IL CONTESTO L'intolleranza e il razzismo Oreste Pivetta C'è un razzismo profondo e palese e ce n'è uno inavvertito, ancora senza nome. Da entrambi siamo sempre più invasi. Ci sonoparolechevannoe vengonodallanostracoscienzacomefosseroqueicioccolatiniche si sciolgonoinbocca inunsecondo lasciandopergiuntaunapatinadi frescoallamenta.Bastapronunciarleper esorcizzarle. Parloper esempipdi "razzismo", che il vecchio"Palazzi"definisce schematicamente e rigidamente "tendenza politica ad esaltarela puritàdella razza di un popolo,consideratacomefondamentodi sviluppocivile, perseguitando,segregandoo privando dei diritti politici le minoranzeetniche",proponendosignificativamente come esclusivo sinonimo il termine "antisemitismo". Per questa strada si muove però anche la nostra suddettacoscienza, che si rimette in piedi, seguendola tipita periodicitàdi unamodapiù che la regolaritào la continuitàdegli eventi, e propone casi ben definiti di indignazionecorale, "bucando" una infinità d'altre occasioni. Così i nostribuoni sentimentiscattaronoanni fa quandoalcuniragazzottidiVarese,fascistellibeneallevati,alzaronoinunpalazzo dello sport lo striscione"sporchi ebrei", svastichee saluti romanidavantia una squadradi pallacanestroche avevaavutola malaugurataidea di chiamarsiMaccabiTel Aviv. Toccò ancora allo sport tenere alta la bandiera del razzismo. Capitòquestavoltain uno stadiodi calcio, risalendodi un gradino nella tensioneperché lì il pubblicoera di centomilapersone. Da una parte delle gradinate, uno striscionerecitava "rossoneri peggiodegli ebrei".Avrebberopotutoi soliti tifosi ricorrerea un gergo più abituale,magari da addebitarsialla coprofagiao alla coprolalia di alcuni. E invece no: "peggio degli ebrei". Incomprensibile visto che gli ebrei non dovrebberopossedere alcuna particolaritàcalcistica. Sonoquindiarrivatii vucumpràa ridarearmi e argomentiagli altri, amici o nemici all'insegna della razza. Dapprimai vucumprà li si guardavacon aria mite e distratta, con l'idea di liberarsial più presto del solito rompiballeche cerca dipiazzartiqualcosa,finoal puntodi acquistarequellacosapur di fare alla svelta e di sentirsi buoni. Poi laquestione,grazie alle spiaggeemiliano-romagnole,si è rivelataper quelloche è: scontrodi mercato,dove il marocchino con il tappetoe le tovaglie in spallao il senegalesecaricodi perlineo di zanned'elefante avrebberodanneggiatoil bottegaioper bene, sempreprontoa vantare i propri diritticon la scusadi pagar le tasse (che è poi soltanto una scusa). Con i vucumpràl'emigrazione si è estesa, impoverita,ridottasul!'orlodiunatragedia collettiva,estremae simbolicapropaggine di una rovinae di una rapina intercontinentaliche non cesserannomai. Qui giungiamo alla aneddoticarazzista, che non è meno violenta e crudele. È solo più fitta, continua, strisciantee umiliante,per chi ne è protagonistao per chi ne è la vittima.RosellinaBalbi, nel suo libro Ali' erta siamrazzisti (che è un bel titolo, anche se non è originale)e persinoGiorgioBocca in Siamo tuttirazzisti, fanpresto a raccogliereun repertorioche si direbbe "ampioe articolato".Bastamettereassiemela signoraeritreache deve lasciareil posto in tram o le barricatenel quartieredella periferia romana per cacciare gli zingari che sporcano, il bambino neropicchiatodai compagnidi scuolanelVeneto, il lavoronegato allo sguatteroper una questione di pelle. 2 Altri episodi sono rimasti fuori per ragioni di tempo. In unaprovincialombardauna ragazzanera muoreper il gas di una stufetta,perché il padronedi casa si rifiuta di abbatterela porta, per non rovinarnegli stipiti.Pocheoredopo il signoreparla in tv e difende il suobuon dirittodi proprietario,serenoe tranquillizzante. Unacronistadella"Stampa" invece,inseguendola solitamorte accidentaleper overdose, scopre una specie di lager o di immondezzaio,dietrole mura dellaCittàdel Vaticano,popolatoda decine di giovani,senegalesi inmaggioranza.Mangianoper terra, non ci sono servizi, i muri crollano, lo sporco sale. Di mezzo c'è il cadaveredella ragazza deceduta. Il magistrato in visita si meravigliadi trovare"unpalazzocosì,aduepassi dal centro".Ma i senegalesiper ciascunodei tre appartamentiche occupanopagano due milionial mese a un tale, che secondo la cronistarilascia ricevutadi lire cinquecentomila. Unodeisenegalesiracconta:"Nonvogliamol'elemosina,non vogliamo far la fila per un piatto di minestradavanti all'ospizio. Vogliamolavorare. Ma quandocipresentiamorispondendoa una inserzione,improvvisamenteci fan saperedi non averepiùbisogno". "Il razzismoc'è, altro che!" conclude. Il razzismoc'è, mase stiamoalladefinizionedel nostrodizionario Palazzi, "razzismo" è parola povera, incompleta, incerta, incolore, incapacedi racchiudere tutti i drammi e le ingiustizie che ha espressoe che continua a rappresentare.Se non mi avessero spiegatoche le "classi" sono tramontate,tornereial vecchio "classismo"che s'usava senza risparmiovent'anni fa, perchéallora tuttoera di classe, la scuola, la selezione,l'architettura, l'arte, la letteratura,lacucina, la guerra,mache ora sembrafuorigioco davanti all'ideologia molto americana delle "magnifiche e progressivesorti,purché individuali",davantiai quattrini,aibuoni pensieri, all'indignazione ipocritae alla rispettabilità.Rispettabilitàappunto,comequella dei signoriche sonoscesi inpiazza senza vergogna,aggrappandosiai cancelli di villa Glori,per impedire chevenisseallestitaunacasa-alloggioper i malatidi Aids. Ma si sa, siamoai Parioli e i Parioli (il razzismo, per confermare che è di classe, ce lo metto io) sono quello che sono. L'intolleranza sconfinaoltre le razze,oltre il colore, la lingua o il modo di vestire. Diventa il rifiuto generale di una diversità qualunque,rappresentatada neri, latinoamericani,magarigialli, tossicomani o malati di Aids, zingari o semplicementebrutti, sporchi o malvestiti,di poche o cattiveparole, handicappatioppure omosessuali,disoccupati o altro, forse semplicemente"poveri", quando la "povertà, in una società complessa è diventata anche essa "complessa",e nonè più solo fameo elemosina.Forse proprio per questo ma negando questa condizione generale profondamentedi classe, il "razzismo" dilaga, occupando.spazi inattesi controchiunque,per forzao per ragione, rappresentiuna differenza. Il popolodei diversi alla fineè senzafine e potrebberilanciare quel vecchio slogan dimenticato"proletari di tutto il mondo unitevi".Forsequalcunolohagiàcapitoetemequelchenonèmai accadutoconiproletaridella tradizione.Per questola controffensiva è capillaree la mortificazionedelle diversità si estende,con un camminoche oscilla tra la assimilazionee l'emarginazione. Torniamoa guardare la tv, che è sempre un bel sistemaper
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