Linea d'ombra - anno VI - n. 32 - novembre 1988

STORIE/SWln Il tempo guarisce ogni ferita. Presto quei gemiti sarebbero cessati. E così fu. O, piuttosto, si ridussero quasi al silenzio, solo per levarsi di nuovo in un crescendò di angoscia. Stringevo forte il mio talismano ticchettante proprio come gli ammalati e i morenti che, nell'ora del bisogno, si attaccano a ninnoli miserevoli. Non si pensi che gli urli di quella donna molestassero semplicemente la mia pace senza provocar~ in me, come in chi li lanciava, una sofferenza reale. Mi accorsi che scaturivano da una regione non governata dal tempo ed erano, per noi Krepski, dannosi e letali come, per un . pesce, l'aria fresca. Eravamo soli nell'edificio, io e quella donna che gemeva. Agli abitanti della casa e dell'intera via era stato intimato lo sfratto. Le notifiche erano già state consegnate. Le altre stanze erano ormai vuote. E già dalla mia finestra vedevo abbattere i muri e le nuvole di polvere nell'aria sollevate dai bulldozers. Presto anche casa Krepski sarebbe stata abbat- . tuta; come erano già state abbattute quelle che una volta erano state le case di sarti ebrei, di orefici olandesi, di pellicciai russi - un intero quartiere di artigiani immigrati che erano sbarcati sulla banchine di Londra portando con sé i fili del loro distante passato. Com'era possibile che tutta quella storia si riducesse ora, davanti ai miei occhi, a qualche cumulo di pietrisco spianato limitato da una recinzione di lamiera ondulata? Un altro grido straziante, come per il lacerarsi della carne stessa. Mi alzai in piedi: le mani strette alla fronte; mi sedetti; mi alzai di nuovo. Scesi le scale. Ma non allentai la presa sul!' Orologio. Era distesa su un materasso, coperta da un mucchio di lenzuola aggrovigliate; in una stanza ampia e piena di correnti d'aria che, una volta, doveva essere stata il salotto del bisnonno e che ora era, allo stesso tempo, soggiorno, cucina e stanza da letto. Era evidente che, più che in preda all'angoscia, era ammalata! Non era stata in grado di rispondere quando avevo bussato alla porta, che non era chiusa a chiave, e forse non lo era da settimane. Il sudore le imperlava il viso. Le bruciavano gli occhi. E quando le fui vicino, emise un rantolo affannoso di dolore e il suo corpo rabbrividì sotto il cumulo di lenzuola con cui suppongo si fosse rapidamente ricoperta sentendomi entrare. · La trama delle circostanze. Dalla dozzìna di parole che in poco più di un anno avevamo scambiato, sapevo che parlava malissimo l'inglese. Non era in grado di descrivere il suo stato; io non potevo far domande. Ma non c'era bisogno di nessuna lingua per capire che era necessario chiamare un medico; quando mi chinai su di lei, con la prudenza tipica di ogni Krepski che si chini sù di una donna, mi afferrò all'improvviso il braccio con furia non meno intensa di quella con cui la mia mano libera stringeva l'Orologio. Continuò a stringerlo e un tormento maggiore parve segnarle il volto, quando, pronunciando più volte la parola "dottore", le feci capire quel che intendevo fare. Mi colpì il fatto che, se fossi stato più giovane (avevo 63 anni, ma lei non sapeva di certo che nel mondo dei Krepski ero soltanto un ragazzo) la sua presa 76 sul mio braccio forse sarebbe stata meno decisa. Ciò nonostante, timore e fastidio le aggrottavano il viso. Nei suoi occhi comparve tanta vergogna quando le sf~ggì un altro incontrollabile lamento e il suo corpo si tese sotto le coperte. "Che cos'ha? Che cos'ha?" Sicuramente mi prenderete per un ignorante e uno sciocco per non aver riconosciuto prima i sintomi del parto. Perché proprio di questo si trattava. lo, un Krepski che custodiva la possibilità di una lunga vita e i cui antenati avevano vissuto tanto prima di lui, non riconoscevo gli inizi della vita e ignoravo che aspetto avesse una partoriente. Ma quando ciò fu chiaro, oltre al fatto compresi le implicazioni e le ragioni del terrore misto a preghiera di questa donna. Il bimbo era figlio di un fuggiasco. Papà era lontano, forse ignaro del frutto del suo amoreggiare, proprio come mio padre, Stefan, lontano sul Mare del Nord, ignaro di mia madre china sul mio lettino. Papà, forse non era papà per la legge; e come sapere se il papà o la mamma erano, per la legge, immigranti regolari. Questo forse spiegava quella stretta così salda della mano quando mi ero apprestato a ricercare l'aiuto di un esperto. Si aggiunga a tutto questo che ero un inglese, chino su una donna - la cui madre aveva forse indossato il velo in qualche villaggio presso il Gange - nel momento in cui viveva la più intima delle sofferenze femminili ... e capirete che la situazione era difficile. E io non potevo far altro che essere testimone - ostetrico - di questa nascita disperata. S entivo che il momento era prossimo. I suoi occhi nero- ·olivastri mi fissavano da sopra il groviglio delle lenzuola in cui, come obbedendo ad un qualche istinto atavico, cercava di nascondere la bocca. Presto sarebbe giunto il momento in cui avrebbe dovuto abbandonare ogni pudore - e io ogni schifiltosità - e l'avrei vista confrontare il suo straordinario candore con il fatto che ero il suo unico aiuto. Ma mentre ci fissavamo, accadde una_cosa strana. Nel• l'ovale del visino che mi mostrava solo in parte, mi sembrò di scorgere, come se i suoi fossero dotati di straodinarie lenti ultra-ottiche, le immense distese interne della sua Asia natia e gli innumerevoli volti color nocciola dei suoi antenati. In quello stesso istante, giungendo dalle distanti estremità della Polonia, in me si disponevano le schiere dei miei padri Krep- . ski. Che strano che le nostre vite dovessero incontrarsi in 'un luogo in cui nessuno dei due era nato. Che strano che questo dovesse proprio accadere. Che cosa strana e straordinaria che io.fossi nato Krepski e lei Matharu. Quale inverosimile concatenazrone di casi contribuisce ad ogni nascita. Devo aver sorriso al pensiero - o almeno assunto un'espressione che la contagiò. Perché il suo viso si addolcì - le sue iridi nere si intenerirono - per indurirsi, subito, di nuovo. Serrò gli occhi, emise un grido e con un gesto di sottomissione - come si era forse sottomessa a quel bruto del marito - spinse via le lenzuola dalla parte inferiore del corpo,--Oròsu le gambe e, afferrando con le mani la testata del letto, cominciò a spingere vigorosamente.

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