Linea d'ombra - anno VI - n. 32 - novembre 1988

nella loro forma religiosa è comunque per riaffermare sotto un diverso nome la loro stessa finalità: la realizzazione della giustizia e dell'amore. Ma si tratta di una consapevolezza sempre più confinata in zone della coscienza e della realtà sociaIè poco o niente operative; e questo nella misùra stessa in cui la crescita esponenziale della tecnica rende sempre menb sopportabile lo stato di contraddittorietà. Per.ché la tecnica, così come si è imposta nell'epoca moderna, è priva di finalità; essa ''colloca sullo stesso versante la forza e la civilizzazione" <11>, cioè impone su tutto il dominio della forza, e la forza non ha altro fine che se stessa. Ma poiché nessun uomo, a meno di aver raggi~nto ·10 stato di santità, può vivere senza fini, non ci resta che fare di quelle verità delle armi ideologiche, ·cioè degli· strumenti più o meno efficaci per il . controllo sociale; oppure elevare a fini le immagini irreali prodotte dalla tecnica_stessa: il benessere, la vittoria sulla malattia, il potenziamento della soggettività, il dominio illimitato sulla natura, l'informazione come cultura universale. È intorno a questa contraddizione che ruota il pensiero di Simone Weil; ricondotta al nucleo essenziale, la sua opera è un invito pressante a volgere la nostra attenzione su di essa in qualunque forma si presenti, perché è la contraddizione essenziale della nostra epoca, e ignorarla significa sprofondare nell'incoscienza, diventare vittime inconsapevoli dell'irrealtà, seppure in forme apparentemente meno brutali di quelle prodotte dalla guerra. L'astuzia dello spirito del nostro tempo consiste n_elfarci credere di avere a portata di mano le chiavi del nostro destino, vale a dire che la forza può essere razionalizzata e posta al nostro servizio. Ma non è così, in realtà "noi fabbrichiamo un mondo artificiale di cui siamo interamente padroni, e vi troviamo la costrizione" <12>, perché esso non sarà mai conforme al nostro corpo e al nostro spirito. Dovremmo sapere tutti per esperienza che il contatto con la forza, dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla natura, contamina necessariamente chi agisce e chi subisce, se non si possiedono le virtù capaci a imporle un limite, e non solo un fragile limite giuridico ma una coscienza etica capace di impregnare l'insieme della vita sociale. C'è una parola di Tucidide che torna di continuo nella riflessione di Simone Weil: "Noi abbiamo rispetto agli dèi la credenza, e rispetto agli uomini la conoscenza certa, che sempre, per una necessità della natura, ciascuno comanda ovunque ne ha il potere" <13>_ La necessità e il bene, questa la contraddizione reale scoperta dalla Grecia. Il cristian.esimo ha avuto l'ardire di concepire il bene incarnato nella necessità, toccando il mistero stesso della sofferenza: "Dio mio, perché mi hai abbandonato!" o4>. Su queste basi noi abbiamo costruito, nel bene e nel male, la nostra civiltà; oggi si tratta di sapere se e come possiamo renderle operative nelle condizioni storiche attuali. • • • SAGGI/GAOA Note 1) L'Iliade, ou lepoème de laforce, pubblicato nei "Cahiers du Sud", nn. 230 e 231, dicembre 1940 e gennaio 1941. Riedito in La source grecque, Paris, Gallimard, 1953. Per la traduzione italiana, a cura di Cristina Campo, si veda il volume, La Grecia e le intuizioni precristiane, Torino, Boria, 1967. 2) Lettera a Joe Bousquet, in L'amore di Dio, Torino, Boria, 1968. 3) Su "1 settembre 1939" di W. H. Auden, in Il canto del pendolo, Milano, Adelphi, 1987. Si veda in particolare il commento ai versi: "L'esiliato Tucidide sapeva / tutto ciò che un discorso possa dire / sulla democrazia, / e ciò che i dittatori .fanno, I le sciocchezze senili che pronunciano I davanti a un apatico sepolcro". (pp. 143ss.). 4) Stessa lettera a Bousquet. 5) "Forse c'è un ordine del mondo a misura di ciascuno. L'ordine del mondo che noi possiamo afferrare è come il disegno trovato sull'incavo di un ceppo quando l'abbiamo segato. Avremmo trovato un disegno anche in qualsiasi altro punto; un disegno diverso, ma sempre µn disegno. Il nostro universo è uno spaccato nell'universo, praticato in un punto che corrisponde alle dimensioni e alla struttura del nostro corpo. Così l'universo ci è noto solo soggettivamente; anche il nostro organismo; ma la conformità tra i due è un fatto." (Qùaderni III, Milano, Adelphi, 1988, p. 218). 6) "Il mondo è un testo a più significati, e si passa da un significato all'altro m€diante un lavoro. Un lavoro a cui il corpo prende sempre parte, come quando s'impara l'alfabeto di una lingua straniera, tale alfabeto deve penetrare nella mano a forza di tracciare le lettere. Al di' fuori di questo, ogni mutamento nél modo di pensare è illusorio''. (Quaderni I, Milano, Adelphi, 1982, pp. 230-231). 7) Quaderni I, pp. 283-284. È la formula più pregnante con la quale S. Weil riassume la sua concezione della "lettura", .tema centrale della sua riflessione. Eccone un passo illuminante: "Letture - coordinamento nel tempo e con le letture degli altri. Coordinamento tra le letture simultanee e successive. Nell'immediato e nell'individuale, tutto è ugualmente.vero. Perché è necessario un tale coordinamento? Qui il bene ha un peso. Bisogna che io sia d'accordo con gli altri e con il mio io passato, con il mio io futuro. Questo accordo è la realtà. E gli altri sono una congettura; l'io passato, l'io futuro non esistono. L'accordo è essenzialmente inverificabile". (Quaderni I, p. 337). 8) Quaderni I, p. 199. 9) Matteo, V, 48. 45. Si veda in particolare Quaderni III, pp. 67-68. 10) "La concezione moderna della Provvidenza come di una volontà capace d'intenzioni particolari è in rapporto con la nostra scienza fondata sul movimento retto". (Quaderni III, p. 75). 11) Quaderni III, p. 267. 12) Quaderni III. 13) Storie, V. 89 e 105. 14) "L'infinito che è nell'uomo è alla mercé di un piccolo pezzo di ferro; tale è la condizione umana; ne sono causa lo spazio e il tempo. Impossibile maneggiare quel pezzo di ferro senza ridurre bruscamente l'infinito che è nell'uomo a un punto sulla punta, a un punto all'impugnatura, a prezzo di un dolore straziante. Impossibile non maneggiarlo. Per un momento l'essere intero è colpito; non vi resta alcun posto per Dio, neppure nel Cristo, quando il pensiero di Dio si riduce a quello di una privazione. Bisogna arrivare fin qui perché vi sia incarnazione. L'essere intero diventa privazione di Dio; come andare oltre? Dopo questo non vi è altro che la resurrezione. Per arrivare fin qui è necessario il freddo contatto del ferro nudo". (Quaderni I, p. 234). 61

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