Linea d'ombra - anno VI - n. 33 - dicembre 1988

INCONTRI/ADORNO uomini; in secondo luogo è legata al fatto che, all'interno dell'attuale costellazione economica, gli uomini sono, in fondo, superflui per il mantenimento della 1oro propria società ed è legata anche alla nostra intima consapevolezza di essere tutti potenziali disoccupati e futuri mantenuti, vale a dire alla consapevolezza che, anche senza di noi, le cose vanno avanti. Credo che questi siano i motivi, assai fondati, di quest'angoscia. Ma l'insicurezza in un mondo che si pretende destrutturato... · Il concetto di angoscia concerne questo stato di cose? Non "angoscia" nel senso di una condizione metafisica, come in Heidegger, ma piuttosto in un senso che non è noto agli uomini nelle sue.articolazioni ma che si rifà a queste cose ben certe: in primo luogo la catastrofe, in secondo luogo la sostituibilità e licenziabilità di ogni singolo. Perché in una società funzionale, in cui gli uomini sono ridotti alle loro funzioni, nessuno è indispensabile: q\lello che ha una funzione può anche essere sostituito e solo ciò che è privo di funzione potrebbe in assoluto essere l'insostituibile. E questo gli uomini lo sanno bene. Quello che lei sta formulando è un pensiero spaventoso, signor Adorno. L'ho incontrata per la prima volta in Hannah Arendt questaformula della superfluità dell'uomo. Questo è un terreno su cui a malapena si osa metter piede ... [Questa formula] è anche, tuttavia, illuminante, nel senso che oggi gli uomini sono sostanzialmente appendici delle macchine e nòn soggetti padroni di sé. Io non voglio nien- . t'altro se non che il mondo venga,.organizzato in modo che gli uomini non siano le sue appendici superflue, bensì - in verità - che le cose esistano per gli uomini e non gli uomini per le cose, che, inoltre, essi stessi hanno prodotto. E che siano loro ad averle fatte, che le istituzioni rimandino in ultima analisi agli uomini è per me una magra consolazione. Sì, il bambino che si nasconde sotto al grembiule della mamma ma ha al tempo stesso paura [è] il minimo o l'ottimale di sicurezza che la situazione possa offrire. Signor Adorno, lei naturalmente a questo punto vede nuovamente il problema dellamaggiore età. Crede davvero che si ci possa aspettare da tutti gli uomini che si sobbarchino il çarico di problemi concernenti i principi basilari, il dispendio di riflessioni, gli errori di vita dalle conseguenze durevoli, tutto quello che noi abbiamo passato nel tentativo di renderci autonomi? Mi piacerebbe tanto saperlo. La mia risposta è, molto semplicemente: sì! Mi sono fatto un'idea della felicità obiettiva e della disperazione obiettiva e vorrei dire che, fintantoché si sollevano gli uomini dalla responsabilità totale ·e non si pretende da loro l'autodeterminazione, anche il loro benessere e la loro felicità in questo mondo è pura apparenza. E una apparenza che uri giorno esploderà. E quando ciò accadrà avrà conseguenze tremende. ' . Qùi siamo esattamente al punto in cui lei dice "sì" e io 62 "no", o viceversa, in cui io vorrei dire che tutto quello che si sa e si può formulare sull'uomo, da tempi immemorabili fino a oggi, starebbe a dimostrare che il suo è un punto di vista antropologico-utopico, anche se grandioso ... Non è poi così spaventosamente utopico. Vorrei anzi aggiungere molto semplicemente che le difficoltà, a causa delle quali secondo la sua teoria gli uomini anelano allo "sgravio"; difficoltà che io non nego affatto (lei sa che anch'io, del tutto indipendentemente da lei e in un contesto completamente diverso, mi sorio imbattuto nel concetto di sgravio, in ambito estetico: io - e questo è interessante - in ql).anto critico di questo concetto, lei in quanto propugnatore), il bisogno, dicevo, che porta gli uomini a questo sgravio è proprio il carico opprimente che viene loro imposto dalle istituzioni, quindi da apparati a loro estranei e dotati di strapotere nei loro confronti. È quindi all'incirca così: gli uomini dapprima vengono cacciati. spediti via dalla madre, fuori nel gelo, oppressi da un peso spaventoso, e poi, in un secondo tempo, si rifugiano proprio presso la stessa madre, cioè la società, che li ha scacciati. E mi pare che oggi sia addirittura un fenomeno originario dell'antropologia il fatto che gli uomini si rifugino proprio presso quel potere che è la causa del male di cui soffrono. La psicologia del profondo ha anche una espressione per questo fenomeno, che viene chiamato "identificazione con l'aggrèssore". Quello che mi sembra.:_ se mi permette di esprimermi così - il pericolo della sua posizione, in cui, senza dubbio, non mi sfugge un fondo di disperazione profonda, è questo: io temo che lei a volte, per una sorta di - mi perdoni - disperaiione metafisica si rimetta a questa identificazione con l'aggressore, cioè a dire che lei teoricamente si identifica proprio con il potere che lei stesso, come noi tutti, teme; ma nel far ciò, prende partito anche per una serie di cose che, a parer mio e probabilmente anche a parer suo, sono intimamente connesse con quel male. Signor Adorno, siamo arrivati così lontano che, in verità, il nostro colloquio è al termine. Non potremmo più proseguirlo . . No, non possiamo ... Ma vorreif arie ancora un appunto di rimando. Sebbene abbia la sensazione che.noi siamo d'accordo nelle premesse di fondo, ho l'impressione che siapericoloso, come lei tende a fare, rendere insoddisfatto l'uomo di quel poco che gli è rimasto in mano in questa sitùazione altamente catastrofica. · A ciò vorrei replicare con una citazione da Grabbe: "Perché nient'altro può salvarci se non la sola disperazione". (traduzione di Margherita Be/ardetti) Copyright Suhrkamp 1974, 1988. Il ttsto di questa conversazione è apparso in appendice al volume di Friedemann Grenz Adornos Philosophie in Grundbegriffen. Auflosung einiger deutungsprobleme, Suhrkamp, Francoforte 1974. Ne dobbiamo la segnalazione a Cesare Cases. (N.d.R.)

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