profonde del soggetto, ai suoi traumi infantili, rinuncia deliberatamente a tenere conto del contesto sudafricano che, invece, con le sue leggi ferree e insensate, diventa dato insostituibile per dare una spiegazione e un senso a quanto è accaduto. Inoltre, dopo pochi incontri, i due punti di vista si rivelano inevitabilmente inconciliabili, perché, mentre uno studia freddamente un caso interessante, l'altro usa la parola per riempire l'attesa della morte, di una morte che non si sente di meritare. Così Sibiya-questo è il nome del giovane condannato -ripercorre i fatti della propria vita, e in particolare gli avvenimenti degli ultimi tempi, ma lo fa in maniera pacata e distaccata, quasi che stesse parlando di qualcun altro invece che di se stesso. Il suo discorso - in cui si mischiano psicologia analitica, rilievi giuridici, considerazioni sociologiche e politiche, affiancate però dalla traccia della cultura tradizionale, quella dei proverbi, degli ammonimenti dei vecchi e dei saggi - vorrebbe essere freddo a analitico, anche se poi non sempre gli riesce di trovare il filo che lega insieme i molti frammenti che costituiscono il quadro della sua esistenza. Accade allora che il discorso si inceppi, girando a vuoto, perdendosi nei meandri di un'autoanalisi implacabile che tutto rimette in discussione senza lasciare alcuna certezza. Ma dalla massa dei ricordi emerge, con un movimento lento e circolare, la trama della vicenda: la ragazza che prende il sole sulla spiaggia riservata ai bianchi, le ore trascorse dal protagonista ad osservarla da lontano, la passione che poco a poco lo travolge, il rapporto a distanza che si crea tra i due, il loro muto sfidarsi, gli sguardi, i gesti, i pedinamenti, l'impossibilità di parlarsi, la loro silenziosa complicità, l'assurda follia di un rapporto a distanza dove tutto è affidato all 'interpretazione e alle proiezioni personali, l'ossessione crescente della donna bianca come frutto proibito, il desiderio della donna per !"'indigeno", l'attrazione e il terrore per una relazione che va contro la legge e la morale. Si profila allora una verità altra: la violenza sessuale forse non è stata tale, ma solo l'unico modo in cui ha potuto esprimersi una passione negata dalle leggi, unica possibilità di dare corpo e realtà a un desiderio reciproco inaccettabile per la collettività, un desiderio di cui poi naturalmente la donna non ha potuto assumersi la sua parte di responsabilità, pena I' emarginazione e la condanna da parte della sua gente. Si manifestano così le devastazioni psicologiche e morali create dall'apartheid, le disastrose conseguenze che produce sugli uomini e sui loro rapporti, i fantasmi di dominio e di potere che innesca. È in questa prospettiva che viene affrontata la tragedia della realtà sudafricana, dove la chiave politica del libro, la condanna della segregazione, emerge più che altro attraverso il racconto dei divieti e delle discriminazioni patite, diventando solo nel finale riflessione specifica, analisi socio-politica del cancro che sta devastando quella società.Nelle pagine finali del libro questa particolare storia d'amore, questa follia sentimentale scopre tutti i suoi caratteri eversivi. È lo stesso protagonista a ricordare che, nel paese del!' apartheid, desiderare l'altro dalla pelle diversa acquista il senso della rivolta: "Se morrò, sarà solo per una congiura ben più grande, ben più profonda, ben più crudele, una congiura ordita dai potenti del mio paese ai quali bisogna dare la colpa se certe relazioni tra persone di razze diverse risultano non solo irrealizzabili ma addirittura pericolose per chi si provi a viverle." Il racconto però resta sempre soggettivo, assumendo sempre il punto di vista delcondannatò, e come tale potrebbe essere tutto un parto della sua immaginazione, un abbaglio della sua follia amorosa: gli atteggiamenti seduttivi che egli attribuisce alla donna bianca potrebbero essere solo fantasmi della sua mente in cerca di motivazioni per giustificare il suo gesto. La stessa deposizione della donna in tribunale sembra non lasciargli alcuna attenuante, negando qualsiasi appiglio di realtà alle costruzioni che il giovane aveva prodotto nei lunghi pomeriggi in cui la osservava prendere il sole sulla spiaggia. E quindi tutto rimane avvolto nel!' incertezza, nell'indistinto, in quel!' aria labile che sono i fantasmi e le ossessioni della gente, in quella trappola di specchi, proiezioni CONFRONTI Piccoledonnecrescono. Unsuperfluoromanzo di Davidleavitt Mario Corona Battuta d'arresto, questa volta, per David Leavitt. La ragione? Temo proprio sia da ricercare in quella nevrosi da successo che in America insidia così implacabilmente i giovani esordienti. Vi avevo accennato, facendo gli scongiuri, in occasione del primo romanzo di Leavitt, Il linguaggio perduto delle gru, appena un anno fa ("L'indice", aprile 1987). Un libro che ero stato tra i pochi a considerare maturo e abilmente costruito intorno a un fascio di temi variegati e complessi. Ma scrivere un grosso romanzo all'anno non è cosa da nulla, neppure per un narratore dotato come Leavitt, il quale invece, spinto da chissà quale inebriamento presenzialistico, ha ceduto all'illusione che bastasse riattingere al solito pozzo per colmare ancora una volta il secchio. Ed eccolo presentarci, daccapo, lo stesso fantasmatico archetipo domestico che campeggiava nel Linguaggio e in vari racconti di Ballo di famiglia, la stessa fotografia replicata "qualche anno dopo". La madre, che ora si chiama Louise anziché Rose, è sempre al centro dell'attenzione; il padre, Nat, è la consueta figura scialba e irrisolta; il figlio Danny, ovviamente omosessuale come il Philip delLinguaggio, richiama nel nome il ragazzino di uno dei racconti. Non è più figlio unico: ha una sorella lesbica, April, che fa la cantante rock. Impigliata in una vita coniugale deludente, Louise si sta avviando lentamente verso una morte prematura. Nat, intanto, tiene il piede in due scarpe. Danny sta a sua volta vivendo con Walter una sorta di doppione del rapporto coniugale dei genitori, venato, come quello, di insicurezza, e non privo di tentazioni. Davvero sembra di leggere Le piccole donne crescono. I personaggi sono in sostanza gli stessi che abbiamo conosciuto nei due libri precedenti, e non fanno altro che seguire una parabola prevedibile e poco emozionante. Medesimo è il tema: la insoIL CONnSTo ed equivoci provocati dal ielo delle leggi che impediscono a due giovaru di verificare i propri desideri presunti, i quali poi sono costretti ad esplodere nell'ambiguità di una furia sessuale carica di sottintesi e di incertezze. Sabbie nere è cosi un romanzo di grande intensità dove tematiche psicologiche-esistenziali si mischiano alla dura realtà della politica, sullo sfondo della quale emerge il tentativo di analizzare una passione che in un paese come il Sudafrica ha potuto diventare tragedia. Il meccanismo del romarizo segue questo percorso svelando poco a poco, con un gioco intelligente di anticipazioni e richiami, la trama confusa di questa storia, per la quale alla fine restano solo le amare parole del protagonista: "la vita ci tira dei brutti scherzi, specie quando teniamo la guardia abbassata". stituibilità degli affetti famigliari, pur nella loro fragile imperfezione. Ma, a differenza di quanto accadevanelLinguaggio, queste vicende di genitori e figli non si intrecciano inmaniera significativa e necessaria, sicché, più che un romanzo, EqualAffections appare come un collage di spezzoni narrativi abbastanza indipendenti, quasi una serie di racconti solo occasionalmente illuminati da qualche sprazzo felice. Il procedimento aggregativo adottato da Leavitt non avrebbe di per sé, nulla di particolarmente censurabile. Vi era ricorso Hemingway nei Quarantanove racconti, facendo emergere poco per volta la storia accidentata di Nick Adarns. Vi ricorse più avanti Salinger, tanto per fare un altro nome (ma è il nome di un autore che con Leavitt c'entra parecchio), per costruire gradualmente la saga della famiglia Glass partendo dai momenti isolati dei Nove racconti (nove, appunto, come quelli di Ballo di famiglia). In Hemingway come in Salinger, tuttavia, al di là dell' ùnpasse che ha fatto sparire quest'ultimo dalla scena letteraria- o almeno da quella visibile - c'era una tensione, una ricerca, uno scavo, che qui mancano del tutto. Anzi, Eguali amori fa nascere a tratti il sospetto di un precoce manierismo. Si veda la scena cruciale della morte della madre. È legittimo pensare, alla luce dell'evidente autobiografismo dei materiali narrativi via via presentatici da Leavitt, che a questa scena egli si sia, da un punto di vista emotivo, lungamente preparato. Eppure ne fa, mi si perdoni il bisticcio, una scena madre, un pezzo da antologia paradossalmente frigido. Questo per dire che in nessun punto della sua ultima prova, nemmeno in quello che, a rigore, doveva costituirne il fulcro, Leavitt riesce a saltare più in alto del livello raggiunto nelle opere precedenti. Non vi si riscontra alcun approfondimento tematico, né alcuna innovazione stilistica o strutturale. Si potrebbe obbiettare che molti romanzieri, soprattutto i grandi, riscrivono sempre lo stesso libro. Ma allora, posto che i materiali narrativi di Leavitt fossero ancora, almeno potenzialmente, fertili, il giovane autore non si è concesso quel tempo di riflessione e di esperienza che, solo, avrebbe potuto conferirvi spessore e profondità. Di qui il disinteresse e la noia che prendono il lettore già dopo le prime pagine. 31
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