Linea d'ombra - anno VII - n. 34 - gennaio 1989

congresso ebraico mondiale. Di cosa ècadutodunquevittima il "coraggioso"Jenninger?Ci vuole del coraggio per pronunciare pubblicamente la verità storica nella RFT? Dipendedaqualeverità, e dachi ladice,dove e come. Senz'altro si deve prendere atto cheper un democristianopresidentedel Bundestag, che deve quasi imporre al proprio gruppo parlamentare l'accettazione di una commemorazione ufficiale a circa cinquant'anni di distanzadalla "notte dei cristalli", la situazionenon è del tutto facile.Quando i verdi gli avevanochiesto di dare la parola al rappresentante degli ebrei tedeschi, Galinski, Jenninger dovette opporsi: questo la CDU non glielo avrebbe concesso;oggi gli ebrei e domani magari i rappresentanti dei popoli zingari sterminati o degli omosessuali? In un partito la cui maggioranza considera il nazional-socialismo uno spiacevole incidente di percorso nel quale i tedeschi stessi furono vittime, l'affermazione della verità storica che Hitler era un idolo per la maggioranza dei tedeschi finché vittorioso, richiede un certo coraggio. E Jenninger non ha aggiunto che aHitler sarebbestatocondonatoanche il genocidiodegli ebreicome contributo alla causa tedesca se egli avesse continuato a vincere. No, Jenningerha tentato solo di descrivere lo stato d'animo dei tedeschi del 1938sullo sfondo dello sviluppo storico e ideologicoprecedente.Cheproprio questaparte del discorso è statala P. Jenninger e I. Ehre (foto Action Press/G. Neri) più criticabile e criticata si deve soprattuttoalla non-osservazione delle più elementari regole di retorica, come ha dimostrato Walter Jens in una pertinente rettifica di alcune parti delle argomentazioni di Jenninger ("Die Zeit", n. 47). Ma non solo: la ricostruzione dei nessi storici si rivela spesso incompleta e superficiale nel giudizio. Basti citare l'uso improprio del termine "rivoluzione" a proposito della trasformazione "dello Stato di diritto in uno Stato di delitto e di ingiustizia" nel periodo 1933-38,per non parlare del "fascino" di quegli anni. Jenninger, cattolico impegnato nel dialogocon Israele, ha voluto tenere un discorso che si distaccasse dalle formule retoriche ricorrenti e che superassenelJ'effettopubblico il discorsodiWeizsaker dell '8 maggio 1985.E riuscito nel suo intento, ma in modo del tutto imprevisto.Nella sostanza del suo discorso non c'è nullache possaaver urtato la sensibilitàmediadei tedeschiinmodo tale da esigere le sue dimissioni. Si è abituati a ben altro, in un paese in cui ilcancelliereKohl ha potutodichiararsi fuoridallaresponsabilità per il nazismo grazie alla sua data di nascita per poi celebrare 1'8maggio 1985davanti alle tombe delle SS al cimitero di guerra di Bitburg.E Kohl avrebbe voluto vedere come sueIL CONns,o cessare di Jenningerproprio il capogruppodemocristianoalla camera, Dregger, che già nel 1982 fece "appello a tutti i tedeschidi uscire dall'ombra di Hitler. Dobbiamo tornare alla normalità". Che Jenninger abbia potuto invece urtare la sensibilitàebraica e dei tedeschi non complici del sistema sembra fuori dubbio. In fondo egli ha parlato in memoria dello sterminio di milioni di uomini nello stessomodo in cui avrebbeparlato in altra occasione della legislazionesociale di Bismarck.Parlare delle colpe tedesche con lacoscienzadi un tedescoche si sente storicamenteresponsabile implicherebbe un diverso tono, capace di infrangere quel cordone sanitario di "oggettività" che è stato eretto dagli esperti intorno al genocidio ebraico e che separa ancora oggi coloro che "non sapevano" o che "non sanno" da quelli che hanno dovuto subire l'inconcepibile. Non è casuale se non passa occasioneche non metta a nudo il punto nevralgico: in quasi cinquant'anni i tedeschi occidentali come collettivitànonhanno saputoinstaurareunrapportoresponsabile e credibile con il passato nazista. Kohl sta senza dubbio cercando di cancellare l'immagine di Bitburg, lo mostranoi suoi ultimi discorsi inmerito,ma nonè certamente la kipa sullasua testanella sinagogaricostruita di Francofortea rendere piùconvincente "l'abbraccio identificatorio" (Dan Diener) in cerca di una parola di discolpa che viene anche offerta da parte dei successori delle vittime. Come sipuòpretendere di poter rispondere alle domandemai evase sul passato nazista dopo ben mezzo secolo con discorsi commemorativi più o meno adeguati, con l'apertura di qualche museo alla memoria e con una ormai rituale professione di amicizia verso lo statod'Israele daparte di unaclasse politicaconservatrice che ha rifondato lo stato federale tedesco proprio sulle stesse fondamentache avevano sorrettolo stato nazista?Addirittura con l'aiuto degli stessi esponenti dellaborghesia tedescache avevano fatto funzionarecosì bene la macchina statale nazista (e non sipuò fareamenodi ricordareancorai troppiLtibke,Carstens e Filbinger, per citare solo i nomi dei politici più conosciuti o quello di Globke,nel 1935autore dei commenti alle leggi razziali di Norimberga e nel 1949 il più stretto collaboratore di Adenauer alla cancelleria della nuova RFf). Ecco un altro punto nel quale le parole di Jenninger suonano insufficientie tutt'altro che coraggiose: la "rimozione del passato" da parte tedescadopo il 1945 viene da lui per l'ennesima volta considerataquasi una fatalità- una calamità naturale- e chi lomette indubbiopecca di superbiamorale.Chi ha esaminatopiù a fondo le vicende del secondo dopoguerra tedesco sa che sarebbe più preciso e illuminante parlare a livello collettivo di un processo di negazionecosciente daparte di quelle forzepoliticheche si accingevanomoltopresto a fare"la pacecon i criminali" (Ralph Giordano), mentredi rimozione si può parlare solo a livello individuale. "Il 'collettivo nazionale dei seguaci di Hitler' di ieri si comporta oggi, nella democrazia, in maniera corrispondente alla sua deformazionenazista. Da questo hanno origine gli 'affetti collettivi', la 'seconda colpa', che nella suadisumanitàmostratainmaniera così disarmanteci fa comprendereperché il nazionalsocialismo ha potuto a suo tempo ottenere tanto successo. Nellarimozionee nellanegazionenon si è trattatoe non si tratta inprimoluogo della difesa del Terzo Reich e del suoFtihrer, ma del proprio Io, che non vuoleammettere nessuna colpané davanti a sé,né davanti ad altri. La perdita di un orientamento umano attraverso la profonda identificazionecon le idee di Hitler si perpetua oltre la fine della sua esistenza fisica. Questa perdita si è rivelata come l'eredità più ostinata lasciata dallo stato nazionalsocialista e dal terreno storicoche aveva di fronte". Queste, evidentemente,non possono essere le parole di un Jenninger, le scrisse R. Giordano, ebreo sopravvissutodi Amburgo (citate e tradotte dal suo ultimo libro, Die zweite Schuld, Amburgo 1987). 25

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