Linea d'ombra - anno VI - n. 33 - dicembre 1988

POESIA/HUGHES in memoria di Jack Orchard Crepuscolo d'inverno. Dando da mangiare al bestiame all'aperto Il vento è dentro la collina. Il bosco è una lotta - un bosco che si apre un varco in un bosco. Appena tenuto a bada un terrore - ogni raffica è una breccia nelle mura del cielo e sembra stavolta che il mare intero dell'aria vi si rovescerà, il tuono l'espugnerà, ciò che ha radici sarà estirpato, ciò che è libero sarà sollevato in aria e spazzato via. E le vacche - oscure zolle di crepuscolo - stanno in attesa, come chiodi su un tetto di latta. Attendono il momento cruciale, reggendo la tensione nel fremito della loro fissità. Come se i loro zoccoli tenessero insieme il campo, legass.ero la collina alla sua forma tremante. La densità notturna si tinge di viola nel tumulto e rende più allarmante ogni cosa. Minuscoli non identificabili uccelli schizzano via come frecce fantasma. Contendendosi il fieno dalle mie mani le vacche si urtano, cozzano come scafi che rotti gli ormeggi si ammucchino alla banchina. Il vento è penetrato nel loro pellame invernale, nelle loro selvagge lanuginose paratie, nei loro respiri violenti e gioiosi, nell'indomita forza dei loro colli. Cosa gli importa, i loro zoccol_i sono affondati riella porosità della terra - schegge luminose di fieno sfuggono ai loro morsi, una perdita che brucia, sciupìo lungo l'onda del vento, spazzato via oltre il ciglio vicino dove il mondo diventa acqua e tuona come di notte un fiume in piena. Felici grugniscono, quasi dissolte sul loro ripido vertiginoso limitare. Incespico tornando verso i fari. Portando al coperto le nuove coppie Vento gelido dall'Europa. Freddo pungente di una brutta neve. Pecore abbrustolite di neve. Agnelli ancora caldi e bagnati dal parto tremano e piangono sul campo pesticciato sotto la siepe. Venti miglia di aperta pianura· sospingono il vento su quel loro umidore. Fuma il campo e si torce, bruciando tra vapori di neve come un palude. Gli agnelli si rannicchiano comodi mentre la madre li riassetta col muso, e a piccoli morsi. 36 Un vento anestetizzante soffia sui brandelli sanguigni del suo posteriore squarciato. La brughiera è una grigia marina. Il bosco fitto dalle dita spesse è una muraglia candida intarsiata. Antichi ruggiti di mare, belati di pecore, lamenti di agnelli. Il tordo aguzza invisibile. Un terrore esala tra gli alberi, le siepi si bloccano. Le pecore si alzano pesanti di ghiaccio, calpestando le loro apprensioni per seguire gli agnelli alti sulle gambe divaricate come cavalletti tesi a piangere smarriti. Persuadiamo le madri a seguirli, e lo fanno, ma improvvisi convinti timori le rilanciano indietro fino al luogo ove l'agnello era nato. Temono di essere state tratte lontane dall'inganno dell'uomo, astuto sciacallo. Poi tornano senza difese al belato su cui sono accordate. Ognuna riconosce il suo nato - dettaglio familiare nell'insignificante groviglio di braccia gambe e vestiti umani - il suo agnello sulla terra bianca tenuto da quelle mani. E di nuovo svanire, sollevato. Poi solo un pianto senza corpo che si allontana con gli uomini, e correre.come in un cerchio al guinzaglio di quel pianto. Il vento schiaccia lo spazio contro l'erba e spaventa gli scriccioli nei rovi con sibilanti frammenti di stelle. Corvi Mentre passavamo il cancello per andare a vedere i pochi agnelli già nati, sull'orizzonte liscio del prato un corvo si avvoltolò in aria da mezzo il campo e scivolò via basso e colpevole, sotto cupi bagliori. Le pecore brucano, ruminando in ginocchio l'erba più resistente. E guardano fisse - una pausa pensierosa per le mascelle. Riprendono a masticare poi ancora una pausa. Laggiù un agnello si tira su in piedi la prima volta, e sbatte contro il muso della madre che a piccoli morsi gli lecca il mantello di zucchero. Sdruciti gli stendardi del suo trionfo le penzolano e dondolano dietro. Starnuta e un getto d'acqua ne spruzza via veloce. Una volta, poi ancora, finché non è vuota.

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