Linea d'ombra - anno VII - n. 34 - gennaio 1989

CONFRONTI Consolo: Pietre e macerie. Il teatro del mondo e la nave degli orrori. Gianni Turchetta L'ultimo libro di Vincenzo Consolo, Le pietre di PanJalica (Mondadori, 1988, pagg. 195, Lit. 20.000) ha un titolo certo suggestivo ma che forse non gli rende pienamente ragione. Grandiosa necropoli rupestre situata fra i monti lblei e formata da circa 5.000 grotte scavate nella roccia fra il XIlI e l 'Vill secolo a. C.,Pantalica affascina lo scrittore insieme come luogo reale e come simbolo paradossale di una Sicilia presente e però perduta, ancora tangibile e tuttavia remotissima. Proprio nel primo racconto (assumiamo. provvisoriamente questa definizione di genere letterario altamente imprecisa) in cui, se non erro, compare il nome di Pantalica, Consolo pone, a sé e a noi, una domanda forse retorica che sembra offrirci una chiave di lettura esplicita: "Ci sono ormai posti remoti, intatti, non dissacrati, posti che smemorano dal presente, che rapiscono nel passato?" La domanda è istruttiva e tuttavia rischia di essere anche un poco fuorviante o perlomeno limitativa. Si potrebbe infatti pensare che l'autore voglia offrirci qualcosa come un viaggio alla ricerca di oggetti archeologici o antichi, una fuga dalla vita, ma per ritrovare e ricostruire simbolicamente, per "noi che ci muoviamo ciecamente in questo mondo ignari d'ogni sacro, d'ogni arcano", luoghi e tempi di una smarrita pienezza di senso e di esperienza. Dopotutto il libro precedente di Consolo, Retablo, si era mosso in una direzione simile: sorta dianti-romanzo storico, ambientato in un Settecento sontuoso e pezzente, Retablo assomigliava a una regressione disperatamente terapeutica. Vi si rappresentava infatti un passato violento e barbaro, ma percorso in ogni istante dalla forza della passione, e comunque mai brutale e disgregato come il presente. In questo modo però la tragedia e il dolore della vicenda finivano per tenere in serbo qualche cosa come degli scampoli sorprendenti di felicità, o per lo meno di una vitalità pienamente dispiegata, nei momenti in cui la nostalgia e il pianto venivano travolti dall'entusiasmo goloso del ritrovamento di cose e di parole, e insomma dall 'energia stessa del moto di reimmersione in una Sicilia perduta. Ma ciò che più contava in Retablo era proprio il gesto di distacco, abbastanza esibito, insieme dal presente e dalla storia. Proviamo ora però, per tornare alle Pietre di Pantalica, a restituire il suo intero spessore di significato a questo prender le distanze, a questo allontanamento programmatico presente in qualche misura sempre nei libri dello scrittore. Sembra anzitutto che il punto di partenza di Consolo sia una sfiducia radicale nell'atto stesso dello scrivere: "sogno o favola poco è diverso. Non è sogno tutto quanto si racconta, s'inventa o si riporta, per voce, per scrittura o in altro modo, d'una vicendad'ieri, di oggi o di domani, d'una vicenda possibile o fantastica? È sempresogno l'impresadel narrare,uno staccarsidallaveravitae vivere in un'altra.Sogno o forse anche una follia, perché della follia è proprio la vita che si stacca e che procede accanto, come ombra, fantàsima, illusione, ali' altra che noi diciamo la reale. O della morte?" Così ci vien detto in Filosofiana, uno dei testi più ricchi del volume, in cui troviamo parecchie proposizioni cariche di implicazioni generali e di esplicite affermazioni di poetica. Dunque la distanza, il non-contatto non dipende tanto da una scelta di tema ma è, ben più profondamente, un dato inevitabile della condizione di scrittore e in generale di artista: in questo senso ogni scrittura letteraria non può non essere archeologia, percorso conoscitivo che da frammenti e rovine di realtà tenta di ricostruire un mondo, ma sapendo di essere per propria natura sempre costretta ad un' approssimazione insoddisfacente. In secondo luogo il ricorso alle immagini di un'epoca lontanissima è occasione di una riflessione metafisica sul destino dell'uomo e sul tempo. L'ironia del cognome del protagonista di Filosofiana, Vito Parlagreco, non colpisce in fondo l'ignoranza di chi lo porta, un piccolissimo proprietario di un po' "di terra accattata impegnando pure la camicia", ma vuole più che altro ricordarci che "È la storia, la storia, il tempo che rotola e stravolge", confondendo tutto, e cancellando le ciOccu~zlone di terre In Sicilia (foto di Franco Pezzino, èta: Il lavoro e la lotto< CUECM, Catania 19871 IL CONDITO viltà e i loro linguaggi. Tant'è vero che Don Gregorio Nànfara, l'intellettuale del paese (che Parlagreco manda a chiamare quando trova nel suo poderetto dei reperti antichi ) può sognare di realizzare la grande speranza della sua vita, cjoè non solo ritrovare la tomba di Eschilo in Sicilia, ma addirittura dimostrare l'inesistenza della Grecia antica: ''Tutto si è svolto qua, in terra di Sicilia. .." Già da questa descrizione sommaria del pathos della distanza di Consolo si può vedere quanto si sia lontani da una regressione meramente evasiva, consolatoria. Tuttavia Le pietre diPanJdlicanonèpernullariducibileaipropositi "archeologici" (sia pure nel senso appena visto) che l'autore esibisce fin dal titolo; anzi direi che è soprattutto altro. Proviamo a lasciare da parte l'intestazione e a guardare l'indice. Il libro è diviso in tre parti, i cui rispettivi titoli sono: Teatro, Persone, Eventi. Siamo, evidentemente, in presenza di una visione del mondo come teatro, illusione, mascherata: concezione insieme molto barocca e molto siciliana (la connessione fra i due aggettivi non è naturalmente frutto del caso, bensì di una precisa vicenda storica). Questa idea del mondo come rappresentazione, segnata per di più dall' ossessione per quello che è "degli scenografi il più riduttore, il più essenziale: il tempo", sembra avere radici così profonde in Consolo da fargli strutturare persino l'indice stesso con una sorta di trompe l' oeil. fufatti, come vedremo fra poco, le Persone e gli Eventi si riveleranno tutt'altro che illusionistici, dal momento che i temi della seconda e terza parte del libro non sono affatto frutto di finzione o d'invenzione, ma rimandano ad altrettanti episodi della storia o se si preferisce della cronaca. E questo è uno dei motivi per cui l'etichetta "volume di racconti" si addice molto poco a Le pietre di PanJalica. Consolo stesso inoltre ci ricorda come la parola "teatro" abbia assunto in anni recenti anche una nuova, agghiacciante accezione, quella cioè conferitale dall'involontario barocchismo de11

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