ANTOl.,OGIA/WEIL L'ILIADE, O IL POEMA DELLA FORZA Simone Weil Il vero eroe, il vero argomento, il centro dell'Iliade, è la forza. La forza adoperata dagli uomini, la forza che piega gli uomini, la forza dinanzi alla quale si ritrae la carne degli uomini. L'anima umana vi appare continuamt;nte modificata dai suoi rapporti con la forza: travolta, accecata dalla forza di cui crede disporre, si curva sotto l'imperio della forza che subisce. Chi aveva sognato che la forza, grazie al progresso, appartenesse ormai al passato, ha voluto vedere in questo poema un documento; chi sa discernere la forza, oggi come un tempo, al centro di ogni storia umana, vi trova il più bello, il più puro degli specchi. La forza è ciò che rende chiunque le sia sottomesso una cosa. Quando si esercita fino in fondo, essa fa dell'uomo una cosa nel senso più letterale della parola, poiché lo trasforma in un cadavere. C'era qualcuno, e un attimo dopo non c'è nessuno. È un quadro che l'Iliade non si stanca di presentarci. (... ) La forza che uccide è una forma sommaria, grossolana della forza. Quanto più .varia nei suoi procedimenti, quanto più sorprendente nei suoi effetti l'altra forza, quella che non uccide, cioè quella · che non uccide ancora! Ucciderà sicuramente, o uèciderà forse, ovvero è soltanto sospesa sulla creatura che da un momento all'altro può uccidere; in ogni modo, muta l'uomo in pietra. Dal potere di tramutare un uomo in cosa facendolo morire, procede un altro potere e molto più prodigioso: quello di tramutare in cosa un uomo che resta vivo. Strana cosa una cosa che ha un'anima; strano stato per l'anima. Chi sa quale sforzo.te occorre ad ogni istante per conformarsi a·ciò, per torcersi e ripiegarsi su sé medesima? L'anima non è fatta per abitare una cosa; quando vi sia costretta, non vi è più nulla_.inessa che non patisca violenza. On uomo inerme è nudo sul quale si punti un'arma diventa cadavere prima di essere toccato. (... ) · · Quando, al di fuori di ogni battaglia, uno straniero debole e sen-. z'armi supplica un guerriero, non è necessariamente condannato a morire; ma un attimo d'impazienza da parte del guerriero basterebbe a togliergli la vita. Basta questo perché la sua carne perda la principale proprietà della carne viva. Un pezzo di carne viva rivela la vita soprattutto nel sussulto: una zampa di rana, sotto la scarica elettrica, sussulta; l'apparizione vicina o il contatto di una cosa orribile o terrificante fa sussultare qualsiasi fascio di carne, di nervi e di muscoli. Solo un tale uomo supplicante non trasale, non freme; non ne ha più la possibilità; le sue labbra toccheranno l'oggetto che per lui è'più carico d'orrore. (... ) Tanto spietatamente la forza stritola, .tanto spietatamente essa inebria chiunque la possieda o creda di possederla. Nessuno la pos- · siede veramente. Nell'Iliade gli uomini non sono divisi in vinti, schiavi, supplici da un lato, in vincitori e capi dall'altro; non vi si trova un solo uomo che a un certo momento non sia costretto a piegare . sotto la forza. Che tutti siano destinati nascendo a patire violenza, è una verità a cui l'imperio delle circostante. chiude gli spiriti degli uomini. Il forte non è mai assolutamente forte, né il debole assolutamente debole, ma l'uno e l'altro l'ignorano. Essi non si credono della medesima specie. né il debole si considera il simile del forte, né da lui è considerato suo simile. Colui che possiede la forza avanza in un ambiente privo di resistenza senza che nulla, nella materia umana intorno a lui, sia di natura tale da suscitare tra l'impeto e l'atto quel lieve intervallo ove s'inserisce il pensiero.. E dove non ha dimora il pensiero, nop ne ha la giustizia né la prudenza. Perciò quegli uomini armati agiscono duramente e follemente. La loro spada affonda in un nemico inerme ai loro ginocchi; trionfano di un moribondo descrivendogli le offese ch·esubirà il suo corpo; Achille sgozza dodici adolescenti troiani sopra il rogo di Patroclo con la stessa naturalezza con cui noi tagliamo fiori per una tomba. Usando del loro po62 tere, essi non dubitano mai che le conseguenze dei loro atti li faranno a loro volta piegare. Quando con una sola parola si può far tacere, tremare, obbedire un vegliardo, si riflette forse che le maledizioni di un sacerdote hanno importanza agli occhi degli àuguri? Ci si astiene forse dal togliere la donna amata ad Achille, quando si sappia che l'uno e l'altra non potranno far altro che obbedire? Quando Achille gode a veder fuggire i miseri Greci, può forse immaginare che quella fuga, che durerà o finirà a suo piacere, farà perdere la vita al suo amico e a se stesso? Ecc;oin qual modo coloro a cui la forza è prestata dal destino, periscono per troppa sicurezza. Non possono non perire. Essi infatti non considerano la propria forza come una quantità limitata, i loro ràpporti con gli altri come un equilibrio tra ·forza impari. Dato che gli altri uomini non impongono ai loro movimenti quella battuta di arresto da cui solo può nascere il rispetto verso il prossimo, essi concludono che il destino ha dato a loro ogni diritto e nessuno ai loro inferiori. Da quel momento essi vanno al di là della forza di cui dispongono. È inevitabile, perché ignorano che quella forza ha dei limiti. Sono allora abbandonati al caso senza rimedio e le cose non gli obbediscono più. Talvolta il caso li serve; talvolta li danneggia. Eccoli esposti nudi alla sventura, senza quella corazza di potenza che proteggeva la loro anima; senza più nulla ormai che li separi dalle lacrime. Tale castigo, di un rigore geometrico, che punisce automaticamente l'abuso della forza, fu il primo oggetto della meditazione dei Greci. Esso costituisce l'anima dell'epopea; sotto il nome di Nemesi è la molla delle tragedie di Eschilo; i Pitagorici, Socrate, Platone ne fecero il loro punto di partenza per pensare l'uomo e l'universo. La nozione ne è diventata familiare ovunque sia penetrato l'ellenismo. Forse proprio questa nozione greca sussiste, sotto il nome di kharma, in paesi d'oriente impregnati di buddismo; ma l'occidente l'ha perduta e non ha neppure più, in nessuna delle sue lingue, parola che ·1aesprima; le idee di. limite, di misura, di equilibrio, che dovrebbero detei;minare la condotta della vita, non hanno più che un impiego servile nella tecnica; noi siamo geometri solo di fronte alla materia; i Greci furono prima di tutto geometri.nell'apprendimento della virtù. Il corso della guerra nell'Iliade non è altro che questo gioco pendolare. Il vincitore del momento si sente invincibile, anche se ha con.osciuto la disfatta qualche ora prima; dimentica di usare la vittoria come una cosa destinata a passare. (... ) Così la violenza stritola quelli che tocca. Essa finisce per apparire esteriore a colui che la esercita come a colui che la soffre; nasce allora l'idea di un destino sotto il quale i carnefici e le vittime sono del pari innocenti, i vincitori e i vinti fratelli nella stessa miseria. (... ) Tale è la natura della forza: Il potere ch'essa possiede, di trasformare gli uomini in cose, è duplice e si esercita da ambo le parti; essa pietrlfica diversamente, ma ugualmente, le anime di quelli che la subiscono e di quelli che la usano. Tale proprietà tocca il più alto grado in mezzo alle armi, dal momento nel quale una battaglia si orienta verso una decisione. Le battaglie non si decidono tra uomini che calcolano, combinano, prendono una risoluzione e la attuano, ma tra uomini spogliati di queste fac,oltà, trasformati, caduti al livello della materia inerte che non è che passività, come delle cieche forze che non sono che impeto. È questo il segreto ultimo della guerra, e l'Iliade lo esprime paragonando i guerrieri all'incendio, all'inondazione, al vento, alle bestie feroci, a qualsiasi causa cieca di disastro, oppure agli animali p_aurosi,agli alberi, all'acqua·, alla sabbia, a tutto ciò che è mosso dalla violenza delle forze esterne. (... ) · · L'arte della guerra altro non è che l'arte di produrre tali trasmutazioni, e la materia, i modi, la morte stessa inflitta al nemico non sono altri che mezzi per ottenere questo effetto; esso ha come vero oggetto l'anima stessa dei combattenti. Questa doppia proprietà di pietrificazione è essenziale alla forza e un'anima posta al contatto della forza non vi sfugge, se non per una qualche sorta d\ miracolo. Tali miracoli sono rari e brevi. La leggerezza di coloro che maneggiano senza rispetto quegli uomini e quelle cose che sono o sembrano essere alla loro mercé, Ja disperazione che costringe il soldato a distruggere, lo stritolamento dello schiavo e del vinto, i massacri, tutto contribuisce a formare un
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