SAGGI/LA PORTA-SINIBALDI ---- ._. ~ ..,...- __ -------- .............. -- Lettori in cerca di autore Non c'è lamento né rimpianto in queste constatazioni. Tutto è avvenuto in modo semplice, quasi automatico: c'erano nuovi scrittori per nuovi lettori (o per vecchi lettori desiderosi di nuovo). La macchina editoriale all'inizio ha stentato poi è partita in quarta, con reciproco beneficio di giovani scrittori e di esausti editori (e anche di giovani critici e di giovani riviste, per essere sinceri fino in fondo). E chi potrebbe dispiacersi se Benni scavalca nelle classifiche Bevilacqua e Salvataggio? Semmai è più interessante, terminata la sommaria ricostruzione cronologica, chiedersi come è avvenuto; e ragionare prima che su quei nuovi scrittori, sui loro nuovi lettori. Partendo da una constatazione: la nuova generazione di scrittori italiani esordienti tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta è la prima ad aver incontrato un pubblico. Un pubblico, ossia un aggregato anzitutto abbastanza vasto. I dati sulla lettura in Italia sono così controversi da non offrire grande affidabilità. E l'entusiasmo suscitato da recenti sondaggi sulla lettura ci sembra almeno esagerato. Ma i vituperati anni Settanta, proprio a partire dal loro carattere di generale mobilitazione ideologica e culturale, hanno sicuramente allargato il numero dei lettori; cioè delle persone che non solo comprano un libro ma sono inte76 ressa te al dibattito che esso suscita, lo seguono sui rotocalchi, vi connettono le loro letture successive. Questa società letteraria ha avuto in Italia ancora negli anni Ottanta dimensioni ridotte fino al ridicolo. È nata con la scolarizzazione-di massa e con il riflusso. La prima ha determinato la possibilità per vaste fette di giovani italiani di capire, identificare e distinguere i libri (attitudini fondamentali per creare un pubblico, un mercato e cioè, ripetiamolo, lettori, che non si limitano a leggere il libro - anzi a volte ne fanno perfino a meno). Il riflusso - anche qui prendiamo per buono un termine logoro e ampiamente impreciso - ha liberato tempo, energie, interessi, spostandoli, secondo le tradizionali oscillazioni del pendolo della storia, da una dimensione pubblica, collettiva, estrovertita, ad una privata e, almeno nelle intenzioni o nelle mistificazioni, autoriflessiva. I giovani scrittori dei nostri anni sono stati i primi ad avere un pubblico pregiudizialmente bendisposto di ascoltatori in grado di comprendere (o intuire) i riferimenti testuali ed extratestuali. Da qui deriva non solo il loro relativo successo ma anche lanatura del fenomeno, la quota di simpatia e identificazione che ha suscitato, il suo peso non solo letterario ed editoriale. Da qui deriva anche la rapidità e la radicalità con cui il mercato ha mutato atteggiamento, lo spettacolare rovesciamento per cui ancora alla fine degli anni Settanta per un giovane autore pubblicare era difficilissimo e oggi le case editrici si contendono le opere di esordienti o quasi esordienti (e non importa qui stabilire se questa apertura sia stata troppo o troppo poco ampia né giudicarne i risultati). Letterarietà Eppure qualche giudizio va dato. Il nodo rimane per noi quello del rapporto tra scrittura ed esperienza. I limiti e le inadeguatezze di questa rigogliosa generazione di narratori possono in gran parte essere ricollegati a quel nodo. Nei dattiloscritti da noi letti; per esempio, certi limiti assumono una forma ingenua e particolarmente vistosa. Il difetto, o equivoco, principale è quello della letterarietà. Le nostre considerazioni non si discostano molto da quelle di Tondelli, che nella prefazione alla seconda raccolta Under 25 parla di un presunto stile "alto", ovvero il lessico piccolo-borghese di sempre, di evidente origine scolastica. E in effetti ci si trova spesso di fronte a una lingua artificiosa, inutilmente impreziosita, passata al tornio di un gusto poeticistico, innamorato della Cultura (ma appunto quella monumentale, aulica): "la ragazza soleva andare", "i suoi pensieri vago/avano", e così via. Pur non nutrendo particolare ottimismo sulle risorse dell'attuale gergo giovanile, si può forse concludere che gli italiani tendono a parlare meglio di come scrivono. Andrebbero individuati in proposito condizionamenti e responsabilità di vario tipo. Su antichi vizi endemici (dalla tradizionale separatezza della lingua scritta - che spesso ci fa sembrare i nostri classici ancora più distanti - alle squisitezze della "prosa d'arte" degli anni Venti) si innestano miti recenti, come quello della Creatività, divenuta quasi un obbligo sociale, o della Trasgressione. Sarebbe inutile oltre che ingiusto infierire criticamente su questi testi "sommersi". L'impressione generale è però quella di una loro gratuità, di una non necessità. Naturalmente ci sono le eccezioni, e sarebbe interessante capire come si producono. Recentemente Fortini ripeteva un'antica verità, troppo spesso dimenticata: non si dà scrittura vera "senza intensità, varietà e contraddittorietà di esperienze, senza capacità di accoglierle e dirigerle". Non scopriamo noi la estrema difficoltà di fare oggi esperienza.
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