo, una bella fregatura. Oppure è la nuova miglior forma di altra cultura, di una opposizione che una volta si muoveva in piazza, mentre adesso preferisce i toni catacombali. Di "Samarcanda" non mi ha colpito però il rifiuto del ministro Rosa Russo Jervolino, che ha fatto scandalo e ha persino fatto incazzare il presentatore. Il ministro, pur essendo democristiana, aveva in fondo ragione. Diceva il ministro: come si fa a discutere un disegno di legge senza averne illustrati i termini? E chiedendolo prendeva la porta e se ne andava. Caso davvero clamoroso, digerito dal presentatore perché ormai tutto fa spettacolo e lo spettacolo fa audience.
Di "Samarcanda" mi ha colpito la scenetta successiva e finale. Ribatteva il presentatore al ministro: chi se ne frega, vada pure, diamo laparolaachididrogasene intende, i drogati. E ·così, telecamera in spalla, si entrava in una sala di un carcere di una città veneta, raccolti attorno a un tavolo alcuni tossicomani. Ciascuno riferiva l' esperienza personale, raccontava i suoi dolori, le sue angosce. Toccava al più anziano chiudere, magro, scavato, i capelli lunghi, una sorta di icona viaggiante del suo male e della droga. Le parole ci giungevano tranquille, persino serene, soprattutto rassegnate. Blande e familiari. La sala carceraria era linda, accogliente, alcune librerie circondavano il gruppo. La luce scendeva calda. La situazione era rassicurante. L'ultima domanda: "E dopo il carcere?". La risposta, più o meno: "Niente". Campo lungo. Dissolvenza. Fine. Lo spettacolo era fatto. Si poteva chiudere. Forse si doveva dire qualche cosa, forse una parola di speranza, qualcosa che sciogliesse i nostri pensieri e quelli stessi del giovane tossicomane in carcere, dalla immobilità di un destino segnato. Invece rimaneva li per aria quel "niente", unica cosa reale e non solo verosimile di quella trasmissione televisiva. Siamo rimasti anche noi per aria, senza ottenere una idea più precisa attorno alla legge, alla droga, ai rimedi, come mille altre volte, e come mille altre volte potevamo leggere la distanza tra noi, la televisione, la questione in discussione, una volta il drogato in carcere, un'altra volta il malato di Aids, un'altra ancora il bambino che muore di fame nel deserto del Sahel. Il drogato restava lontano da me, da un cittadino virtuoso e comune, esattamente quanto lo era prima, perché anche quel movimento di solidarietà istintivo che le immagini inducevano si spegneva con il telecomando. Come se nulla fosse accaduto, mettendo a nudo l'abisso tra me e il drogato, che per mezz'ora la televisione aveva annullato facendomi penetrare, nel buio della stanza, attorno al chiarore dello schermo, nella sofferenza di un altro .• La solidarietà ha dei limiti, di tempo, di. spazio, di lingua. Forse limiti dettati, prima ancora che dalla cultura o dalla psiche (per una refrattarietà naturale di fronte a qualunque persona si presenti diversa o malata o incompleta), da ragioni molto più solide e materiali. Nella chiesa antica si discuteva se alleviare le sofferen~edei poveri fosse un obbligo oppure un atto volontario. Se si fosse riconosciuta valida la prima ipotesi si sarebbe anche riconosciuto il diritto dei poveri a intaccare per soddisfare i loro biso gnile proprietà dei ricchi. Persino Tommaso d'Acquino vide con grande paura questa possibilità, perché riteneva che la proprietà privata fosse alla base della società civile. Quindi va bene la solidarietà ma con vincoli, ristrettezze, gerarchie ben precise e funzionali a quel modello sociale. Se si doveva aiutare qualcuno si,cominciasse dai parenti stretti, dai genitori e dai figli, poi toccasse ai fratelli e in ordine gli zii e i cugini. Il drogato, che non è mio parente, rimanesse buon ultimo, con il malato e l'etiope affamato. L'universalismo cristiano era fin dal tempo dei primi cristiani dimezzato. Non ci risulta che la proprietà privata, malgrado qualche tentativo, sia stata sovvertita nei secoli successivi. Neppure altre barriere, di razza, di religione, di lingua, di colore, sono state abbattute. Tutto procede felicemente peggio di prima, perfettamente documentato dalla tv, che ha, con più efficacia delle prediche o degli affreschi delle chiese cristiane e con ben altra immediatezza, il pregio di documentare tutto, lasciando però indifferenti davanti a tutto. Diciamo che una volta la informazione era ben più ideologicizzata e ferreamente intesa alla propaganda. Adesso la televisione ha una virtù specificamente documentaria: passa in rassegna i disastri del mondo, schiera in passerella vittime e carnefici, vale come un ambasciatore freddo di cattive notizie. Ma lo scorrere rapido delle immagini, che sembra pianificare e livellare tutte le disgrazie del mondo, cede di tanto in tanto, rivela i suoi fondamenti di parte, perché la televisione non sa mai rinunciare al suo atto di devozione nei confronti del potere, perché rimane davanti al popolo dei telespettatori il luogo di consacrazione di una autorità partitica. Sceglie ancora, insomma, i suoi buoni e i suoi cattivi. Questa discriminazione mi confonde le idee ma non mi impedisce di riconoscere almeno le vittime. Tra le quali non posso non considerare il drogato in carcere, che nell'ultima decisivarisposta, "niente", testimonia la sua condizione di totale isolamento. Lui vede che sono andati distrutti tutti quei rapporti sociali che avrebbero dovuto salvarlo. È solo. Ma deve pensare che la sua non è una questione privata, che una infuùtà di altre vittime popolano ilpianeta, le vittime dell 'Aids, quelle delle carestie, quelle di tante piccole catastrofi ecologiche. Le vittime diventano maggioranza, potrebbero esserlo tra breve. Per loro dovrebbe valere un vincolo imposto alla solidarietà, un obbligo che diventa la legge di sopravvivenza del pianeta. Cistiamoperdendo,fuùta"Samarcanda". Non credo che la televisione abbia il compito di ricreare la fratellanza universale. Ma un obbiettivo morale se lo dovrebbe pur porre, perché si è sempre parlato di infuùto potere a proposito della tv e sicuramente la tv (persino quella commerciale, che pure in Italia ha inventato uno spot Fininvest, auspice Costanzo, contro la droga) si presenta come "autorità" e sarebbe capace di inventare nella classifica delle notizie un ordine inverso alle cose del mondo, se tentasse come me di riconoscere prima di tutto le vittime. Impossibile forse. Non è a Craxi o a De Mita che interessano i drogati. Come scrive un politologo, Down (equi cito Bobbio sulla "Stampa" e Pasquino su "L'Unità"), i politici non chiedono voti per realizzare progetti, ma formulano soltanto proposte per ottenere voti. Alla rivoluzione (che non credo appartenga peraltro al nostro secolo) indicataci da Down segue tutto il resto, compreso l'uso che la tv e la stampa ci hanno mostrato della droga e di una infinità di altre sciagure, tutte tradotte in immagini e statistiche, trasformando in bene di consumo le sofferenze altrui. Lahit parade degli orrori mondiali si piega alle esigenze dello spettacolo, che è tanto più efficace quanto più riesce a coinvolgerti, presentandoti i mostri che ti possono aggredire ma segnalandoti anche la distanza che li separa da te. Leggere i reportages di "Repubblica" sulla diffusione delFoto Team/Grazia Neri. IL CONTESTO 1'Aids in America o in Italia rasenta l'autodistruzione. Al primo capoverso cominci a grattarti, al secondo ti tocchi il collo in cerca di ghiandole pronunciate, al terzo arrivi a pensare a un brivido di febbre. Fin qui sono i sintomi. Poi c'è la discesa nelle perversità, nei circoli esclusivi per omosessuali, nei retrobottega, nelle siringhe delle droghe, senza trascurare, pur con discrezione, i salotti degli oppiacei. Quindi ci tocca la lunga peregrinazione nei laboratori di ricerca, nelle cçrsie degli ospedali, tra le provette infette e lo scetticismo di medici e professori. Infine c'è la ricetta, che se considerate bene non è diversa da quella proposta da Donat Cattinnella sua bella lettera agli italiani: una sana famiglia e tanta castità. Gli ingredienti sono quelli di un qualsiasi film maccartista di qualche anno fa con l'aggiunta di alcune scene pomo: orrore, morbosità, spregio, sentimenti patriottici. Droga e Aids hanno regalato un impasto straordinario, una merce che vale oro nell'audience e nelle tirature, éhe conta assai nella distribuzione dei voti (come ha capito Craxi, che ha colto, oltre al pietismo di maniera, il perbenismo insofferente e carcerario dei tempi). A questo punto diventerebbe superflua la domanda banale che mi sono fatto, il mio interrogativo "che fare per la droga". Non ho risposte e le risposte sarebbero inutili, non ho letto analisi se non di generica sociologia, e spesso sono contraddette. Se penso alla fratellanza contro la distruzione del pianeta mi viene il mal di testa. Piccolo e impotente non salvereineppureunalberodell' Amazzonia. Spero che ci pensi la tv, nostrachiesaquotidiana, perché la soluzione dei problemi comincia dalla rappresentazione che se ne dà nella nostra cultura. 7
IL CONTHTO IN MARGINE ''Ogni nostra tragedia è una farsa" Grazia Cherchi COMINCIA L. 1 AtJhlO. P~R Il MOME.tvtOGA~At\JTIAMO GE)J~AID E FE,BSRA\O POI S.1 V(DRA'. AL)0ùRI. 1 Farsi del male In un articolodi tempo fa sulla "Stampa", Sergio Quinzio ha fatto alcune acute osservazioni su droga e drogati. Per esempio: "Oggi chi beve, come chi si droga, è un solo, spesso un disperato, al più con un suo piccolo branco sbandato ... Ho sentito ex drogati pericolosamente mitizzare la solidarietà, la sincerità che si stabiliva con altri disgraziati, e rimpiangerla come un valore etico perduto. Forse era più facile sopportare la fame, il freddo, la guerra, che non la finzione della civiltà". C'è anche un altro aspetto, a cui vorrei accennare, forse limitato ai tossicomani giovani e privi di status sociale. Nei lontani anni Settanta ricordo di aver visto, in zonaBrera a Milano, una scritta tracciata a caratteri enormi su un muro in fondo a una via: "Drogarci ci piace: lasciateci morire in pace" (la scritta venne ripresa, se non ricordo male, dal "Corriere" in un articolo, ina censurandone la prima parte e quindi snaturandola). Si, gli "piace", mal' impressione è che molti giovani drogati mirino soprattutto all'autodistruzione. Vogliono farsi del male. C'è anche un aspetto • di rappresaglia, presente, per esempio, in ogni suicidio, ma prevale secondo me, indiversicasi, l'azione contro se stessi. In questo si differenziano, che so, dalle disperate (erano anche questo) bande di giovani terroristi che, in modo sbagliato, cieco, distorto, criminale si ponevano però degli obiettivi, cercando di colpire anche altro e altri da se stessi. Sto qui parlando evidentemente dei casi che si concludono o concluderanno tragicamente, e non dei consumisti della droga o della gente dello spettacolo che, come scrive ancora Quinzio, "è vissuta per decenni alternando intossicazioni e disintossicazioni, divertendosi e guadagnando miliardi, idolatrata da tutti. L'illusione, strutturale alla società dello spettacolo, è che questo sia possibile a tutti". Sto pensando a tanti giovani, non ricchi e sconosciuti: qualcosa si è rotto dentro di loro, e più prendono, drogandosi, ad andare alla deriva, e più si puniscono per questo loro andare alla deriva, aumentando le dosi e i rischi. Ripeto:· vogliono anche .farsi male. Se rubano, aggrediscono, rapinano è per poter continuare a comprare droga e farsi del male: le loro azioni criminali hanno un bersaglio casuale, le loro vittime offrono i mezzi per distruggersi. A molti dei nostri sventurati giovani "piace" drogarsi per mandare definitivamente in frantumi la loro, per loro intollerabile, 'fragilità. No' me bate più el cuor ... No' me bate più el cuor ne le disgrazie Nostre, amiga mia; No' gòdoloripiù,sonundolor: No' cerco altra compagnia che una de zente alegra. , Ah, vardémose intorno, e contemplémo Le miserie de tuti! Che per rispeto umano se possa rider Ogni ùnde l'altro! A uno a uno, Ogni nostra tragedia xé una farsa. Giacomo Noventa (da Versi e poesie, Marsilio) La piantina senza secondi fini "Questa non è una casa pubblica" era la scritta affissa sulla porta di casa di un nostro grande scrittore del Settecento, onde scoraggiare l'arrivo indiscriminato e non richiesto di visitatori. Mutatis mutandis, anche chi legge per lavoro, cioè per poi scrivere su quello che ha letto (ricordate il bel libro di Paolo Milano - ce ne fossero ancora di critici come lui!- ll lettore di professione?) non è un servizio pubblico. Eppure la gente pare ritenerlo tale. Almeno una volta alla settimana - via posta, corriere, pony- mi arrivano plichi, inviati da mittenti sconosciuti, contenenti dattiloscritti e accompagnati da lettere che, a volte con accenti perentori, richiedono una lettura il più possibile sollecita, un giudizio scritto e, possibilmente, l'accesso alla pubblicazione. Nient'altro. Non ricevendo risposta, spesso gli scriventi tornano alla carica, esprimendo costernato stupore e riprovazione. Taluni, temendo il solito disservizio postale (eh no, in questi casi le malevole poste funzionano alacremente) inviano una seconda volta il loro malloppo. L'impressione è che i mittenti ritengano di farmi un favore dandomi l'occasione di leggerli: sarebbe per me l' equivalente di un regalo insperato. Sempre ritengono di esercitare un loro diritto. Prima domanda: perché dovrei essere tenuta a dedicare il mio tempo a dette letturé che non h9 mai richiesto di fare? . Seconda domanda: qualora ciò per qualche motivo demenziale av- . venisse, di che cosa camperei, come sopravviverei - si noti che non si accenna mai a compensi - se leggessi tutto ciò che gli'sconosciuti scriventi mi inviano? Saranno domande di elementare rozzezza, ma non mi dispiacerebbe conoscere le risposte degli speditori. I quali basterebbe che mi scrivessero - evidentemente conoscono, ahimé, il mio indirizzo -per chiedermi se sono disponibile a leggerli. Risponderei di no, ed eviterei così a loro le spese di spedizione e a me l'acuto desiderio di lacerazione dei loro scritti successivo alla crisi depressiva che accompagna fatalmente la vista - inconfondibile - dei loro plichi. Che hanno anche l'effetto di peggiorare il mio atteggiamento verso gli umani tutti. A Natale, per esempio, ho ricevuto un dono che mi ha commosso: uno sconosciuto lettoremihamandaio una bella piantina con gentili parole laudative. La parte peggiore di me, decisamente potenziata dal1' arrivo quasi contemporaneo di uno dei plichi prediletti, ha preso a farsi sentire: ho pensato che al più presto avrei ricevuto un plico da parte dell'ignoto lettore, con precise allusioni alla piantina. Il che invece non è avvenuto, e il fatto, oltre ad aumentare la mia riconoscenza verso di lui, mi ha fatto ulteriormente inveire contro gli speditori di dattiloscritti, responsabili della mia diffidenza di basso conio verso un gesto deliziosamente disinteressato. Francesismi È notorio che quasi nessuno, qui da noi, sa più il francese. Ma ogni tanto, tra i non giovanissimi, qualche mozzicone di ricordo torna ad affiorare. Con esiti non propriamente felici. Il linguista Tullio De Mauro, per esempio, si è chiesto ("Repubblica", 30 dicembre): "Che succederà nel 1989?" ( delle nostre lingue e delle nostre parole). Ed ecco la risposta: "Quel che sta succedendo in questi anni. La gente continuerà a tenersi stretta la propria tradizione linguistica a furia e a misura che verrà a contatto con lingue diverse ... ". Aufur eJ à mesure:, man mano (che); via via (che). Sembra proprio il caso che anche De Mauro si tenga ben stretta la propria tradizione linguistica e non la molli un attimo.
IL CONTIESTO La satira è morta? Gianfranco Giovannone I limiti e le ambiguità della satira politica: le velleità di contropotere, la realtà di strumento del consenso. -y - I : .,,...,~. ; ·. / - ::: '.: ~ ~;;-,,>:- ~~.~i~/;.{> :'\,, ',·, ~ ·.\\S~ ~- ~> ~ -- - - La satira è morta, viva la satira! Nell'estate alcuni "tanghisti" seriosi e retrò, in ossequio a un moralismo inconfondibilmente anni Settanta, si rifiutano di ritirare il premio Forte dei Marmi non tollerando la compagnia di Giulio Andreotti, e qualche settimana dopo chiudono bottega. Ma la vera satira, quella non addomesticata dalle compatibilità e dalle convenienze di partito conosce una stagione particolarmente felice, per molti versi esaltante. Forattini inaugura mostre prestigiose in tutta Ilalia, pubblica un libro dopo l'altro, uno più graffiante e corrosivo dell'altro, mentre "Repubblica" lancia una iniziativa stupefacente, l'operazione Forattini-Panini-Portfolio che non poche apprensioni e malumori sta suscitando nei corridoi del Palazzo ... Ci sarebbe - se qualcuno ne avesse voglia, se ancora fosse possibile prendersela per cose del genere nell'entropia di gusti, valori e significati in cui viviamo - da mettersi le mani nei ca- . pelli. E questo non perché "Tango" debba essere rimpianto quale esempio di "humour corrosivo e dissacrante", o perché la sua chiusura rappresenti addirittura una "frontiera che i disegnatori e gli scrittori ilaliani di satira dovranno prima o poi valicare", come scrive Gino Frezza sul "Manifesto" del 10 ottobre scorso. L"'inserto di satira, umorismo e travolgenti passioni" de "l'Unità" ha avuto anzi limiti evidentissimi, che il raddoppio da 4 a 8 pagine ha spietatamente amplificato-o rivelato- sommergendo in un mare magnum di insipidezza e di noia le poche cose buone e le pochissime eccellenti - gli apocrifi di Michele Serra, le false didascalie alla maniera (ma non all'altezza) del "Male", le cronache scolastiche di Domenico Stamone e non molto altro. Lo stesso Altan appariva in qualche modo a disagio, compresso, sacrificato, certo non nella vena che gli ha permesso di diventare quello che è diventato. Quanto a Staino, al di là della felicità di questa o quella striscia e della simpatia che il personaggio da lui inventato è riuscito a conquistarsi in certi settori di ex-militanza o di ex-appartenenza, ricordo che Bobo mi sembrò già "vecchio" quando fece la sua prima comparsa su "Linus". Vecchio-il personaggio-perché la sua crisi, i suoi dubbi e le sue "aperture" erano già state ampiamente sperimentate, sofferte e consumate negli anni precedenti. Vecchio, consolatorio, piacevolmente deformante lo specchio che offriva a quanti vivevano - spesso in ritardo - il drammatico smarrimento della sinistra nei termini semplificati e banalizzati degli "Speciali" televisivi o delle tavole rotonde de "l'Espresso". Eccetera, eccetera: analoghe o simili perplessità potrebbero venir sollevaté sia in riferimento al contributo dei singoli autori, sia in merito all'impatto complessivo del supplemento satirico de "l'Unità". E tuttavia, l'insistenza sugli aspetti negativi di ''Tango" mi sembra non solo ingenerosa ma sostanzialmente sbagliata se dal1'analisi "testuale" si solleva lo sguardo sul contesto, sullo squallidissimo panorama della satira "vincente". Forse perché non riesco a dimenticare il tono sprezzante di un Forattini televisivo dell'anno scorso che, vellicato da Gianni Letta, contrapponeva la propria indomita e ruvida alterità al Potere alle risibili velleità di quelli di "Tango", compatiti per il loro status di vigilati speciali, buffoni di corte autorizzati a ridere e a irridere entro limiti pericolosamente circoscritti. Giudizio doppiamente irritante, nel merito e per la fonte da cui pro veni va. L'aspetto più appassionante e coinvolgente di "Tango" infatti stava proprio nel suo essere dichiaratamente, sfacciatamente di parte, nella sua provocatoria e "calda" faziosità che impediva alla sin troppo celebrata autoironia e autoflagellazione di scadere in un manierismo intellettualistico, facendone invece uno strumento capace di far affiorare, nei suoi momenti migliori, umori, inquietudini, malesseri importanti e diffusi che non riuscivano a trovare espressione nel povero e triste linguaggio dei documenti ufficiali, o ad assumere rilevanza nella discussione interna al partito, drammatica nei toni ma paurosamente vuota di passione, intelligenza e prospettive ideali. Le insufficienze di ''Tango" non stanno insomma nella sua "anomalia" ma, al contrario, nel suo condividere la stanchezza, la povertà di idee, l'incapacità di scegliere un punto di vista radicalmente "altro" rispetto al compiaciuto conformismo e alla aggressiva volgarità di questi anni Ottanta- in una parola le miserie di tutta la satira italiana. A cominciare naturalmente da quello che Luigi Manconi ha definito il "tragico" "Satyricon" e dalle vignette di quel pestifero ragazzaccio che lo dirige (1). Ecco, forse ciò che risultava davvero insopportabile nella citata intervista televisiva non era tanto il sarcasmo nei confronti di Staino, Serra e compagni, quanto l'ennesima riproposizione dell'immagine di enfant terrible che all'autore del Kualunquista piace impersonare e che_ trova riscontro non solo nella compiacenza di Gianni Letta ma è generalmente accreditata - ad esempio dalla gente che ti strappa "La Repubblica" di mano per dare un'occhiata alle vignette di uno che "gliele sa cantare". Una pretesa -quella di chiamarsi fuori, di rivendicare una alterità sdegnosa e intemerata rispetto alle meschinità e alle nequizie dei politici - che non si sa se giudicare ingenua o in malafede proprio per la qualità simbiotica di gran parte della nostra satira, tutta interna al linguaggio e alla logica delle risse di bassissimo profilo in cui si risolve l'attuale dibattito politico. Questa "subalternità critica", il desiderio di esserci e di contare facendo 9
IL CONTHTO Forattini e due suoi eroi (Foto Speranza/Grazia Neri). finta di parlare da un improbabile altrove, non riguarda ovviamente solo Forattini o la satira nel suo complesso ma rappresenta una delle ambiguità di fondo dell'opposizione politica e sindacale, della stampa e di molte grandi firme intellettuali che accettano il terreno di scontro (o di chiacchiera) che viene loro imposto: giocando di rimessa, come fa il partito comunista, Q cercando di influenzarne gli esiti con il proprio prestigio e la propria autorevolezza, come fa "Repubblica" e come tenta di fare, con minor fortuna ma con molta più finezza "Il Manifesto". Grande è la confusione sotto il cielo e a provare a ragionare in termini un po' diversi da quelli dei finti dibattiti che ci sommergono da ogni parte si rischia di passare per marziani. Però non si può fare sempre la figura degli sprovveduti ed accettare simili rappresentazioni della realtà-così naif e assai poco post-moderne! - per cui il marcio starebbe tutto nella perfidia di Andreotti, nell'arroganza melliflua di De Mita o in quella roboante di Craxi, mentre Juori e contro ci sarebbero la scapigliata e simpatica schiera dei cartoonists e che so, il modernismo di Scalfari-De Benedetti o il "radicalismo" de "l'Espresso", tutti in qualche modo portavoce del punto di vista della "gente" - pensosa dei destini del paese, per definizione - e candidamente estranea ai mali che lo affliggono, dalle guerre per bande politico-affaristiche al degrado ambientale, urbanistico e culturale. Certo, rispetto a certe forme di compromissione tra stampa e politica il ruolo della satira è decisamente trascurabile, e può apparire anzi grottesco e vagamente paranoico coinvolgerla in un discorso che la tocca solo incidentalmente. Nel bene e nel male il suo peso non è neppure paragonabile alle conseguenze che quelle compromissioni provocano nella formazione dcli' opinione comune, sia sul piano immediatamente politico, sia nell'ambito della longuedurée ideologica. Basti pensare da un lato all'uso massiccio delle interviste ad hoc da parte di leaders politici e sindacali e ali' interventismo di alcuni giornali, dall'altro al ruolo di super-ego nazionale che è andato a~sumendo "Repubblica", al punto che perfino il più oscuro consigliere di circoscrizione o il funzionario della più sperduta Camera del Lavoro nel pronunciare i 10 loro discorsi si chiedono- più o meno consciamente-se il giornale di Scalfari li giudicherebbe abbastanza trendy e spregiudicati (2). Ma non si può negare, fatte le debite proporzioni, che anche la satira concorra a determinare orientamenti e mutamenti politico-ideologici. Non fosse altro per il linguaggio che usa, un linguaggio non molto dissimile da quello della pubblicità e quindi sintetico, allusivo, necessariamente ellittico. E, al pari di quello pubblicitario, straordinariamente efficace. Quando si dice che una vignetta di Forattini colpisce più di un articolo di fondo, si dice una cosa vera, nel senso che l'impatto comunicativo cui faricorso il cartoonist è estremamente più immediato e persuasivo di quello dell'articolo giornalistico che, per -convincere, deve assemblare con una certa fatica ragionamenti e argomentazioni, "smontabili" e criticabili anche da parte di lettori ignari dei meccanismi stilistico-retorici del linguaggio verbale o della semiologia delle comunicazioni di massa. Ma spesso si dimentica di aggiungere che il carattere apodittico dell'argomentazione satirica, la facilità nel suscitare un consenso emotivo prima che razionale viene talvolta usato per veicolare messaggi quanto mai rozzi e inquietanti, la cui traduzione in termini discorsivi provocherebbe un certo imbarazzo per le stesse testate che li ospitano (la vignetta de "l'Espresso" sul '68 è un esempio sin troppo facile, anche se mi sembra una eccezione nella produzione dell'ultimo Forauini, caratterizzata da una pigrizia e da una melensaggine che sembrano scongiurare qualsiasi futura "pericolosità"). Ma se la micidiale persuasività del mezzo può forzare il nostro giudizio su personaggi, eventi e fenomeni contingenti, vi è un altro aspetto della satira politica - in parte probabilmente intrinseco al genere, in parte certamente legato al suo livello di istituzionalizzazione- che non solo ne frustra ogni intenzionalità "eversiva", ogni velleità di porsi come una sorta di contropotere, ma la trasforma in un inconsapevole quanto formidabile strumento di consenso. I singoli autori possono anche essere animati dalle "peggiori" intenzioni, da livori e crudeltà autentiche, possono anche scatenare l'ira e le querele dei potenti presi di mira; ma l'effetto per così dire cumulativo dei loro attacchi sarà comunque, alla lunga, quello di suscitare nei loro confronti la nostra indulgenza, la nostra simpatia, persino il nostro affetto. Di trasformarli cioè in figure e figurine familiari del nostro pantheon nazionale, a cui tutto sommato - come per il varietà del sabato sera e i telesermoni di Enzo Biagi - ci dispiacerebbe rinunciare. In questo senso, il "gran rifiuto" di Forte dei Marmi, anche se filologicamente corretto e moralmente inevitabile, è tutto sommato ingenuo, perché l'assegnazione del premio ad Andreoni non faceva altro che sancire una situazione che è ormai nei fatti, la superfluità della satira, la sua assoluta innocuità, la sua riduzione a commento umoristico dei fatti e misfatti dei politici che in qualche modo riconosce e celebra il loro successo e la loro popolarità, aggiungendovi quel sale che, come ha osservato giustamente lo stesso Andreotti, rende l'esercizio del potere ancora più eccitante. Note. 1)La definizione si trova nell'articolo La politica? Un gatto di casa, che fa parte del Dossier "La Repubblica nostra quotidiana", pubblicato nel numero 3, 1988 di "Politica ed Economia". Allo stesso Dossier fariferimento la nota (2), e in particolare, ai contributi di Vinario Emiliani (Un giornalismo infervenl ista ) e di Bruno Manghi (Anche i sindacalisti leggono fotoromanzi ).
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