concesso perfino di non avvertire la sofferenza che corre tra tirare un carro da morto e portare in groppa un bel generale. L'incredibile vitalità di una calzatura come il cavallo, si esplica nel trascinare un veicolo a quattro ruote, magari funebre; altrimenti, che cosa potrebbe fare? Oh! rimanere così, allo stato selvaggio, mangiando e bevendo o dare in corsa o stare in quiete; oppure girovagare pei giardini pubblici, fermarsi agli angoli delle strade, sostare muovendo la coda dentro una · galleria o bere il caffè o ascoltare una musica al modo d'un grosso cane, tra le persone, o tenuto invece che al guinzaglio, alla briglia, docile. Ma non avrei potuto raccontarle per filo e per segno, se non con un ragionamento postumo, per una impressione venuta dopo, quel calcolo immaginoso: perché ricordo appena e d'esser divenuto cavallo e d'aver pensato dinanzi alla cavalla gravida e patita che un giorno ero un uomo. Ho ancora la convinzione che non ci si dovrebbe accorgere del tramutamento: chissà quanti uomini diventano, anche per breve momento, fiere o bestie e non lo sanno e si svegliano al mattino, tranquilli, desiderosi soltanto di lavanda: e por-' tano subito le mani al viso. Deve accadere così, tante volte e parecchi, forse, non ritornano nemmeno pìù uomini, nell'atmosfera degli uomini: se, sotto spoglie di animali, vengon colti da. un accidente o muoiono galoppando alla cieca nel burrone o contro il radiatore.d'una macchina violenta. Certe avidità luculliane, alcune bramosie di stomaco, certe sazietà che fanno miopi, lo stato in cui si trova taluno quando non pensa a nulla eppur vive, il cervello in assoluto riposo, gli strazi della carne colpita o ferita, quel guardare una cosa, un oggetto, un mobile, una casa senza capire, senza valore o importanza, son molto simili alla condizione animale dei cani e dei cavalli, o delle bestie tutte comunque, ad eccezione del gorilla e dello scimpanzè i quali sono portati ai limiti del ragionamento, ai confini del pensiero. Fu così che un giorno il padrone mi vendette ad una grande impresa di pompe funebri. Col petto tiravo i morti. Mi impennacchiarono nella stalla, dopo avermi ben bene strigliato e profumato. I pennacchi erano neri, lustri, con medaglioni di metallo, una bella.gualdrappa mi ricopriva il dorso, il barbazzale lasciava cadere nel vuoto due pendagli di lana. · Sentivo rumori che rassomigliavano a! pianto; sebbene non potessi voltarmi né di qua né di là, pure scorg~vo gente che si toglieva il cappello, altri salutavano con le mani, fermi a guardare. Ma nessuno pensava a ravvedersi, nessuno: sembravano non capire. Bambini giocavano, gente cresciuta si gingillava con la catena dell'orologio, con un bastone, con · un cesto, con un chiosco ai giornali. Andavo lento, compassato, ignaro del mio vicino. Avevo preso l'abitudine alla lentezza, uno zoccolo dietro l'altro, ~ non so se mi riposassi, forse fatic~vo di più che se corressi. M'avevano abituato così il corpo, a furia di pazienza e di busse, che non imbrattavo più le strade in quell'ora della funzione, ma la stalla soltanto a tempo debito, la mattina e la sera. Mangiavo poco e mi frustavano a che prendessi STORIE/GALLI AN il passo dovuto, me lo insegnavano come nei circhi equestri; in giorni ·speciali, durante cerimonie o avvenimenti funebri di qualche importanza, mi facevano una iniezione de.primente, quella di morfina, che s'usa fare ai leoni dei circhi. M'avevano insegnato a zampettare dignitosamente, sempre a furia di percosse, a non nitrire, a non tirar calci; m'avevan tagliato la coda a che non l'agitassi troppo in segno di festa. Un bel giorno, all'improvviso, un cocchiere, nel mezzo d'un funerale, cominciò a frustare senza ragione, contro ogni abitudine durante il tragitto: frusta e frusta tanto che incominciammo a correre, trascinando, sfolgorante di corone agitate, quel carro; dopo un quarto d'ora, s'era in aperta campagna. Poi il cocchiere tirò le redini, mi frenò per la bocca, mi fermai. Fui staccato e mi trovai solo sulla strada maestra. Mi misi a brucare l'erba d'un prato che nasceva rigogliosa accanto alla strada. Mangiai lunghe ore così, divorai quasi il prato, passo passo, sino a che sazio mi gettai a terra. Non riuscivo più a folleggiare, con le zampe all'aria e tutta la presenza del terreno sul dorso. M'ero ammusonito. Lento, gra.ve, zampettando, ritornai in città e quando m'appiopparono ad un nuovo carro che trasportava concimi, zampettavo sempre.zoccolando con dignità: il carrettiere faceva gli scongiuri. E mi ritrovai nuovamente solo. Un .cavallo non può star solo e libero. Non s'è dato mai il caso d'uno senza padrone, a zonzo per la città. Ci son le guardie, che girano in bicicletta. Nemmeno potevo correre, impennarmi, scalpitare, fuggendo di carriera lungo le strade, perché avrei trovato sempre qualcuno che, audace, mi avrebbe fermato. Conoscevo i campi proibiti a fiuto, quelli coltivati, quelli di gioco, i giardini, gli orti, i parchi; li evitavo. Avevo trovato un campicello accanto ad una villa, solitario, nuovo, pieno zeppo d'erba con qualche sasso. Vi pascolavo, solo, nudo, senza cavezza, e tutti mi credevano di qualcuno e non mi toccavano. Io ero di nessuno, vagabondo. Ma la sete cominciava, a sera era terribile; la gola secca, il muso arido. Cercavo l'acqua: andavo, andavo, ramingo alla volta d'una fontanella. Non c'erano specchi d'acqua, né pozzanghere, né fossi, né ruscelli. Finalmente trovai una fontanella: mi precipitai di galoppo, ma non potevo bere. L'acqua veniva giù: un largo filo scolava poi attraverso un buco. La sentivo scorrere, la vedevo. Una sete terribile. Allora fui costretto a seguire un uomo, perché s'era messo a piovere. Pioveva a dirotto e sempre non potevo bere. Se,guendol'uomo che si voltava quasi impaurito, spesso - correva lui e io l'inseguivo - l'uomo entrò dentro un portoncino e io ri~asi fuori. Un cavallo arràbbiato. Vedevo gente arrivare, fare segni, uno andò a prendere un laccio o ima corda. "Ma chi sa- · rà?" dovevano.esclamare. Un cavalloperduto o disperso. Allora di nuovo via, sotto la pioggia, a fuggire. Dentro un fossatello stava un'acqua sporca, rossigna, terrosa. C'era un topo morto . .Ne bevvi tanta. · Era buio alto ed io me ne stavo pronto ad un richiamo. · Copyright Eredi Gallian 1988 (da Quasi a metà della vita, 1937) 91
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