Linea d'ombra - anno VI - n. 33 - dicembre 1988

IL CONTESTO CONFRONTI e Cani e padroni, borghesi e proletari: una love-story inglese ironica e crudele Paolo Bertinetti "Ackerley, J(oseph) R(andolph) (1896-1967), scrittore e, per molti anni (1935-1959), redattore letterario della rivista 'The Listener'; alla quale fece collaborare illustri scrittori quali E.M. Forster e lsherwood''. Così esordisce la voce dell'Oxford Companion dedicata ad Ackerley, l'autore del delicato piccolo romanzo recentemente pubblicato da Serra e Riva, Il più gran bene del mondo (traduzione di Tommaso Jandelli e Esa de Simone, pp. 163, Lire 20.000). Ed è giusto che venga sottolineata la sua lunga e intelligente attività redazionale in una rivista che poté rinnovare e ribadire il suo "storico" prestigio soprattutto grazie alle collaborazioni che Ackerley seppe procurarle. Al di là delle affinità di gusto letterario, è verosimile che la "militanza" nelle file del 'Listener' di Forster e lsherwood sia passata attraverso quella solidarietà tra intellettuali omosessuali che nell'Inghilterra tra le due guerre ha dato frutti squisiti e spesso sorprendenti (come insegna la storia dello spionag- . gio a favore dell'Unione Sovietica). Ackerley era omosessuale e la sua diversità, caso allora tutt'altro che frequente, la dichiarava indirettamente attraverso la creazione letteraria, più velatamente nel suo primo libro, Festa indù (anch'esso uscito presso Serra e Riva}, basato sulla sua esperienza di segretario privato . di un maragià, più apertamente in questo Il più gran bene del mondo, in modo del tutto esplicito nell'autobiografico Mio padre e io (Adelphi, 1981). Come lo stesso Ackerley scrive nell'appendice di quest'ultimo libro, che ebbe una gestazione lunghissima, trentennale, e che uscì postumo nel 1968, Mio padre e io non è un'autobiografia, bensì un'indagine sui rapporti tra lui e suo padre e sulla doppia vita che il suo distante e pur caro genitore aveva magistralmente condotto. Il libro, gradevolissimo, certamente la sua cosa migliore, è attraversato da una griglia di sofisticata ironia che sostiene con garbo e delicatezza lo straordinario materiale umano e sociale che emerge dalla ricostruzione della vita del padre _:_dalla gioventù misteriosa e mai del tutto aècerfata alla documentata maturità di bigamo - e dalla rivisitazione della sua formazione e delle sue scelte. Dietro la facciata della rispettabilità borghese e del perbe.nismo appare un mondo insospettabile, se non altro per ampiezza, fatto di inevitabile clandestinità, di sofferte relazioni e di fugaci legami, di inquietudini profonde. Ma senza toni drammatici, bensì con un imposto, sereno distacco da gentiluomo inglese che riesce a sorridere delle proprie e delle altrui debolezze s~nza per questo nasconderle 24 J.R. Ackerley (Arch. Serra e Riva). o sottqvalutarle. Autobiografia o no (e comunque loscavo nel rapporto tra lui e il padre sfuma inevitabilmente nella riflessione sulla sua personale esperienza), Mio padre e io rivela diffusamente il materiale autobiografico su cui è basato Il più gran bene del mondo, a partire dal fatto che il libro era dedicato a Tulip, la femmina di pastore tedesco con cui Ackerley visse per moltissimi anni, e che gli offrì "una dedizione costante, sincera, incorruttibile", insediandosi nel suo cuore e nella sua casa e liberandolo quasi completamente dalle sue ossessioni sessuali. Il più gran bene del mondo racconta la storia di Frank, un distinto e colto borghese di mezza età, innamorato di Johnny, un giovane proletario sposato e con figli, in galera per furto, e delle vicissitudini del primo per avere.il permesso di incontrare il-secondo; e soprattutto di incontrare la di lui cagna Evie. Tra uoino e cane sboccia un amore irresistibile, prepotente, pieno di passione e di gelosia. Quando Johnny uscirà di galera Frank vivrà il periodo più felice della sua vita, ricavando il meglio che poteva da entrambe le situazioni: "ebbi il cane di Johnny e a volte Johnny stesso". Si noti che il cane viene prima; e non dovrà quindi stupire la tranquilla rassegnazione con cui Frank accetterà la fine della relazione con Johnny, sostituita dalla ormai esclusiva passione della splendida Evie. Due sono in partic'olare i pregi del libro. Innanzitutto il tono delicato con cui viene descritto l'amore di Frank per Johnny, in quella sua particolare situazione di "intruso" nella famiglia del giovane. Il sentimento di Frank, più ancora che dal desiderio struggente di vedere l'amico, viene definito dalla trama di rapROrti che è costretto ad avere con i parenti di Johnny. Qui Ackerley è abilissimo nel mantenere l'equilibrio tra il garbato distacco ironico che è il segno della suà scrittura e la partecipazione con cui ci comunica gli affanni, gli scoramenti e le ire del-suo perso~ naggio, in un misto di gelosia, rancore, ·ribellione, sforzo di accettazione e senso della propria superiorità morale nei confronti del gruppetto dei familiari di Johnny. Ma anche disprezzo per la loro mediocrità, per il loro opportunismo. È un sentimento giustificato, · che però si colora di un inconfondibile segno di classe ancor più evidente nell'intraducibile salto linguistico tra Frank e gli altri nell' originale inglese. In realtà la contrapposizione non è tra onestà e opportunismo, bensì tra due moralità, o amoralità, diverse. Ma su questo Ackerley glissa. L'altro grande pregio del libro sta nella descrizione dell'innamoramento tra Frank e Evie, immediato per il cane, graduale ma poi altrettanto intenso per Frank, almeno a partire dal momento in cui capisce che quella bestia in pratica "gli offriva tutta se stessa". Anche qui il racconto è pervaso dalla controllata ironia di Ackerley, a partire dalla scelta linguistica, che rigorosamente ricorre al vocabolario amoroso riservato agli umani. Ma la suprema ironia sta nel sorridere allusivamente del ménage tra uomo e cane, che Frank considera più completo e soddisfacente di quello avuto con qualsiasi essere umano, per poi nascondere dietro il sorriso la convinzione che Frank abbia perfettamente ragione. CONFRONTI Saramago e la musica di un rito smarrito Alessandro Baricco Feltrinelli ha pubblicato l'ultimo romanzo di José Saramago, La zattera di pietra. Saramago è portoghese, forse il più grande degli scrittori portoghesi di oggi: in Italia ha avuto un buon successo Memoriale del convento, probabilmen'te il suo capolavoro, Feltrinelli anche quello. Ricordo che vi compare Scarlatti - Domenico, quello del clavicembalo - in una particina secondaria ma bella: e poi l'ombra dell'Inquisizione, stregonerie varie, una storia d'amore, processioni, cattedrali, re e regine, condottieri, vita e morte: quel che si dice un vero romanzo storico, insomma, con tutte le baroccherie del caso, e gli stucchi, e gli orpelli, e l'odor di incenso. Ci si stava dentro un po' soffocati dal gran ribollio di icone e riflessi: ma uno spettacolo lo era, non si può negare. Tanto più che su tutto governava quella musica ipnotica che è la musica della sua prosa, sua di

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