Linea d'ombra - anno VI - n. 32 - novembre 1988

quadro uniforme d'orrore. Esso ha un eroe solo; la forza. Ne risulterebbe una tetra monotonia, se non vi fossero, disseminat_iqua e là, momenti luminosi, momenti brevi e divini nei quali gli uomini hanno un'anima. L'anima che così si risveglia un istante, per riperdersi poco dopo sotto l'imperio della forza, si desta pura e intatta; non vi appare alcun sentimento ambiguo, complicato o torbido; vi hanno posto solo il coraggio e l'amore. Talora un uomo trova così la sua anima mentre delibera con se stesso, quando tenti, come Ettore dinanzi a Troia, senza il soccorso degli uomini e degli dèi, di affrontare da solo il destino. Gli altri momenti, in cui gli uomini trovano la loro anima sono quelli in cui"amano; non c'è quasi forma pura dell'amore tra gli uomini che sia assente dall'Iliade, (... ) Eppure una tale accumulazione di violenze sarebbe fredda senza un accenno di amarezza inguaribile che si fa sentire continuamente, anche se indicato spesso da una sola parola, spesso addirittura da un taglio di un verso, da un rimando. Proprio in questo l'Iliade è una cosa unica, in questa amarezza che procede dalla tenerezza e che si stende su tutti gli umani, uguale come il chiarore del sole. Il tono non cessa mai d'essere intriso d'amarezza, non si abbassa mai al lamento. La giustizia e l'amore che non possono esistere in questo quadro di estreme e ingiuste violenze, lo bagnano con la loro luce facendosi sentire solo indirettamente, attraverso l'accento. Nulla di prezioso, sia o no destinato a perire, è disprezzato, la miseria di tutti è esposta senza dissimulazione o disdegno, nessun uomo è posto al disopra o al di sotto della condizione comune a tutti gli uomini, tutto ciò che è distrutto è rimpianto. Vincitori e vinti sono ugualmente prossimi, sono i simili, allo stesso titolo, del poeta e degli uditori. Se una differenza c'è, è che la sventura dei nemici viene sentita forse più dolorosamente. (... ) La fredda brutalità dei fatti di guerra non è mascherata da nul- · la perché né i vincitori né i vinti sono ammirati, spregiati, odiati. Della sorte mutevole delle battaglie decidono quasi sempre il destino e gli dèi. Dentro i limiti assegnati dal destino, gli dèi dispongono sovranamente della vittoria e della disfatta; sono sempre loro a provocare le follie e i tradimenti grazie ai quali la pace è ogni volta impedita; la guerra è affar loro ed essi non hanno moventi che non siano il capriccio e la malizia. Quanto ai guerrieri, i paragoni che li fanno apparire, vincitori o vinti, come bestie o cose, non possono far provare né ammirazione né disprezzo, ma unicamente il rimpianto che uomini possano essere trasformati a tal punto. La straordinaria equità che ispira l'Iliade ha forse esempi a noi sconosciuti, ma non ha avuto imitatori. A malapena ci si accorge ANTOLOGIA/WEIL che il poeta è greco e non troiano. Il tono del poema sembra portare testimonianza diretta dell'origine delle parti più antiche, la storia forse non ci darà mai chiarimenti su questo punto. Se si crede con Tucidide che ottant'anni dopo la distruzione di Troia gli Achei soffersero a loro volta una conquista, ci si può chiedere se quei canti, Giove il ferro non è nominato che raramente, non siano i canti di quei-vinti, tra i quali ·alcuni forse presero la via dell'esilio. Costretti a vivere e morire "ben lungi qalla patria", come i Greci caduti dinanzi a Troia, perdute come i troiani le loro città, ritrovavano se stessi così nei vincitori, che eran0 i loro padri, come nei vinti la cui miseria somigliava alla loro: la verità di quella guerra ancora vicina poteva mostrarsi loro attraverso gli anni, non velata dall'ebrietà dell'orgoglio né dall'umiliazione. Potevano figurarsela insieme da vinti e da vincitori e conoscere in questo modo ciò che mai né vincitori né vinti hanno conosciuto, gli uni e gli altri essendo accecati. Tutto questo non è che un sogno; non si può che sognare su tempi tanto remoti. Sia come sia, questo poema è una cosa miracolosa. In esso l'amarezza verte sull'unica giusta causa di amarezza: la subordinazione dell'anima umana alla forza, vale a dire, in fih dei conti, alla materia. Questa subordinazione è la stessa in tutti i mortali, sebbene l'anima la porti diversamente secondo il grado di virtù. Nessuno vi si sottrae nell'Iliade; così come riessuno vi si sottrae sulla terra. E nessuno di coloro che vi soccombono è per questo considerato spregevole. Tutto ciò che all'interno dell'anima e nei rapporti umani sfugge all'imperio della forza è amato, ma amato dolorosamente per quel pericolo di distruzione continuamente sospeso. Tale lo spirito della sola autentica epopea che l'occidente possieda. L'Odissea non sembra essere che un'eccellente imitazione, ora dell'Iliade ora di poemi orientali; l'Eneide è un'imitazione che, brillante finché si vuole, è disabbellita dalla freddezza, dalla declamazione, dal cattivo gusto. Le chansons de geste non seppero raggiungere la grandezza per mancanza di equità; la morte di un nemico non è sentita, dall'autore e dal lettore della Chanson de Ro/and, come la morte di Rolando. La tragedia attica, almeno quella di Eschilo e di Sofocle, è la vera continuazione dell'epopea. Il pensiero della giustizia la illumina senza mai intervenirvi; la forza vi appare nella sua fredda durezza, sempre accompagnata dagli effetti funesti ai quali non sfugge né colui che la usa né colui che la soffre; l'umiliazione dell'anima sotto gli effetti della forza non vi è né mascherata né avvolta di pietà facìle, né proposta al disprezzo; più di un essere ferito dalla degradazione della sventura è offerto all'ammirazione. Il vangelo è l'ultima e meravigliosa espressione del genio greco, come l'Iliade è la prima; lo spirito della Grecia vi traspare non soltanto nel fatto che esso comanda di ricercare, ad esclusione di ogni altro bene, "il regno e la giustizia del nostro Padre celeste", ma anche perché vi è -esposta la miseria umana, e questo in un essere divino al tempo stesso che umano. Le sequenze della Passione mostrano che uno spirito divino, unito alla carne, è alterato dalla sventura, trema dinanzi alla sofferenza e alla morte, si sente, nel fondo del suo abbandono, separato dagli u_ominie da Dio. Il sentimento della miseria umana dà loro quell'accento di semplicità che è il marchio del genio greco, e che è tutto il pregio della tragedia attica e dell,.Iliade. Certe parole rendono un suono stranamente affine a quello dell'epopea, e l'adolescente troiano inviato alle case di Ade, sebbene riluttante a partire, torna alla mente quando il Cristo dice a Pietro: "Un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi". Tale accento non è separabile dal pensiero che ispira il vangelo; infatti il sentimento della miseria umana è una condizione della giustizia e dell'amore. Colui che ignora fino a qual punto la volubile fortuna e la necessità tengono ogni anima umana alla loro mercé, non può considerare suoi simili né amare come se stesso quelli che il caso ha separato da lui con un abisso. La diversità delle costrizioni che pesano sugli uomini fa nascere l'illusione che vi siano tra di loro specie distinte cui non è dato comunicare. Non è possibile amare né essere giusti se non si conosca l'imperio della forza e non lo si sappia rispettare. (traduzione di Cristina Campo, da La Grecia e le intuizioni precristiane, Boria 1967). 63

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