Linea d'ombra - anno VI - n. 33 - dicembre 1988

IL CONTISTO Allora, anche mettendo da parte i liveÌli più intimi di un gruppo fondante e dirigente, che poi si àutocriticherà per aver avuto una "concezione patrimoniale dell'organizzazione" (e dunque a parte le scontate ma non perdo"nate degenerazioni del potere e del sapere), la lettura della "Storia" fa scoprire alla gran parte degli ex-militanti, in mezzo a ovvie conferme, un ulteriore e imprevisto senso di estraneità. Una "Storia" troppo operaia e troppo determinata dalle discussioni sull'autonomia della classe, non corrisponde certo allo stereotipo di LC, ma è anche distante dall'immagine e dall'esperienza dei molti suoi minori e temporanei protagonisti. Mentre compensa e riorganizza le informazioni di ciascuno, evita di stimolare, forse volutamente, il riconoscimento della identità collettiva e, proprio perché storia, sottovaluta la vasta geografia delle-differenze su cui LC prosperava. Le differenze fra centri e periferie, fra periferie importanti e aree di provincia appena complementari, le differenze fra l'aùtorità prestigiosa dei dirigenti nazionali e la sostanziale autonomia delle sedi e dei singoli compagni, le differenze fra i tempi e i modi in cui si esercitava la libertà pressoché assoluta di tradurre Lotta Continua nellecaratteristiche del proprio contesto e nei limiti delle proprie energie, e infine, più importanti di tutte, le diversità generazionali che nel tempo si andavano accumulando, cioè le differenze di motivazioni ed esperienze, le differenze 'di "storia". Considerando la discontinuità prodotta da queste differenze va riaffrontato per esempio il tema fisso, certo gravissimo eppure diventato troppo invadente, della violenza. - · La ristampa di un libro come quello di Bobbio, scritto dieci anni fa, compie il miracolo di riportare questo tema nelle dimensioni - pure importanti e allarmanti - di allora; prima dell'isolamento e dell'amplificazione che ha fatto del terrorismo la cifra pressoché unica di lettura di un movimento. Anche per questo il libro .è stato fin qui ignorato o considerato scomodo. Almeno fino alla recentissima raccolta di biografie di giovani terroristi dissociati, curata da Nicola· Tranfaglia, che ha condotto un seminario nel carcere di Torin9 (D. Novelli, N. Tranfaglia, Vite sospese. Le generazioni del terrorismo, Garzanti, 1988) che è l'unico saggio ad adoperare i dati e le riflessioni della Storia ·di L9tta Continua per una maggiore comprensione e una migliore collocazione del fenomeno. Ma se Tranfaglia si è potuto avvalere del testo di Bobbio, le testimonianze dei giovani partecipanti alla lotta armata non portano un contributo altrettanto valido alla ricostruzione della storia politica dell'organizzazione. Certo le loro storie si situano, non a caso, m;l: momento del cambiamento di linea e dell'abbandono dell'estremismo, ma le loro discontinuità si misurano nella diversa inculturazione politica di una nuova e trascurata generazione. Il servizio (\'ordine - in nove casi su dieci - non è che una delle tante periferie della militanza. · Citando per davvero a caso, la dichiarazione di uno di loro che entra a far parte del movimento studentesco di un liceo e diventa di LC, si registra la misura di tale distanza: "Lì dentro si respirava un'aria vagamente di sinistra ... perché i militanti di Lotta Continua, spinti ancora dalla carica innovativa del '68 - che tutto sommato, per me resterà sempre abbastanza oscura - erano ricchi di iniziative, proposte e at- . tivissimi negli scontri ideologici come in quelli fisici". Nei confronti di _questadistanza - e di questa scelta - il libro di Bobbio testimonia indirettamente che la storia di Lotta Continua e i suoi effettivi protagonisti e dirigenti, nori pos~ono essere giudicati nei'senso di una paternità politica irresponsabile, ma gli va semmai imputato un paternalismo irriflesso e sottovalutato, che aggrava il senso di una responsabilità umana, da suddividere largamente con gli altri 18 e cor gli avversari politici. E comunque non per questo meno pesante. Per contro, e in modo esplicito, il libro di Bobbio ripercorre della violenza di Lotta Continua tutte le tappe: non nasconde né la necessità della sua scoperta, _néle problematiche insolute e gravi che la accompagnano. Epperò le sue valutazioni sono ancora una volta senza giudizi; ma non per assenza di emotività o per asetticismo storiografico, piuttosto per il coraggio e l'orgoglio di scrivere la Storia di Lotta Continua guardandola onestamente in faccia. Questo libro forse sarà ancora un "discreto insuccesso", ma non per la delusione di chi cercherà un più stretto e attualizzato rapporto con il "caso Sofri" e con il problema della violenza, ma per chi cercherà invano lì dentro un'altra storia. Quella di Lotta Continua come "stato d'animo", quella dei propri momenti e dei propri riconoscimenti, forse anche quella dei più turistici ma nobilitanti souvenir,·e perfino la storia degli stereotipi e del folklore di cui LC è sempre stata accusata. Alla _ricercadi grandi fotografie e di piccola oralità, questa sto~ ria tutta "scritta" scontenterà ancora una volta le attese: dieci anni fa, commenta Bobbio, era la voglia di rimozione e la scoperta di altre dimensioni che scoraggiava a priori i lettori. Adesso il rischio è che, a posteriori, si accuserà il peccato di una mancata gratifica, ci si accorgerà - ai livelli dei collezionisti e dei sistematizzatori della storia .:._dell'inadeguatezza del libro a fronte delle pretese di scientificità degli archivi, come davanti ai comandamenti"di una veloce e definitiva archiviazione.-Ma speriamo, come Bobbio, ancora una volta, di essere dei èattivi profeti. INMARGINE Tormentid'oggi Grazia Cherchi 1. Ho più volte citato in pàssato una frase_ di Peter Noli (contenuta nel suo bellissimo diario Sul morire e la morte, Mondadori): "Perché a nessuna società ferroviaria è mai venuto in mente di istituire scompartimenti per taciturni o per lettori?" (Vi si starebbe tra similicòmplici, e l'unica domanda ammessa, aggiungo io, sarebbe quella, irrefrenabile e reciproca sul titolo del libro a cui ognuno è intento: poi silenzio per tutto il viaggio). Ma un altro provvedimento mi sembra altrettanto urgente: salette in trattorieristoranti per clienti-conversatori. Ormai quando vado a pranzo fuori - e· ci vado per conversare con persone che spesso, come me, non hanno altro momento libero da dedicare alla bisogna - la scelta del locale non si basa più sulla qualità del cibo, ma sulla maggior o minor quantità di rumore. Il quale rumore non è umano, ma, diciamo così, musicale. E la musica non è sullo sfondo, ma dominante. Il che succede ormai quasi ovuqque ("molto rumore per tutto"): nei grandi magazzini, dal dentista, dal parrucchiere, sui taxi come sui pullman (se a lungo percorso). Il merito va alla generazione post-televisiva e post-parola che avanza tra noi sorda e assordante, e che si espri" me, diciamo così, a strappi, a frasi monche: quasi mai il soggetto se si fa lo sforzo di ululare il verbo, mai l'aggettivo se si grida d'un botto il complemento oggetto, e spesso niente di niente, ma solo il multisignificante, onnipresente·"cazzo". Né sono qa meno delle nuove generazioni gli "emergenti" (o "scemergenti" per dirla coo Benni) a loro volta dotati di un vocabolario ridottissimo, sulle duecento parole (per il resto si esprimono in cifre dato che parlano solo di soldi). Chiunque di noi ha avuto un amico intellettuale che un giorno ci ha detto: "Se rinasco, apro un ristorante''. Ma è in questa vita che ce ne sarebbe bisogno: vedo benis-

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