INCONTRI/ ADORNO che le parole (perfarlo) mancano, perché le nostre parole vengono dal passato. Non abbiamo mai le parole adatte. Lottiamo con la lingua e con concetti tradizionali per circoscrivere quello che ha fatto la sua comparsa'negli ultimi tempi e che non era mai esistito. Sarebbe d'accordo anche su questo? Sì, potrei esserlo. Ma possp ora venire al punto che ha costituito per me la motivazione centrale che ci ha spinti entrambi a incontrarsi qui nell'arena. Il passo cioè della sua sociologia - se poi mi è lecito dir così (quasi avrei detto: della sua filosofia, e credo di poter giustificare questo termine) - a proposito del concetto delle istituzioni, che occupa nella sua opera una posizione estremamente centrale. Credo che, proprio per il fatto che siamo già un po' avanti col tempo, siamo debitori ai nostri ascoltatori, perché possano alm.enò rifarsi del biglietto d'entrata nell'arena, di una sfida, finalmente, all'ultimo sangue. Vale a dire: è ora di litigare. - Siamo d'accordo sul fatto che oggi gli uomini siano dipendenti, e in misura, direi, che mai si era data, dalle istituzioni, ciò significa qui in primo luogo dall'estrema concentrazione economica e, in secondo luogo, dalle amministrazioni in senso ampio, che però in parte sono fuse con l'economia e in parte forgiate a sua immagine. - Ora io credo - e questo è quello che mi ha indotto alla formulazione specifica della questione (mi corregga, per favore, se la interpreto erroneamente): lei tende ad accettare per principio queste istituzioni come una necessità a motivo della condizione di mancanza dell'uomo o degli uomini, e a dire: senza questa potenza superiore delle istituzioni autonomizzate - o, come io direi, reificate ed estraniate - anche rispetto agli uomini non si potrebbe andare avanti. Lei solleva gli uomini da quel peso, il peso di tutte quelle cose che non possono più dominare, sotto a cui altrimenti crollerebbero. Lei impartisce agli uomini ogni genere di direttive. Ora, a ciò vorrei contrapporre quanto segue: da una parte è proprio questo pÒtere delle istituzioni sugli uom.ini ciò che, nel vecchio linguaggio della filosofia, si denominava "eteronomo" ... Esatto. ... (le istituzioni) si pongono quindi nei confrotiti degli uomini come un potere estraneo e minaccioso, come una sorta di fatalità da cui si possono a stento difendere. Lei è incline, se comprendo bene il suo pensiero - esistono alcune sue formulazioni, posso anche leggerne un paio - ad accettare pro0 prio questa sorta di fatalità come qualcosa di predestinato e, in ultima analisi, di riconducibile alla natura umana. Ma io direi che questa fatalità stessa si origina dal fatto che i rapporti umani e le relazioni tra gli uomini sono divenuti impenetrabili a se stessi e poiché essi~ appunto in quanto rapporti tra gli uomini - non sanno più nulla di sé, hanno assunto questo carattere di potere superiore nei confronti degli uomini. E proprio a quello che lei qui accetta come necessario, in parte con pessimismo, in parte però anche "con amore" [in italiano nel testo], bisognerebbe prima di tutto contrapporre l'analisi, l'analisi critica di queste istituzioni e poi la domanda se esse davvero ci fronteggiano in veste di cieco po60 tere e, secondo quel principio di cui ha parlato anche lei prima - che l'umanità, cioè, diviene au~onoma e maggiorenne - se non bisognerebbe mutare queste istituzioni e porre al loro· posto altre che - per usare il suo termine - "sollevino" di meno gli uomini di quanto non facciano le istituzioni odierne, ma, in compenso, non li gravino di quello spaventoso e oppressivo peso che minaccia di seppellire ogni singo-. lo individuo e che nòn permette più in alcun modo la formazione di un soggetto libero. Credo che sia proprio questo il nostro problema. Orbene, quando domando: "La sociologia è un'antropologia?" intendo porre brevemente la questione se le istituzioni siano davvero una necessità della natura umana o se siano il frutto di uno sviluppo storico, le cui cause siano trasparenti e che, eventualmente, si lasci anche mutare. Questa è in realtà la semplicissima questione su cui io mi sarei volentieri azzuffato con lei. Sì, signor Adorno, a questo punto posso rispondere soltanto con una argomentazione un po' più ampia. Prima di tutto l'impressione che diritto, matrimonio, famiglia, economia siano entità che hanno a chef are intrinsecamente con l'uomo. Queste "istituzioni hanno, nel tempo e nello spazip, aspetti diversissimi. Pure è possibile sussumerli sotto concetti quali ''famiglia" e "diritto", infatti, tra di loro, sussistono delle somiglianze. E ora a/ferino che sono caratteristiche essenziali dell'uomo. Ma a dire il vero la sua domanda non andava in. questo senso. D'altra parte non sarei neanche del tutto d'accordo con ciò. Io direi che le differenze, che queste istituzioni hanno mess.o a punto, sono di enorme e centrale importanza ... Ma certo. . . . e che l'insistere sulla loro invarianza è già un po' pericoloso. Bisogna anche aggiungere la proprietà, signor Adorno, non serve ... Di sicuro è anche sempre esistita. Anche in una società dell'abbondanza ci sarebbe qualcosa di simile, gli uomini altrimenti sarebbero inevitabilmente più poveri. Ma la proprietà non avrebbe più questo potere autonomizzato .... Può darsi. ... che fa sì che gli uomini, solo per poter avere una proprietà, per poter vivere, siano trasformati in agenti della proprietà. Signor Adorno, ammetto senza riserve che queste fondamentali istituzioni antropologiche, come famiglia, diritto, matrimonio, proprietà, economia, relazioni economiche,' ecc. offrano nella storia un 'immagine incredibilmente variae non posso non vedere che queste sostanze prima o poi si dissolveranno da sé. Si trasf armeranno ulteriormente. Pure dico che questa non è la domanda che lei ha posto ... No.
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