Linea d'ombra - anno VII - n. 34 - gennaio 1989

IL CONTISTO di un boia che continua però a ragionare da boia. .Eil figlio è lDl figlio. Il passato della Germania è assai oscuro, e i figli o perfino i nipoti sono costretti - contrariamente a noi, popolo di spavaldo oblio - a confrontarvisi continuamente. Papà è lDl libro sgradevole, e questo è un elogio; ma è anche un libro un fùo irrisolto, forse un filo torbido, perché distaccarsi davvero è difficile (e ne sono spia quello sfondo latino-americano più ambiguo che miserabile, quella problematica antipatia per il figlio del nazi che potrebbe essere cugino a tanti ...). Ha il merito, grande, di girare il coltello nella piaga. Di ambizione molto più modesta è un romanzo (I piedi sulla testa, di Hans W. Kettenbach, Rizzoli) che ha un protagonista ex- '68, inserito in una grande ditta di pubblicità, e portato fino all'omicidio dall'ottusa e caporalesca (per non dire nazista) protervia di un capo. Più che un giallo, è uno spaccato di realtà molto veritiero: quell'agenzia è credibilissima, mondo di piccoli mostri dediti al più falso dei lavori (come non ricordare la definizione di pubblicità che dava Godard prima di mettersi a fame anche lui?). Somiglia, come umori, a quei libri veloci tipo Ragazza Rosemarie di Kuby che denunciavano la corruzione del miracolo adenaueriano. Aggiornato. Ugualmente feroce. La scrittura è da giallo di classe, anche se non da grande letteratura. Gli effetti spiazzanti, spesso, come i risvolti imprevisti della trama omicida tessuta da un protagonista che somiglia a molti cari o non più cari amici della nostra "leva". Tristissimo, decisamente mortuario, è La ticinese, raccolta di racconti di un esordiente svizzero poi passato al teatro (in Germania): Thomas Hilrlimann. Ne dobbiamo la traduzione alla piccola Marcos y Marcos, che già ci ha regalato svizzeri aguzzi come Bichsel e, più di recente, il bellissimo racconto montanaro di Hohl, La salita. Hilrlimann si dichiara ossessionato dal ricordo della lenta morte per cancro di un più giovane fratello, e descrive infine agonie-vere e tristi, di vite vere e tristi. "Chi, nella casa di un morente, 36 Disegno di David Scher siede accanto al letto di chi muore e cerca nel proprio cervello parole per non impazzire o sorridere come uno scemo, comprende che un morente diventa un estraneo, perché crea silenzio - un silenzio solenne. Chi è stato vicino a un morente a suo modo l'ha udito: il silenzio di morte." Anche nei racconti senza morte, sembra di respirare lo stesso silenzio, cioè la stessa solitudine. Per dimenticare, per tuffarsi ancora nella vita e, per contrasto, nel cinismo e nella svagatezza della vita, consiglio un altro agile libro, di un austriaco un po' scontato, ma autore stavolta di un testo più curioso: Alexander Lernet-Holenia, Il giovane Moncada (Adelphi). È un seguito di "io inganno te che inganni lui che inganna me" con andamenti da film di Lubitsch o da commedia ungherese (però super)piùcheda(riferimentomolto ovvio, dunque troppo ovvio) Felix Kru/1 di Mann. Per dire, insomma, che l'estremismo nero degli Hilrlimann può provocare anche nel lettore la ricerca del vitale magari ridanciano, come è nella giusta dialettica delle cose ma si vorrebbe fosse un po' meno - con un rapporto più equilibrato tra vita e morte, nella vita e nel modo di morire. E anche nel romanzo. L'ultimo Sciascia pende un po' verso la cupezza nordica. Si chiama Il cavaliere e la morte (Adelphi), ha in copertina Dllrer, è una storia di delitti in cui l'inchiesta è condotta da un poliziotto alter-ego dell'autore, un poliziotto minato dal cancro e filosofeggiante, e si svolge in un'imprecisata città italo-nordica. È un piccolo ritorno di Sciascia all'invenzione narrativa, dopo tante cronache rivisitate, troppo spesso superflue o banali, e può ricordare Il contesto o Todo modo per il suo richiamo a una situazione politica sempre in agguato. Ci convince quel tanto di minaccioso che vi si respira: di giochi segreti di gruppi nascosti pronti aritornare, a rifarsi vivi con la loro diffusione di morte, per indirizzare o bloccare processi politici (oggi assai meno sociali) nel ricorso alla provocazione più classica, ma qui con l'invenzione di un gruppo inesistente - molto tempestivo, e speriamo che la previsione sciasciana non dia ideacce a nessuno! - che si chiama (omaggio all'anniversario della prima Rivoluzione vera) "figli dell 'ottantanove". Un'idea che sembra speculare e opposta a quella del Rondò di Brandys, e forse viene di li. Ma .... MaSciascianonrinuncia a deluderci, perché in una sessantina di cartelle o poco più quelle essenziali al racconto sono una trentina, e le altre: digressioni, sentenze, citazioni, riempitivi stufanti, innecessari, professorali, e che potrebbero quasi tutti imbottire indifferentemente qualsiasi altro libro o articolo del nostro Avvocato nazionale. Il più "bestiale" dei libri in circolazione, l'ho sfogliato, prendendo appunti, in una libreria arnica. Si avvale della prefazione e sponsorizzazione dell'Avvocato per antonomasia, è opera di una sua nipote, è stampato da una casa editrice del suo gruppo (la Fabbri), e raccoglie le foto degli amici della "famiglia" con i loro cani. Si chiama Amico mio, l'autrice è Priscilla Rattazzi. Si sa, i padroni di un tempo delegavano i servi letterati a scrivere le loro vite o riferire i loro pensieri. Oggi-per democratizzazione della borghesia in piccola borghesia quanto a gusti e culture - i padroni scrivono tut-ti, in particolare la famiglia Agnelli, con gli addentellati Ellcann, Camerana, Caracc>olo ecc ...(ne ignoriamo o ne dimentichiamo). Spesso, come nel caso di Susanna - che firma la prefazione di un gingillo di lusso chiamato Italia (Mondadori), foto leziose di Michael Reutz sui cantucci più belli del bel paese - difendendo con balda falsa coscienza (ma è peggio, è peggio) ciò che la sua ditta ha distrutto e va contribuendo a distruggere producendo strumenti micidiali, auto comprese, di inquinamento e morte delle persone e della natura. Amico mio illustra cani e padroni, bestiole e bestiacce, e i primi, com 'è purtroppo ben noto, nella loro incredibile, atroce dipendenza dagli "umani", tendono sempre a somigliare a coloro che li sfamano. Sì che a volte li si confonde proprio, i Rotschild Lanza Kennedy Brandolini Moravia Zeffirelli e Leo Castelli, e i loro cani. L'Avvocato ha dettato unapremessa rivelatrice sui suoi rapporti con i cani e più ancora con gli operai. Vale la pena di citare: "Il mio rapporto con i cani mi ha insegnato molte cose. Mi domando, oggi, se questo rapporto non mi abbia orientato qualche volta sul comportamento da tenere con le persone. (...) Mi ha sempre interessato moltissimo, per esempio, la moodiness del cane: un giorno inquieto, tremante, nervoso( ...) e l'altro giorno pigro, quieto, troppo stanco perfino per muovere la coda. (...) Credo di non sbagliare affermando che il cane è una guida o meglio una palestra al rapporto con altre persone." Il più scostante (direi di peggio, se non temessi querele) è bensì un altro libro (del clan? diciamo della corte, anche non alta). Mondadori, vignette, sfogliato anche questo in libreria. Si chiama Il kualunquista e ne è autore Forattini. Non infieriamo. "Pussa via",

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