INCONTRI/ ADORNO ... "perché nient'altro può salvarci se non la sola disperazione" ... . :. lei chiede piuttosto: "Perché insiste così sulle istituzioni?" E a questo proposito... • Per evitare un malinteso: in un certo senso anch'io insisto altrettanto su questo argomento perché credo che lo strapotere delle istituzioni sugli uomini sia, perlomeno nella situazione odierna, la chiave interpretativa. Soltanto che, probabilmente, arriviamo a conseguenze diverse. Sì, sì. Si vedrà. Ma dobbiamo finalmente trovare la questione controversa. Forse sta nel fatto che io sono incline, come Aristotele - è da lui, credo, che ho imparato questo - ad attribuire grande importanza al punto di vista della sicurezza. Credo che le istituzioni siano mezzi per tenere afreno la disposizione dell'uomo al marasma. Credo anche che. _ le istituzioni proteggano l'uomo da se stesso. Certamente limitano anche la libertà. Ma di continuo vediamo comunque che ci sono dei rivoluzionari. L€i stesso ha detto una volta: "Le istituzioni proteggono e consumano". · Sì, proteggono e consumano. Se una volta tanto non si pensa soltanto a gente come noi, che tenta, per così dire, di testa propria di stabilizzarsi nell'esistenza, bensì alle nume- .rosepersone ... Dio mio, sa, in realtà cerco una causa onorevole di cui ci si possa mettere al servizio. E ritengo che ciò sia etico. Sì. Ma questo ci impedisce di vedere se questa stessa realtà sia fatta in modo tale da poterla servire. Voglio dire che questa formulazione è tanto seducente quanto problematica. Certamente l'etica non è altro che il tentativo di assolvere gli obblighi che l'esperienza di questo mondo intricato impone a ciascuno. Ma questo dovere può ugualmente prendere la forma, che lei pare voglia qui evidenziare particolarmente, dell'adattamento e della sottomissione, come anche quella, che io invece evidenzierei particolarmente, secondo cui, proprio nel tentativo di prendere sul serio questo dovere, si cerchi di trasformare quello che impedisce a tutti gli uomini, all'interno di questi dati rapporti, una possibilità propria divita e quindi di realizzare quello che, potenzialmente, è insito in loro. Non ho ben capito. Come può sapere quale potenziale incontrollato si nasconda negli uomini? Be', non so in positivo che cosa sia questo potenziale, ma so, grazie a un gran nufI1ero di cognizioni parziali· - anche scientifiche - che i processi di adattamento, a cui proprio oggi gli uomini sono sottoposti in misura indesçrivibilè, sfociano - e credo che anche lei mi darà ragione - in una storpiatura dell'uomo. Prendiamo ad esempio un complesso ambito su cui lei ha riflettuto moltissimo, e cioè quello deld'intelligenza tecnica. Lei tende a dire - e Veblen ha anche già espresso la stessa tesi - che esiste qualcosa di simile a un "instinct of workmanship", cioè una sorta di istinto tecnologico-antropologico. Se sia davvero così o no, per me è difficile da dire. Ma so che oggi ci sono innumerevoli persone il cui rapporto con la tecnica, se posso esprimermi in modo così "clinico", è nevrotico, ciò significa che queste per- .. sone sono legate in modo concretistico alla tecnica, ad ogni possibile mezzo di dominio della vita perché gli scopi - la riuscita della propria esistenza e la soddisfazione dei propri bisogni vitali - sono loro ampiamente negati. E, vorrei dire, già solo l'osservazione psicologica di tutti gli innumerevoli uomini "guasti" con cui si ha a che fare - e il guasto è oggi, direi quasi, divenuto generalmente norma - autorizza a dire che le potenzialità degli uomini vengono atrofizzate e oppresse in misura ancora sconosciuta. È questo proprio su cui sono in disaccordo. Abbiamo entrambi all'incirca la stessa età ed entrambi abbiamo visto quattro forme di governo, tre rivoluzioni e due guerre mondiali. Sì. In questo tempo, nelle istituzioni moltissimo è stato annientato e distrutto. Ne è risultata una generale insicurezza interiore che io - in quanto soggettivistica - considero negativa. Intendo l'inqùietudine interiore. La çosa è oggi evidente in modo clamoroso, è di dominio pubblico. Di contro io ho un punto di vista terapeutico. Sono cioè favorevole a che (ora scelgoproprio questo termine) si conservi quello che sussiste delle istituzioni. Allora ognuno, al proprio posto, può veramente vedere di migliorare qualcosa, ma non si può iniziare con ciò. Se, ad esempio, i::i si vuol dare da fare per introdurre riforme universitarie, allora dapprima dovremmo prestar servizio in questo ambito un paio di decenni per rendersi conto di dove siano i punti deboli. Ma noi g?à lo facciamo da tempo sufficiente. Pure non si può dire che, al momento in cui uno riceve il "venia legendi", già sia in grado di fare programmi di riforma universitaria.E così è in tutti i campi:prima bisognaaddentrarsi in una cosa, sopportarne un bel po'. In ogni istituzione è presente parecchio di quello che lei chiama mancanza di libertà e asservimento. E così, dopo un certo tempo, si può vedere che si è fatto un passo avanti. Vede, si va alla ricercadi una causa onorevole di cui mettersi al servizio. La difficoltà consisteperò nel fatto che non si può semplicemente dire: è questa o quella. Questo sarei disposto anch'io ad ammetterlo. Soltanto penso che non siamo poi a questi punti per quanto riguarda l'insicurezza. È vero, lo si dice spesso. Lei è così contrario ai clichés e ai luoghi comuni insulsi. Io direi quindi: il mondo in cui, come si dice in Brecht, non vi sono punti d'appoggio non è anche quello un mito? In generale, a dire il vero, noto che gli uomini si muovono fin troppo esattamente sui binari loro in precedenza tracciati, che oppongono troppo poca resistenza e cli.e,di conseguenza, non sono poi così terribilmente insicuri nei confronti della realtà. Sentono una determinata paura del reale, che le potrei descrivere con precisione: è in connessione, in primo luogo, con la catastrofe latente di cui, pur inconsciamente, hanno sentore tutti gli 61
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