L1 ETICADELLASPERIMENTAZIONE SUGLIANIMALI fohn Dewey _Siamonati quando il famoso filosofo americano fohn Dewey è morto. Ripresentare ora un suo scritto di più di sessanta anni fa che verte su di un tema certamente minore della sua attività, può sembrare un 'operazione di ·archeologia del pensiero scientifico. Ma la notevole attualità di questo scritto, scovato ·un po' per caso in una biblioteca americana, ci ha spinto a riproporlo al lettore italiano. Sembra quasi che in questi sessanta anni ilproblema dell'etica animale abbia subito una sorta di eclisse a livello di analisi teorica approfondita, per tornare a imporsi perentoriamente solo negli ultimi tempi, in parte grazie alle salutari proteste dei cosiddetti antivivisezionisti. Il saggio di Dewey ha il pregio della chiarezza, e rappresenta una netta presa di posizione a favore del pensiero paleopositivista dei suoi tempi, in cui lo scienziato è una sorta di sacerdote, al quale il resto dell'umanità delega !;indaginescientifca per promuovere ilproprio benessere. Certamente, oggi una presa di posizione di questo tipo non trova facilmente consenso unanime: troppo si è discusso di uso sociale del prodotto scientifico, di sèelte a carattére culturale e di chi le deve operare. È difficile immaginare una delega assoluta a una casta di "esperti", dei quali si tende piuttosto a diffidare. È finita l'era delle "magnifiche sorti eprogressive" dell'umanità; oggi, è chiaro a tutti che lo sviluppo scientifico ha i propri limiti, e costi talvolta altissimi. Acquisire conoscenze sulla biologia dell'uomo al fine di allungarne la vita, di mettere a punto strategie terapeutiche e di intervento contro la sofferenza ha necessariamente dei costi in termini di sperimentazione condotta su specie animali diverse da quella umana. In questi ultimi anni il dibattito sulla sperimentazione animale ha raggiunto toni accesi. Quotidiani e settimanali riportano casi di. laboratori incendiati, di animali da esperimento liberati, di minacce e percosse a ricercatori e studenti accusati di aver commesso atti crudeli su animali. L'Italia non è esente da questo.dibattito, anche se frasi di conflitto aperto sono stati sporadici e contenuti. Il confronto verbale è però frequente; i media ne trattano spesso, ma non tanto per compiere un 'analisi seria e approfondita dell'argomento, bensì per rispondere, spesso in modo•approssimativo e semplicistico, al crescente interesse e al nuovo tipo di sensibilità del pubblico nei confronti della sofférenza animale. La stessa televisione di stato però non si ricorda che la pubblicità a base di animali selvatici dal fascino esotico, e i programmi di varietà per il grande pubblico con cuccioli di felini o di scimmie seduti sui sofà sono basati su sofferenze ingiusticabili e non socialmente motivabili. Storicamente siamo di fronte ad un fenomeno di presa di coscienza abbastanzageneralizzata. Un numero sempre maggiore di persone si pone il problema delle sofferenze animali e di ciò che sia giusto fare. Il problema non è più ristretto al mondo dei filosofi e a una élite di politici. Bisognerebbe piuttosto interrogarsi sul nuovo urbanesimo italiano, sul progressivo allontanamento da una cultura bucolica fatta anche di maiali scannati e polli cui qualcuno tirava il collo. Sulle nuove alienazioni, e sulle nuove sofferenze. Sulla solitudine lenita dall'animale ca- . salingo, cane o gatto che sia. Insomma sulla larga gamma dei motivi reali di una acuita sensibilità della gente comune per l'animale che soffre, e alla scarsafiducia che scienziati nuclearisti e tecnologi inquinatori infondono nel pubblico degli inesperti. E al lucro politico che oggi ci si fa sopra. Enrico Alleva, Elisabetta Visalberghi Foto di P. Ecailly (Cosmos/Grazia Neri). I vari moralisti usano motivazioni diverse per sostenere che la crudeltà verso gli animali è ingiusta; sul fatto che è immorale siamo invece tutti d'accordo e quindi non c'è bisogno di discuterne qui. Che la ragione sia un qualche dirìtto intrinseco dell'animale, oppure un effetto negativo che si riflette sul carattere dell'uomo, oppure qualcos'altro ancora, la crudeltà - e cioè il far soffrire inutilmente qualsiasi creatura dotata di sensibilità - è senza dubbio una cosa sbagliata. Non ha però alcuna giustificazione etica sostenere che la sperimentazione sugli animali, anche quando implica una sofferenza fisica o comporta, come accade più comunemente, la morte indolore - perché gli animali ·sono ancora sotto l'effetto dell'anestesia - è una forma di crudeltà. E non ha nessuna giustificazione morale neppure sostenere che i rapporti fra gli scienziati e gli animali debbano sottostare a leggi o a restrizioni diverse da quelle generali che regolano il comportamento di tutti gli uomini al fine di proteggere gli animali dalla crudeltà. Entrambe queste prop9sizioni, tuttavia, non rendono pienamente la verità perché sono espresse al negativo, mentre la verità è propositiva. Enunciati al po73
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