IL CONTESTO Il debito estero, . un punto di forza per_l'America latina · Joaquin Sokolowicz Come i paesi latino-americani traggono forza dalla loro debolezza. "Las cosas se estdn poniendo buenitas, de lo mal qué se estdn poniendo", dicono i contadini delle Ande peruviane. "Le cose si stanno mettendo così male da diventare carine". La frase è stata ricordata più di una volta nelle molte riunioni dedicate in questi ultimi anni dai governi latinoamericani al debito estero, sempre crescente, dei loro paesi. Questa versione india del nostro "tanto-peggio-tanto-meglio", tuttavia, non significava nel caso la previsione di un salto per aria dell'intero sistema finanziario internazionale perché tutti i debitori insieme potrebbero decidere di non versare più un quattrino alle banche creditrici (a queste riunioni non partecipa la Cuba di Fide! Castro, che propone appunto tale drastica decisione). Meno radicale, il senso è duplice: i creditori si scontreranno prima o poi con i risultati c:ontroproducenti del sistema che essi hanno imposto e, frattanto, i debitori sono sospinti dai guai comuni a unire sempre di più le loro forze. Il debito dei paesi latinoamericani verso l'estero ha complessivamente raggiunto, oggi, quasi 420 miliardi di dollari. Venti miliardi più dell'anno scorso, sessanta in più rispetto a due anni fa. La cìfra continuerà a salire se non si modificano i meccanismi che regolano i rapporti finanziari internazionali per volontà delle maggiori potenze dell'economia ''occidentale''. Anche i governi che pagano regolarmente, dopo avere accettato le condizioni poste dal Fondo Monetario Internazionale per dare loro nuovi prestiti, non riescono a tenere il passo; a malapena ce la fanno a versare soltanto gli interessi sui capitali ricevuti in passato e, così, si ritrovano con debiti sempre più alti anziché ridotti. Perfino il Vaticano ammoniva in un documento del 1987 che "questa situazione intollerabile" sarebbe prima o poi diventata "disastrosa per i creditori stessi"; e forse solo allora qualche benpensante critico degli "accattoni che hanno preso soldi e non vogliono restituirli" avrà capito che le cose erano meno semplici di come credeva. Ora è ormai chiaro anche alle potenze che gestiscono gli organismi della finanza e controllano il commercio, in campo internazionale, che è assolutamente impossibile pagare i debiti secondo le norme in vigore. Questa consapevolezza è venuta fuori nel più recente "vertice" dei sette paesi più industrializzati del mondo capitalistico, l'estate scorsa a Toronto; s'è tradotta in alcune offerte di agevolazioni fatte ai paesi debitori in occasione dell'assemblea annu~le del Fondo Monetario, tre mesi fa a Berlino; è stata espressa poco dopo, per vie ufficiose e in messaggi ufficiali, ai sette presidenti latinoamericani riuniti a Punta del Este, in Uruguay. La consapevolezza stessa dovrebbe generare prùvvedimenti favorevoli ai paesi sottosviluppati a fini di commercio internazionale, durante la sessione dei negoziati del GATT (Ge- . nera! Agreement on Tariffs and Trade) in corso a Montreal, Canada, mentre esce questo numero di "Linea d'ombra". Tale era, almeno, la previsione della vigilia. Non che i padroni del sistema finanziario e commerciale siano stati assaliti da sensi di colpa per avere applicato politiche che costringono la maggioranza delle nazioni del pianeta a restare in condizioni di subalternità - a parte qualche governo sospinto a gesti solidali dalla propria estrazione ideologica-; è che la macchina da essi messa in moto cammina sempre più a rilento e rischia di bloccarsi. Ha detto a Punta del Este il presidente peruviano, Alan Garda: "Le potenze sono adesso alle prese con le contraddizioni degli stessi metodi che ci hanno imposto: impedendo la crescita dei nostri paesi, si ritrovano con meno mercati per le loro tecnologie". Come dire: il problema, è anche vostro e, quindi, preoccupatevi di risolverlo. Non poteva essere diversamente, del resto, in un'economia internazionale le cui situazioni sono interdipendenti. Nella città uruguaiana non c'erano oppositori al "modello occidentale" di democrazia, ma liberali, conservatori e socialdemocratici. Vittime incolpevoli, tutti, di un sistema di usura. Il debito estero, accumulato senza soluzione di continui- . tà, è divenuto il maggiore ostacolo alla ripresa economica dei paesi chiamati genericamente e per lo più eufemisticamente "in via di sviluppo". Negli anni Settanta furono dati prestiti ai governi, impegnati alcuni di questi in programmi di ·sviluppo basati sugli introiti ingenti dell'esportazione di materie prime allora ricercate nel mondo (è il caso del petrolio); altri, semplicemente corrotti. Riferendosi a questi ultimi, amici degli Stati Uniti - sia che fossero nati dalle urne oppure dittature militari - il direttore generale del FMI, Camdessus, ha ricordato durante la recente assemblea berlinese che spesso i soldi concessi per lo sviluppo "non facevano in tempo a essere recapitati al destinatario che si trovavano già versati in qualche conto personale di una banca svizzera". Il fatto è che i governi eletti, nel generale ripristino della normalità istituzionàle che ha investito l'America Latina con l'ingresso negli anni Ottanta, hanno ereditato quei debiti. Ai quali vengono applicati gli interessi "di mercato", cioè fluttuanti: dal 4 per cento d'uso in origine s'è arrivati a11'8-9per cento. Il debitore non sa mai quanto dovrà versare l'anno successivo e, quindi, i suoi programmi economici interni per lo stesso periodo sono subordinati all'esito delle trattative con il creditore, il quale ha in mano :- con la capacità di venire in aiuto dello strozzato interlocutore - il potere d'influenzare le sue politiche. Nel 1987 il Perù ha registrato una crescita spettacolare del prodotto nazionale lordo: più dell'8 per cento, un indice da fare invidia ai paesi più sviluppati. "Se non avessimo posto ai versamenti del debito estero un limite pari al 10 per cento delle entrate per le nostre esportazioni - ha detto il presidente Garda, un socialista - , tutti i sacrifici del popolo peruviano sarebbero stati vani''. Nel 1988, nonostante quel tetto, il Perù attraversa una grave crisi finanziaria: i paesi sottosviluppati operano sul mercato internazionale sempre in condizioni più deboli, oltre a essere finito da un pezzo il momento d'oro delle loro materie prime. I governi debitori avrebbero bisogno di vendere le loro merci con margini di guadagno sufficienti ad assicurare la ripresa produttiva dei loro paesi. Così potrebbero anche prevedere i pagamenti ai creditori. Nel commercio internazio13
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