INCONTRI/ADORNO parare all'industria in quanto tecnica progressiva. Questo è il motivo per cui io insisto, in modo forse un po' pedante, proprio su questa differenza. Perché si tratta qui di qualcosa di serio. L'osservazione che lei ha enunciato ora è audace. Per me - lei sa che io mi ritengo un empirico - per me quello che lei ha detto è, in primo luogo, metafisica. Le pongo la controdomanda: crede che anche questo otre non sia così vecchio · da squarciarsi sotto la pressione dei fermenti di quello che ci aspetta? [Allusione al noto passo del Vangelo, Matteo, 2, XXII; N.d. T.] . · No, non credo. Non so se le possibilità [umane] non vengano oggi sepolte dalla violenza di quello che ci aspetta. Questa eventualità l'ammetterei senz'altro. Non credo di essere, a questo riguardo, più ottimista di lei. Pure vorrei dire: proprio questa idea di un mondo, in cui non si faccia opera di livellamento tramite lo.scambio, questa idea mi pare senz'altro qualcosa di attuabile, se ci si chiarisce: dapprima nella teoria - e noi siamo dei teorici e non possiamo, anche se siamo così prossimi all'empiria, fare a meno del pensiero - se ci si chiarisco- .no, da teorici, differenze del tipo che intercorrono tra un fenomeno relazionato solo alla tecnica come l'industrialismo e il principio di scambio. Un numero infinito di cose che in realtà si fondano come sempre nei rapporti sociali vengono infatti' attribuite o a pure forme, come ad esempio alla forma dell'amministrazione o a quello che io chiamo "velo tecnologico", cioè l'occultamento dei rapporti sociali tramite la tecnica. E io sono demodé a· sufficienza per credere che la critica della società conti assai più di una critica della tecnica in quanto tecnica. La tecnica in quanto tecnica non è né buona né cattiva; anzi, probabilmente è buona. E le cose che si addossano, si accollano, si "appioppano", potremmo dire, alla tecnicasono momenti che in realtà derivano dal fatto di venir praticati nella nostra società in un modo totalmente unilater-ale·. Eppure all'est abbiamo già çlellesocietà in cui l'acquisto e lo scambio non rivestono la stessa importanza come da noi. Crede che in Cina o in Russia si sia già notevolmente più progrediti nella individualizzazione e nella elevata qualificazione del singolò? Sollevare questa questione è naturalmente una beffa. È ovvio che non è così. Non volevo farmi beffe di nessuno. No; no e io non voglio - per carità - difendere gli orrori spaventosi che si perpetrano notoriamente laggiù. Ma direi che proprio il fatto che il livellamento prosegua in quei paesi è la prova che quella sOcietà si fa beffe dell'idea di una società realmente liberata, secondo la propria sostanza. Vede, non vorrei trovarmi nella situazione, in quanto, di7 _ ._ ciamo, empirista convinto, di metterla in difficoltà, di colpirla, per così dire, dal basso con dei fatti, dal momento che lej è nella fortunata condizione di possedere uno slancio di alta 58 utopia. Lo dico senza la minima intenzione sp__regiativoaanche soltanto dubitativa, anzi, semmai, persino in un certo senso con invidia. Ma a questo punto resto, senza speranze, indietro nella nostra conversazione. Non so se sia io invece quello che è rimasto ancora più indietro, perché cose come quelle che vado annunciando sono straordinariamente contro lo spirito dei tempi. Su questo si può tirare ai dadi. Sì, su questo possiamo tirare•ai dadi. Dunque, chi oggi si rifà ai fatti, ai nudi fatti, provoca shock, così come lo provoca la nudità. È anche rischioso. Forse oggi è già rischioso dire come stanno-le cose, suona subito provocatorio o cinico. È una difficoltà con cui devo sempre combattere. Ma la sua tesi, se noi abolissimo il denaro o se mutassimo i rapporti di produzione in previsione di una piena uguaglianza, non posso ... Se aboliamo questo, aboliamo l'essenziale. Non importa una totale uguaglianza, quanto il fatto che venga prodotto secondo i bisogni degli uomini. Allora, in una organizzazione sociale mutata, non accadrebbe più che i bisogni vengano innanzitutto prodotti dagli apparati. Ah, capisco. È proprio il fatto che i bisogni sono provocati dagli apparati che produce tutti quegli spaventosi sintomi del mondo amministrato, sulla cui fenomenologia sia io che lei nella nostra lunga vita abbiamo scrìtto qualche rigo. È questo che chiamo slancio di alta utopia che io, signor Adorno, voglio assolutamente rispettare. Ma, mi dica un po': argomentando in questo modo lei sta rendendo omaggio al1'assoluta novità dei nostri tempi? oppure sta alzando lamenti su un "ferro vecchio"? Sì, all'assoluta novità dei nostri tempi. Direi quasi che - se lei non se l'ha a male se adesso parlo nuovamente in modo metafisico, molto metafisico - che la quantità di questi fenomeni, cioè di quelli della razionalizzazione borghese- ' industriale - inizia a convertirsi in una nuova qualità. Questo glielo concedo. Ma, d'altra parte, devo dire che tutto ciò è anche - se posso esprimermi in modo sfrontato - un "ferro vecchio". Da quando esiste qualcosa di simile a una società borghese, che lei legga Bacone o persino Cartesio, ciò vi è sempre stato insito e solo oggi conosce uno sviluppo di eccezionali proporzioni in quanto la minaccia di questo principio, cioè in definitiva l'assorbimento del soggetto ad opera della razionalità tecnica non tenuta a freno, si configura come una possibilità del tutto immediata. Ciò è sempre stato insito nella struttura complessiva della società dello scambio. A tal riguardo io sarei quindi, proprio nei confronti della tesi dell'assoluta novità di quello che oggi viviamo, uri po' più scettico di quanto non sia lei e direi che, a leggere un autore come, ad esempio, Comte, questi elementi già si ritrovano tutti. Esatto. Signor Adorno è bello ritrovarsi di nuovo d'ac-
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