Linea d'ombra - anno VI - n. 32 - novembre 1988

conservano angoli e recessi tranquilli. La nostra villetta - una di due date in affitto da qualche ingordo speculatore del luogo come ritrovo per i fine settimana - si trovava alla periferia del paese e ai piedi di una di quelle alture caratteristiche e tipicamente femminili dei Downs indicate nelle mappe dell'Istituto Cartografico come Beacons. Malgrado il caldo appiccicoso, il giorno successivo al nostro arrivo, la proposi come meta di una passeggiata. Il posto era noto per il panorama che vi si godeva. Gettiamo uno sguardo al mondo, pensavo, da immortali. Il nonno era meno eccitato. La sua riluttanza non dipendeva dalle sue condizioni fisiche. La salita era ripida, ma, nonostante l'età, il nonno aveva la forza di un quarantenne. La sua contrarietà era determinata dal malcelato desiderio di boicottare e deridere questa mia proposta. Le prime ore successive al nostro arrivo, le aveva trascorse a ciabattare intorno al cottage, esaminando le travi di quercia, il "caminetto tradizionale", e "l'incantevole giardino", senza preoccuparsi di disfare i bagagli, con un'aria di acido disgusto, accasciandosi infine su una sedia, ingobbito come a stare sulla solita sedia di Highgate o sul suo sbagello di lavoro alla bottega. Una lunga vita dovrebbe provocare una propensione al cambiamento. Avviene invece il contrario (lo so bene). La longevità favorisce l'intransigenza, il conservatorismo. Spinge a ritornare ai modelli esemplari. L'afa non s'era attenuata. A metà della salita, madidi di sudore entrambi, rinunciammo a continuare: Nessuna brezza, neppure a quella relativa altezza, sfidava quella plumbea atmosfera, e la famosa veduta si perdeva, a nord verso la foresta del Kent, tra grigie cortine di foschia e ombre di dense nubi nere. Sedemmo sui ciuffi d'erba a riprendere fiato. Il nonno un po' scostato, dietro di me, in un silenzio di pietra. Un silenzio che aleggiava tra di noi come epitaffio sulle mie vane speranze: "Rinuncia a questo impossibile compito". E tuttavia, non il silenzio. Cioè, non il nostro silenzio, ma il silenzio che ci circondava. Un silenzio che divenne gradualmente palpabile, udibile, insistente, quando i nostri respiri si fecero più regolari. Sedevamo sull'erba calda, in ascolto, le orecchie ritte come conigli in allarme. Dimenticammo la nostra ascensione fallita. Da quando non sentivamo un simile silenzio, abituati al traffico pulsante di Goswell Road? E quale pieno e tumultuoso silenzio. Per la pressione umida dell'atmosfera, la terra schiudeva i suoi pori, e il silenzio era una mistura delle sue innumerevoli esalazioni. Le colline stesse - grandi rotondità femminili - fremevano, trasudavano. E cos'altro erano gli elementi di questo pesante silenzio - il furibondo apparire d'insetti, il sospirare dell'erba, il trillo delle allodole, i lontani belati di un gregge - se non il manifestarsi di quell~ turgida pregnanza? E cos'altro era quella pregnanza, che mentre stavamo lì a sedere premeva anche contro il nostro misero posteriore, se non la pregnanza del Tempo? Vecchio come le montagne, si dice. Il nonno sedeva imSTORIE/SWln mobile, evitandomi con lo sguardo. Per un attimo immaginai che il prato duro dall'odore di gesso lo ricoprisse, che gli spuntasse intorno fino a fare di lui niente più che un tumulo erboso. Sulle carte topografiche, c'erano, simili ad acne, segni di sepolture neolitiche e di terrapieni dell'età del ferro. ' . Silenzio. Il solo rumore, la sola intrusione dell'uomo nel silenzio che ci soverc;hiava era il ticchettio dell'Orologio del bisnonno. Il viso del nonno aveva un'aria !etra: umile, orgogliosa, colpevole, contrita - disperata. Sospinta da nubi minacciose, la notte scese rapidamente. E insieme ad essa, le condizioni ideali - abbassamento della temperatura e scontro di correnti d'aria - per libera.rel'esplosione che era stata trattenuta. Con l'accumularsi dell'elettricità, aumentava anche l'inquietudine del nonno. Cominciò a camminare intorno al cottage, il volto contra(- to, lanciandomi occhiate buie e minacciose. Per due volte estrasse l'Orologio e lo guardò come sul punto di prendere una terribile decisione; poi, con espressione sofferta, lo rimise in tasca~ Mi faceva paura. Lontano, rimbombavano i tuoni e i fulmini lampeggiavano. E poi, come se un gigante invisibile avessecompiuto un passo enorme, un colpo di vento piegò gli olmi del viottolo, mezza dozzina di porte e finestre sconosciute .sbatterono nella casa, e i fulmini dal cielo sembravano, all'improvviso, diretti sopra le nostre teste. Di conseguenza, l'agitazione del nonno si fece più intensa. Si tormentava le labbra. Credevo si sarebbero coperte di bava. Il vento riprese a turbinare. Salii al piano di sopra per chiudere una finestra che sbatteva. Quando ridiscesi, lo trovai davanti alla porta che si abbottonava l'impermeabile. "Non tentare di fermarmi!" Non sarei riuscito a fermarlo neanche se avessi osato. La sua follia gli ergeva intorno una barriera invalicabile. Lo osservai uscire nell'aria contratta. Appena trenta secondi dopo, i cieli si aprirono e venne giù il diluvio. Non ero tanto stupido da pensare che il nonno fosse semplicemente uscito per una passeggiata. Ma qualcosa mi trattenne dal seguirlo. Mi sedetti su una sedia a doridolo accanto al "caminetto tradizionale", in attesa e (provate a intuirne le ragioni) persino sorridendo, immobile, mentre fuori era una scarica di tuoni. Nel dramma di quel momento, in quella intrusione degli elementi nell~ nostra vita, non potei (come l'uomo che sorride stupidamente al proprio carnefice) fare a meno di trovare qualcosa di gratificante. E poi agii. La collina: era quello il posto migliore per assistere ad una tempesta. Per sfidare - o provocare - la collera del cielo. Presi l'impermeabile, gli scarponi, e affrontai a grandi passi lo scompiglio. Si racconta che Martin Lutero si sia inginocchiato prostrandosi e implorando il perdono dell'Onnipotente, abbia giurato di farsi monaco durante un temporale in Turingia. lo non sono religioso - non ero forse stato educato a consi73

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==