Linea d'ombra - anno VI - n. 33 - dicembre 1988

prio a causa del tempo, perdono colpi. Per quanto concerne l'uomo mi viene in mente che X., il nostro collega X., ha detto nel suo libro sulla tecnica che oggi c'è un "mito uomo" e che questo mito è una secrezione naturale delprogresso tecnico. Sì. Un concetto molto simile, soltanto in modo più cattivo, l'ho formulato anch'io in Gergo dell'autenticità. In modo molto più cattivo, poiché ho sostenuto che oggi l'uomo è l'ideologia al servizio della disumanità. Cosa che, a senso, non è poi tanto diversa, soltanto, per l'appunto, più cattiva. Esattamente. E da questo, in realtà~vogliamo prendere le distanze. Dal "mito uomo", da quel riverente spalancare o sbatter d'occhi che si manifesta al soro dire: "Tutto dipende dall'uomo"; da questo vogliamo prendere le distanze. - Precisamente. Si tratterebbe quindi delfatto che la scienza introduce, per così dire, ragione, conoscenza e ragione - f orse anche esperienza - nel nostro senso di responsabilità nei confronti dell'uomo, a condizione che ne possediamo uno. Sì, ma credo che in quest'occasione dovremmo tentare, una buona volta, di precisare un po' il concetto di uomo rispetto alla sua accezione ingenua. Sono assolutamente del suo parere sul fatto che si debba essere infinitamente prudenti nel non usare questo concetto di uomo in modo irresponsabile e vago. E a questo punto vorrei dire: prima di tutto l'uomo è un essere storico, e cioè un essere che è formato da condizioni storiche e da rapporti storici, in misura infinitamente più ampia di quanto ammetta l'accezione ingenua che, per così dire, si accontenta del fatto che gli uomini per pe~ riodi di tempo molto lunghi non siano mutati poi tanto, a giudicare dalle loro caratteristiche fisiologiche. Su questo sono d'accordo, signor Adorno. A ossèrvarè gli uomini si ha la sensazione che la storia non passi mai. Sì. Ma in realtà, per l'appunto, l'uomo, fin nel più intimo della sua psiche è formato dalla storia, vale a dire, essenzialmente, dalla società. Appunto. E questa non passa mai, per così dire. E io credo che questa sia la base: il presupposto della natura storica dell'uomo fin nelle categorie più intime, .che è il presupposto di quello che vogliamo discutere. Ora già ci avviciniamo al punto. Ammetta pure che sia la cultura sia la storia - e perciò anche l'uomo - sono, per così dire, aperti in direzione del futuro. Sì. Dire che cosa sia l'uomo è assolutamente impossibile, penso. Se i biologi hanno ragione nell'affermare che la caratteristica dell'uomo sta proprio nel fatto che questi è aperto e non definito da una determinata cerchia di oggetti d'azione, da questo essere aperto consegue anche che noi non possiamo in alcun modo ancora prevedere quello che ne sarà di lui. E ciò in tutti i sensi, anche in senso negativo. INCONTRI/ ADORNO Vorrei ricordare la frase di Valéry, secondo cui la disumanità ha ancora un grande futuro. · Sì, anche questo aspetto fa parte del problema.· Ora, dopo esserci trovati d'accordo su questo punto, sarebbe d'accordo anche su una tesi, di cui io mi faccio molto volentieri portatore, cioè quella secondo cui con la cultura indusÌriale - questo è, naturalmente, un concetto allargato, comprendente molti fatti - è comparso, diciamo un nuovo dispiegamento di possibilità umane, come prima non si era mai visto? Sul fatto che nella cultura,.che lei ora chiama cultura industriale, sia accaduto qualcosa che in questa modalità non si era ancora dato e che lei - in modo molto simile, del resto, a quanto farei io - definisce essenzialmente con il concetto di dominio della natura e di connessione tra tecnica e scienza, su tutto ciò sarei d'accordo cori lei. Ma forse mi è qui concesso fare un'osservazi_one che suona pesant'e ma che può essere non insignificante per la nostra discussione. lo, da parte mia, non farei uso dell'espressione, oggi così amata, di "società 'industriale". Che cosa direbbe allora'! È quello che vedremo. Dapprima vorrei dire soltanto: in questo concetto si intrecciano due mòmenti che - quantunque abbiano molte cose in comune - non si possono mettere semplicemente sullo stesso piano. Vale a dire: lo sviluppo della tecnica e lo sviluppo delle forze produttive umane che si sono oggettivate nella tecnica. La tecnica è certamente, come si è detto, un prolungamento del braccio umano. Ma nella società industriale è racchiuso anche il momento dei rapporti sociali di produzione, quindi, in tutto i1 mondo occidentale abbiamo a che fare con rapporti di scambio, e nei paesi dell'est, in questo caso ... Sì, ma, signor Adorno, si intende anche questo quando si dice società industriale. Sì, ma se non si separano questi momenti - e mi sia lecito per chiarezza ripetere quali: forze produttive e rapporti di produzione -·si va facilmente incontro al pericolo, come è già accaduto a Max Weber di cui lei ha parfato prima, di predicare cose di un'entità relativamente astratta, come può essere la "razionalità tecnica", e addebitare ad esse quello che in realtà non dipende tanto dalla ratio stessa quanto dalla particolare costellazione. Esse dominano tra questa ratio e una cosiddetta società di scambio. Signor Adorno, lei insiste adesso su u'napiù precisa definizione del concetto di società industriale, ma non vogliamo perdere di vista il fatto che in questa si sono prodotti fenomeni umani di nuovo genere. Su questo punto sono completamente d'accordo. Esploro volentieri il terreno dove ci troviamo d'accordo e dove no. Cosìpossiamo poi discutere su altre cose. Ora vorrei dire solo quanto segue: con i mezzi della società mass

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