assottigliandosi, e lasciano spazio a una nuova visione, sempre più cosmica e per certi versi collettiva, dei dissidi inizialmente interpretati in chiave personale. Dall'io al noi, dunque, da una storia di crisi personale al tentativo di conquistare un respiro più allargato, un profetismo allegorico di spessore uni- . versale (ed è quasi doveroso rinviare al Frammento LXX, dove è compiutamente rappresentato un mondo cospirante all'unità, alla quiete contraddittoria della vetta montuosa). Ed ecco, appunto, l'inattualità di Rebora rispetto all'oggi. La sua è una poesia che agita fantasmi e problemi in buona parte rimossi dal nostro mondo letterario: una pratica espressiva che strumentalizza la lirica per fini ad essa estranei, che proclama l'irruzione di contenuti aridamente extraestetici (la filosofia, l'eticità più sofferta, la .religione, la politica) nel sacro recinto dell'arte. E tutto ciò con un furore di autenticità che non teme di confrontarsi con il grezzo e con l'informale. Non c'è armonia nel ver'so reboriano, ogni equilibrio raggiunto è destinato a sgretolarsi, e ogni sorta di sgradevolezza stilistica cerca di contestare le poche oasi liriche saltuariamente evocate. Attenzione, però: se è vero che nella poesia reboriana è frequentissima la polemica antiletteraria, la ricerca di un'utopica forma totalizzante che sappia farsi carico di quella che Boine chiamava "contemporaneità multivaria", è però altrettanto indubbio che il poeta persegue i propri obiettivi polemici partendo da posizioni di scaltrita letterarietà. Dante e Leopardi, Baudelaire e D'Annunzio, ma anche, con ogni evidenza, i 'filosofici' Bruno e Campanella agiscono in profondità nella poesia di Rebora e le conferiscono un' allure non di rado composta, precariamente equilibrata, e addirittura - come ho accennato - iperletteraria (si vedano, soprattutto nei Frammenti, certi giri di frase sin troppo scopertamente leopardiani); fino a determinare, nei testi meno riusciti; l'impressione di una pronuncia un po' attardata e ottocente,- sca, percepibile ad esempio in certi troncamenti che alle nostre orecchie suonano stranamente melodrammatici. E tuttavia, negli anni successivi al 1913, Rebora sembra bruciare le tappe di una personalissima corsa verso una formanon più forma, premuto dall'urgenza di significare l'espe- · rienza estrema - quella bellica-, che distrugge ogni forma di equilibrio. Nasce così la poesia in prosa, la quale si presenta con caratteri, come al solito, di sensibilissima contraddittorietà: se da una parte testimonia l'impossibilità di dare ordine al caos (e Rebora, vinto dalla nevrosi di guerra, rinuncia a ogni razionalizzazione e produce testi al limite del nonsense), dall'altra parte mantiene un residuo di formalizzazione, testimoniato - in modo paradossale - da una sorta di ritmicità implicita che segmenta il testo in versi cantilenanti, ricchi di rime e di altre figure del suono. Rebora balbetta, letteralmente, ma non rinuncia mai aJla significazione, e anzi l'incrementa coattivamente, almeno nei suoi valori archetipi e umanamente irrinunciabili ('tempo', 'morte', 'corpo', 'amore', 'solidarietà', ecc.). È sin,troppo facile, giunti a questo punto, additare la neSAGGI/GIOVANNETII cessità della conversione reiigiosa: colto il non-senso della guerra, smarrita ogni speranza palingenetica, lasciate da parte le illusioni attorno al valore della poesia, Rebora 'non può che' avvicinarsi alla fede. Le cose, in qualche.modo, sono andate più o meno cosL Negli anni Venti il poeta si avvicina a una religiosità sincretistica, in cui suggestioni mistiche di tipo orientale si accoppiano, in modo un po' indigesto e velleitario, al profetismo mazziniano; e nel 1928-29 c'è il gran salto al cattolicesimo, con la coerente scelta del sacerdozio secondo la regola rosminiana (l'ordinazione è del 1936). Senonché, su un piano propriamente letterario, vanno fatte almeno due precisazioni: e la prima è che bisognerebbe considerare religiosa tutta l'opera di Rebora dai Canti anonimi (1922) sino alla morte, e che quindi, dal punto di vista della poesia, la vera conversione avviene agli inizi degli anni Venti (il rilievo potrebbe essere sostenuto con molte esemplificazioni tematiche e stilistiche); la seconda, strettamente connessa alla prima, è che il poeta operante dal dopoguerra in poi è un autore molto diverso da quello dei Frammenti lirici e delle sparse poesie del periodo 1913-17. Insomma, se è vero che il 'pritno' Rebora anticipa il 'secondo', ciò va inteso in senso soprattutto negativo, alla stregua•di un capovolgimento quasi speculare dei tratti che caratterizzavano il poeta nei primi anni della sua attività. Il che, poi, equivale a dire che le scelte di Rebora uomo non coincidono necessa-:. riamente con quelle dell'autore, e che fra una religiosità di tipo sincretistico a sfondo mazziniano·e una compiuta fede cattolica le differenze dottrinali sono certamente molte, ma non è detto che debbano automaticamente esprimere rinnovamenti stilistici. Tanto più che per il Rebora cattolico (e in parte anche per il 'santone' buddista) la poesia è, per molti anni, solo una sottospecie della preghiera, la manifestazione volutamente ingenua di un percorso dottrinale, oppure uno strumento di edificazione dei propri confratelli. Si arriva persino a un paradosso filologico, che può in qualche modo richiamare l'antiletterarietà del poeta anni Dieci: la nuova raccolta delle liriche comprende infatti anche le agende estive o.invernali compilate dal sacerdote Rebora ad uso dei giovani convittori rosminiani, vere e proprie prescrizioni dottrinali e devozionali che hanno una fisionomia composita, poiché, a fianco di poesie-preghiere scritte per l'occasione, contengono anche testi di altri autori, la cui natura è assai eterogenea (passi dei libri sacri, liriche religiose antiche e moderne, prose di Rosmini, ecc.). Un ennesimo schiaffo alla letteratura, verrebbe da dire, secondo uno stile perfettamente reboriano: se non fosse per il fatto che, almeno in questo caso, l'operazione eversiva è da attribuire più agli editori che non a Rebora; il quale anzi per molti anni - sino all'incirca alla fine dei Quaranta - non vuole più sentir parlare di letteratura, e nel 1947 permette solo a malincuore la pubblicazione in volume delle sue poesie, curata dal fratello Piero. Si auspica, comunque, un dibattito sull'argomento; e forse sarebbt:: stato lecito attendersi, da parte di Mussini e Scheiwiller, una giustificazione ,69
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