ILCONTUTO . Sangue Navaio: gli amari 20 anni del '68 Gianfranco Bettin Ci eravamo detti un anno fa che avremmo taciuto, che avremmo lasciato celebrare agli oggi ricchi e/o famosi. Ma poi un'attualità scottante ci ha costretti a intervenire. . E qualche buon libro ci ha soccorso, come quello di Peppino Ortoleva. I ragazzi sui tetti . Qualche volta, per ridere o per fare i "vissuti" con quelli più giovani, io e i miei amici leggiamo a voce alta, col tono in cui Ungaretti declamava in tivù l'Odissea, una p~gina del vecchio Del Carria di Proletari senza rivoluzione, ultimo volume (pagg. 161-163), dedicata a un episodio importante della stagione operaia e studentesca apertasi nel '68: la rivolta operaia di Porto Marghera (dove noi viviamo) dei primi di agosto del 1970, ancora in piena "onda lunga" dell'autunno caldo. "Il 2 agosto 1970 si ha una delle più grosse battaglie del bierinio operaio"; scrive Del Carria, che racconta lo sciopero, "il blocco dello stradone di tre chilometri" antistante le fabbriche da parte "dell'avanzato proletariato dell'entroterra industriale veneto". Descrive poi l'intervento della Polizia, malcapitata poiché si trova subito accerchiata: "alle spalle è il Petrolchimico, davanti un blocco stradale fatto dai proletari con la massa degli operai .scioperanti, a destra le stradine con le piccole case operaie e a sinistra le fabbriche meccaniche tutte recintate. (Noi, qui leggendo, sottolineiamo certe imprecisioni dello storico). Cinquemila poliziotti (Bum! gridiamo) iniziano un fuoco denso di granate lacrimogene e tossiche sulle migliaia di operai. Questi rispondono, per tenere lontano i poliziotti, con una dura sassaiola e con l'incendio di copertoni piazzati davanti al blocco stradale (È vero, questo). Insieme all'incendio dei copertoni gli operai lanciano bottiglie molotov (almeno un migliaio, sostiene Del Carria citando un cronista di "Potere Operaio")." Il racconto "storico" prosegue, con i fatti da noi risaputi, la sparatoria, l'operaio colpito, il poliziotto preso prigionie-. ro, le ore e ore di scontri, la mezza vittoria conquistata sulla strada in mano "delle masse" - "tutte le strade del quartiere vengono completamente bloccate, mentre le donne aiutano a far le barricate e i ragazzi, dai tetti, danno notizie sugli spostamenti della polizia". Facevamo di più, in realtà, almeno i più grandi, ma comunque a questo passaggio il tono della lettura si fa epico, e il coro dei commenti solenne e fiero come quello del Va' pensiero. C'eravamo, quell'episodio fa parte integrante e fondamentale della nostra formazione politica e personale, e anche se lo deridiamo nella sua versione nai:f e vetero-trionfalista; 'vi siamo in fondo affezionati come a·uno dei momenti migliori, e da non tradire, della nostra vita. Ci mancherebbe! Per una volta almeno, "i padroni hanno ceduto sulle richieste operaie! Le fiamme alte" cinquanta metri e le colonne di fumo per centinaia di metri annunciano a metà Veneto, prima dei giornali, che gli operai di Porto Marghera hanno vinto!" (Del Carria, cit., p. 163). C'è stato un momento, all'inizio di quest'anno, in cui è sembrato che il '68 - o meglio il sessantotto inteso come lunga stagione della nostra storia recente - fosse ormai stato digerito e metabolizzato da una società e da un'opinione pubblica che lo avevano a lungo mal sopportato e visto con diffidenza, soffrendone la dirompenza, la radicalità, l'imprevedibilità. È accaduto all'aprirsi delle cerimonie per il "ventennale''. C'era, sì, sempre Montanelli a mugugnare, e c'era Andreotti ad avanzare dei "distinguo", e anche Crc>.xai ribadire - ma con più forza l'ha fatto De Michelis - che in fondo il '68 è stato una gran perdita di tempo, che bisognava già allora entusiasmarsi invece per il Riformismo.: In definitiva, però, erano tutti propensi a concedere che "quei giovanì" erano pieni di entusiasmo ed esprimevano una grande ansia di "modernizzazione". Poi è venuta l'estate e le celebrazioni festose, di maniera, disincantate, come pure le mere, entusiaste o nostalgiche rivisitazioni si sono rivelate inadeguate. È venuto il "caso So- · fri", o "Sofri-Calabresi.", prima, a rammentare che l'innocenza, l'ingenuità, sono durate poco, sono divenute presto impossibili in quel contesto in cui il movimento si muoveva. Contesto politico, di trame e poteri, ma anche di linguaggi, di simboli interni al movimento e alla tradizione politica e ideale in cui, molto presto e anche contraddicendo certe proprie fonti, si è riconosciuto. Alla radice del caso Calabresi c'è piazza Fontana, la "strage impensabile", cioè l'orrore, il cuore di tenebra della politica italiana di questi vent'anni. Il 12 dicembre '69 ha rivelato quanto duro fosse il gioco (la Grecia prima e il Cile poi lo hanno confermato su scala sovranazionale). In. quel clima, la propria morte o la violenza o addirittura l'uccisione dei nemici divennero per molti militanti uno dei possibili orizzonti, o dellé possibili derive, dello scontro politico. Si scopriva di poter morire, e di poter trovare qualche ragione per uccidere, per giustizia o vendetta. L'orrore di piazza Fontana, replicato sui treni e su altre piazze, la pervicacia unilaterale della repressione, la percezione bruciante delle vecchie e nuove ingiustizie (e di quelle direttamente sperimentate) entravano in corto circuito con una predisposizione militante e, per così dire, battagliera, ereditata in particolare dall'esperienza storica della sinistra e del movimento operaio e comunista. Ne risultavano emarginate, così, altre radici, che pure avevano favorito il fiorire del movimento, come la nonviolenta, quella anarco-libertaria, la còntroculturale (il "movimento di strada") e più in generale l'anima antiautoritaria, mentre ogni accenno di nuova "teoria critica" e ogni pratica o elaborazione relativa alla lunga marcia necessaria __: dentro o fuori le istituzioni - a conquistare nuovi livelli di potere, di consapevolezza, di liberazione si rinsecchivano e irrigidivano nel ritorno alla vecchia- prassi leninista e alla sua vulgata. Su questa via, anche il legame con l'esperienza diretta dei singoli e del movimento nel suo insieme, il suo stesso "mandato" sociale, si facevano meno vivi e motivati. Vent'anni dopo, l'esigenza di rifare questa storia si intreccia al bisogno di riscoprirne le fonti e le ragioni vere, contro deformazioni e falsificazioni operate spesso nei tribunali o dalle tribune dei "media", ma anche contro la fuga dal ripensamento vero, contro la riduzione della cultura e· dell'esperienza del '68 a strumento delle attuali forme di con5
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==