Linea d'ombra - anno VI - n. 32 - novembre 1988

Ogni cosa intendendo oltre aspetta In fede enorme la vetta: Dal piede inestricabil di catene, Unica al cielo misura la forza; • Con l'anima ardente in gelida scorza, Da sola respira il tremendo suo ben~. Da Poesie sparse e prose liriche (1913-1927) Vanno Cade il tempo d'ogni stagione, E autunno è un nome. Salma di pioggia, Terra, e una gora In cateratta al fosso - Il cielo addosso. Sotto torbido pelo La gora impigra Dove non trascina: Tra vermi e pesci Alghe patètiche, Sputi di rane Per sinuose tane, Tenaci ristagni E a ritroso sgomitanti ragni Sìmulano la corrente, Ma non si dànno. Minuzie e foglie Alla rovina intanto Perché non vuole in sé ciascuna Vanno: Movendosi ancora Non sembran perdute; Riviere e piante Non sanno fermare; Salma dì un nome, Stagioni cadute, È l'ora di tutte, son tante a passare; Crollo del tempo, Tracollo di spoglie Ingiallisce la piena, Anonimo gorgo ·.Sull'orlo, così, rigirare - Inabìssano al fosso. (l 91q) Voce di vedetta morta C'è un corpo in poltiglia Con crespe di faccia, affiorante Sul lezzo dell'aria sbranata. Frode la terra. Forsennato non piango: Affar di chi può, e del fango. Però se ritorni Tu uomo, di guerra A chi ignora non dire; Non dire la cosa, ove l'uomo E la vita s'intendono ancora. Ma afferra la donna Una notte, dopo un gorgo di baci, Se tornare potrai;• Soffiale che nulla del mondo ANTOLOGIA/RE BORA Redimerà ciò ch'è perso Di noi, i putrefatti di qui; Stringile il cuore a strozzarla: E se t'ama, lo capirai nella vita Più tardi, o giammai. (1917) Perdono? Stralunò il giorno. · Allora scrollandomi in piedi, mi volsi al giacile, ov'ero ammainato a do;mire. Fungaia d'un morto saponava la terra, a divano. Forse tre settimane. Schizzava il corpo, in soffietto, dai brandelli vestiti; ma ingrommata la testa, dal riccio dei peli spaccava alla bocca, donde lustravano denti scalfiti in castagna rigonfia di lingua. E palude d'occl1i verminava bianchiccia, per ghirigori lunari. Feci come per tergerlo al cuore - ma viscido anche il mio cuor"e. Perdono?· Diedi come a fasciarlo di sguardi - ma senza benda i miei sguardi. Perdono? Mamma - era un cosino che faceva pipì, una stella, da bimbo. Perdono? Era per sé irreproducibilmente creato; viveva: e forse gliela volevi tu, sorte, una donna. Perdono? Iridicibile uno, strappato al segreto suo vivo, per sempre finito; se' per la gente a venire, in grandezza caduto - l'immemore tempo è nessuno, e non cade. Perdono? "Staccatelo, e seppellitelo qui. Via svelti!". · Dai Canti dell'infermità (1956 e 1957) * * * Lamento sommesso, reiterato lamento desolato lamento di tortora in gabbia: miglio, acqua, sabbia, giravolte, sempre quelle, breve universo: paradisino afflitto, mansuete tortorelle. Grazie, Signore, che solo basti al nostro volo. Gennaio 1956 * * * : Terribile ritornare a questo mondo quando già tutte le fibre erano tese a transitare! E il corpo mi rifiuta ogni servizio, e l'anima non trova più suo inizio. Ogni voler divino è sforzo nero. Tutto va senza pensiero: l'abisso invoca l'abisso. 1 19 aprile 1956 (1917) I) L'abisso di miseria invoca l'abisso di misericordia (N.d.A.) · (Per gentile concessione degli editori Garzanti e Scheiwiller). 71

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