Linea d'ombra - anno VII - n. 34 - gennaio 1989

LA PASSIONE DI ZEITLIN LA LETTERATURAGIOVANILE DIECIANNI DOPO Filippo La Porta, Marino Sinibaldi È ancora interessante discutere sulla ·1etteratura giovanile? C'è ancora in questo fenomeno qualcosa che per originalità e ricchezza lo renda diverso da un normale episodio di passaggio tra generazioni, di ricambio nel mercato delle lettere? Sono ancora in grado i successi (e i fallimenti) dei giovani scrittori di dire qualcosa sullo stato e le prospettive della letteratura ma anche della vita intellettuale e culturale del nostro paese? Oppure l'omologazione di un fenomeno se non proprio trasgressivo almeno, in un passato non troppo remoto, innovativo è invece già avvenuta? Senza la pretesa di trarre bilanci, sono queste le domande cui ci sembra necessario cominciare a rispondere. Anche per superare l'imbarazzo di chi si occupa di giovani scrittori e si trova ormai travolto da quantità enormi di debutti letterari. Con una conseguente impressione di spiazzamento, dopo anni di battaglie contro le chiusure del mercato editoriale. E inoltre, di fronte alla qualità di gran parte di questi debutti, con la sensazione di occuparsi di qualcosa di marginale e di sempre più irrilevante, almeno da punto di vista cui accennavamo (la possibilità di leggervi segnali importanti sulle tendenze della nostra cultura) e nonostante alcuni spettacolari successi di mercato. Né va taciuto un altro motivo di imbarazzo: occuparsi di giovane letteratura su "Linea d'ombra" vuol dire anche affrontare un nodo della biografia intellettuale di una generazione. Chi ha cominciato a guardare alla giovane letteratura negli anni dopo il '77 vi vedeva - per dirla schiettamente anche se schematicamente - un antidoto al riflusso. Negli anni in cui le giovani generazioni perdevano il ruolo di protagonisti della scena politicosociale che avevano tenuto per due lustri, questa vitalità letteraria e culturale sembrava un segnale di resistenza e magari un annuncio di possibile inversione di tendenza: come un tentativo di non essere cancellati e ridotti al silenzio. E il fatto che tanta parte di quella storia e di quelle esperienze "pubbliche" animasse la giovane letteratura - anche solo per essere criticate o rifiutate - sembrava confermare questa lettura. In realtà il rapporto tra questa creatività generazionale e le istituzioni politiche, economiche e culturali ha rapidamente assunto un aspetto diverso. Non quello dello scontro tra una maggioranza che ha il potere e una minoranza ridotta al silenzio o una marginalità ghettizzata, ma l'integrazione di quelle voci all'interno di un sistema culturale che si è rapidamente ricostituito dentro il nuovo boom consumista degli anni Ottanta. E oggi è forse possibile riconoscere, nel cammino che la giovane letteratura ha percorso in questi anni, i tratti della normalizzazione. Della trasformazione cioè di un fenomeno di rottura almeno parziale in un avvenimento di routine letteraria. Questo a prescindere dalle intenzioni individuali dei giovani scrittori; ma non a prescindere dalla gran parte dei loro prodotti che di quella normalizzazione portano, ci sembra, i segni evidenti. Ma è meglio, a questo punto, ripartire dai dati concreti che offrono.l'occasione per tentare questa riflessione. Come, per citare alla rinfusa, le due antologie Under 25 curate da Pier Vittorio Tondelli per la casa editrice Il lavoro editoriale, il proliferare di premi letterari riservati a giovani esordienti (a Torino, Monza, Trento, Modena e altrove), la ripubblicazione in edizione economica da Feltrinelli di Boccalone, il romanzo che giusto dieci anni fa aprì la strada alla cosiddetta letteratura giovanile. Elementi, questi, di un fenomeno ormai affermato. Eppure solo quattro anni fa da un'inchiesta pubblicata sui numeri 7 e 8 di "Linea d'ombra" risultava che scrittura e lettura costituivano una pratica ormai sempre più marginale nell'esperienza delle giovani generazioni. Esito di una ambi74 guità: il '68 aveva coinciso con un recupero della parola (volantini, assemblee, manifesti, discussioni) ma aveva anche espresso in modo sotterraneo e via via più evidente nel corso degli anni Settanta, una nausea verso l'abuso della parola, verso la chiacchiera ideologica. Ma l'ambiguità era più radicata. Probabilmente la ribellione giovanile ha oscillato, almeno dal secondo dopoguerra, tra i due estremi: afasia e ansia di non riuscire a dire tutto. Il sogno del giovane Holden, all'alba degli anni Cinquanta, era di andare all'Ovest e "far finta d'essere sordomuto". Oggi la stessa scelta di scrivere può essere in alcuni casi polemicamente contigua alla condizione di sordomuti; contro dei mass-media sempre più sproloquianti a vuoto. I disegni che illustrano quest'articolo sana di Marco Petrella. Uno dei giovani scrittori intervistati nel 1984 affermava che "la scrittura non è certamente la forma espressiva più naturale alla mia generazione", ma sentiva il bisogno di aggiungere che "quasi tutti hanno un manoscritto nell'armadio". Forse è questo il nodo del problema. Nella veste di selezionato- ,ri di uno dei premi prima citati (il Premio Modena) abbiamo avuto modo l'anno scorso di leggere alcune centinaia di questi "manoscritti nell'armadio". L'esperienza ci ha confermato nella sensazione che per parlare della giovane narrativa di oggi occorre partire non solo dai romanzi pubblicati e recensiti ma anche da questa Atlantide sommersa della scrittura, dalle sue ragioni e dalla sua fisionomia. Ma d'altra parte è vero che questi manoscritti sono anche i prodotti della storia della giovane letteratura, sono gli esiti finali

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