Linea d'ombra - anno VI - n. 33 - dicembre 1988

STORIE/GALLIAN Fascista anarchico e scrittore d'avanguardia: la riproposta di un autore ingiustamente dimenticato - irregolare, visionario, antiborghese - che fu inviso alla destra come alla sinistra. accarezzava spesso; la prendeva pel muso e la mordeva. E lei nitriva. Ayeva i denti grossi e portava una lunga coda stretta dentro un fiocco rosa pallido. Quando la aggiungevano al traino, le mettevano indosso un bel vestito di cuoio a strisce; il barbazzale tenero, le briglie ruvide e maschili. Io quando la vidi, quella notte, non capii. Non avevo nemmeno un concetto al proposito. Le stelle erano tante e grosse, grossi gli alberi, il vento correva in aria, di tanto in tanto le nubi passavano avanti alla luna, la luna spariva, non c'era più e io la dimenticavo; poi la vedevo tornare, chiara, argentea, nel firmamento. Un ragazzo prendeva le sue misure su un foglio: la rifaceva poi sulla carta argentata, la metteva in alto, nella stalla. Non capivo perché la rifacesse: infatti, ancora oggi non so comprendere più, ne.romeno per scherzo, il vizio che hanno gli uomini, dell'imitazione; rifare una cosa, un oggetto, un mobile celeste o terrestre e falsi, è pazzia. Sarebbe lo stesso che rifare, con la carne posticcia, un uomo. Quante cose si dimostravano, allora, ai miei occhi di cavallo né felice né miserabile, né ricco né povero, né grande né piccolo, ma semplicemente un cavallo! Quanto freddo attorno agli zoccoli intirizziti. Mi si gelava la saliva in bocca. Mi si cariavano i denti e nei buchi talvolta entravano le formiche. Ma, un mezzogiorno d'estate, vennero a prendermi e mi condussero sopra un campo. C'era, sul campo, legata la cavalla, e quattro bifolchi attorno con le fruste e le corde. Avevano portato anche alcuni secchi pieni d'acqua. Tirava uri caldo rabbioso, fanatico, grosso tanto che gli alberi sui colli erano immobili e le erbe cariche di sole e di vermi vivi. Tutti mangiavano,_gli uomini come le larve e i millepiedi e le stelle marine mangiavano. Uno dei quattro bifolchi rideva, rideva assieme con gli altri; uno con una lunga corda mi fissò ad un palo, la più lunga ed un altro volle che mi avvèntassi precipitoso. Contro chi, non sapevo ancora. Intanto badavo a scalpitare fortissimo, a zoccoli spianati, tanto che lei nitriva dolcissimo e altissimamente e si ribellava e sgropponava e smaniava tutta; non dava calci, ma sudava e mostrava i denti. Poi, mentre continuava a ridere il bifolco e gli altri lo imitavano con tutte le bocche, ostacolai tutto me stesso, un me stesso lontano e vicino, che era ai confini della mia forma terrestre con la quale assalire l'altra forma, per cercare di rapinarla, ribellando e mordendo a tutto spiano all'aria. E mordevo, ora, io, tutto in tal sudore che nessuno sarebbe stato capace di asciugarmi: un sipario sarebbe caduto fradicio. Schiumavo dalla bocca sino agli zoccoli e dalle stalle, dai chiusi, dalle strade di campagna, via via, con la stessa voce chiara che portava la notizia, mi rispondevano i cavalli e le cavalle, liberi o aggiogati, in piedi o sdraiati. Come il vento, come la bufera, come il sole ero io e il fiume era il sudore sino a che mi tremolarono i denti. Ma spernacchiavano e vociferavano con le risate i bifolchi. Rotta, la cavalla cadde a terra, da me staccata: poi si rialzò subito e ci mettemmo a correre e correndo gridavamo: il sole s'era fatto nero come se stesse spengendosi e gli alberi e le erbe e i colli e quella luna meridiana erano così forti di tempra e di stile e di vita, che stavano per tramutarsi in chissà che cosa. Ora mettevo il musei a terra, animale da traino che aveva creato un altro carro e un nuovo cavallo dentro il ventre capace della femmina avida e serena: piangente. Con tele le asciugavano gli occhi e il dorso. Ritraevano nell'aria le tele insanguinate; 'rosse. I tori imbestialivano furenti a quel colore sincero. E io correvo, correvo mangiando qua e là, uno sterpo fra due denti, foglie ed erbe in bocca. P assarono i mesi. La femmina, quando la rividi, era aumentata del doppio nel ventre enorme e pieno, insaccata. Il muso pallido. I denti violacei. Gli zoccoli cattivi. Se ne stava distesa in terra, sopra molta paglia. I ragazzi del vicinato la accarezzavano assieme a che la carezza riuscisse grande: le avevano messo attorno al collo un nastro e andavano a caccia sul corpo vasto di tafani e di zecche, ai quali davano una morte lenta. Ad una ad una strappavano le zampe sino a che il corpiciattolo rimaneva. deserto e fallace come un sassolino, poi con le unghie lo incidevano, con gli aghi lo passavano da parte a parte. Venivan fuori goccette rossastre. Convalidava la supposizione dell'esistenza di una zecca enorme nel mondo, una zecca elefante nella differenza che corre tra la montagna e il sassolino. Sentì la femmina che mi avvicinavo e nitrì forte. Quasi con odio. Nitriva la mattina quando passavo, a mezzogiorc · no, alle due e alla sera in modo diverso dal consueto. Chissà che cosa avveniva in lei. Chi la spingeva? Che provava? Che cosa o chi faceva muovere gli occhi pallidi sulla facciata di quella natura enorme? Fu proprio in quei giorni, quando appunto quel femminile bestione mitico giaceva gravido, che io mi ricordai d'esser stato uomo. Non ricordavo né il mio nome né la paternità, la casa o il mio mondo virile, ma semplicemente la mia umanità, il mio pensiero, la mia memoria e quella prodezza che è il riso e la facilità esasperante della parola. Ricordai in un lampo una madre che avevo sentito partorire e il lago di sangue e d'acqua e la rivestitura di veli della dolce creatura che rassomigliava stranamente ad una medusa capitata dentro un mattatoio. Volevo parlare e non potevo; aprii le labbra enormi ad un sorriso e non potei che mostrare i denti; c'era in quel momento, a me addosso, sopra di me, la veste portentosa e triste.del cavallo; battei una mano. sul terreno .chedette un forte rumore. Come urlava. Quanta bava gettava dalla bocca. E che occhi allagati. Invece che un uomo, veniva fuori col muso e gli zoccoli teneri un cavallo; i campi partorivano grano, gli alberi le foglie, i pesci facevano altri pesci, gli uccelli, volando, producevano uccelli che schizzavano poi nei nidi. Sino a che venne fuori da solo, da quella caverna di carne, un animale. Era piccolo, col pelo crespo e la coda infantile. Vide subito il carro a quattro ruote ..I nego.zivendevano 89

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