Linea d'ombra - anno VI - n. 32 - novembre 1988

Foto di Robert Capa (Spagna· 1937). quella segnò la decadenza degli Achei. La differenza è che per noi non è ancora sorto alcun poeta, non è stata creata nessuna epopea capace di risvegliarci dal sonno angoscioso in cui fummo allora precipitati, ipnotizzati da un orrore che è diventato nel tempo abitudine e impulso a ripetere, rovesciando a piacere i ruoli di vittime e carnefici. Nessun poeta in grado di farci sentire il senso estremo della miseria umana sot'to l'imperio della forza, la miseria comune a tutti, vinti e vincitori, di ieri e di oggi, che solo po'trebbe darci la possibilità di orientare il pensiero e l'azione verso la giustizia. La Grecia, secondo Simone Weil, ebbe questo dono straordinario, il dono dell'equità, dell'equilibrio, del limite; su di esso ha costruito la sua grandezza e ha posto le basi per la nostra civiltà. È toccato al nostro secolo, e non certo per caso, ripetere la guerra di Troia. Le conseguenze sono sotto i nostri occhi e nella nostra stessa mente, e ciascuno di noi fa del suo meglio per dimenticarle, o esorcizzarle o giustificarle, ben poco per fissare su di esse l'attenzione. È quel che ha tentato Simone Weil immergendosi nelle profondità del canto omerico. C'è un tema che percorre il testo in controcanto alla descrizione degli effetti devastanti della forza, il tema della miseria umana come condizione permanente della nostra esistenza; che tuttavia non conduce alla disperazione, bensì alla visione di ciò clie realmente accomuna tutti gli uomini, e quindi abolisce ogni forma di separatezza. Rileggendolo mi è tornata in mente una poesia di Auden nel commento di Josif Broçlskij<3 l. S'intitola 1 settembre 1939, il giorno che inizia la guerra. Qui~ Brodskij lo fa vedere molto bene-, tocca di nuovo alla poesia dire uha verità che si fa fatica ad ascoltare, che non fu ascoltata. Diceva Auden ai suoi compatrioti, ai democratici d'Inghilterra ed' America decisi a battersi contro Hitler, di non investfrsi semplicemente della parte del bene contro il male ma di partire da un'assunzione di responsabilità, riconoscendo che il male· era orrendamente fiorito su un terreno fertile comune a tutti, che la Germania era solo il concentrato di errori profondamente iscritti nella nostra cultura. Intendeva dire che uno sguardo obiettivo alla nostra storia recente e meno recente vietava di separare con un tratto sulla carta geografica il bene e il male, e che dunque non sarebbe bastato estirpare il cancro nazista per risanare il corpo della civiltà occidentale. Sembra di ascoltare un'eco del canto di Omero, ma quanto remoto, quanto impotente a farsi percepire; e non tanto per mancanza del poeta, quanto per mancanza di uditori; il canto di Auden non poteva dispiegarsi come quello di Omero, perché nessuno o troppo pochi gli chiedevano di dire attraverso di esso la verità sulla nostra condizione storica. Né migliori uditori ha avuto Simone Weil. E in effetti chi tra quanti avevano una responsabilità di comando poteva allora essere in grado di intendere il suo invito pressante a combattere questa guerra in tutt'altro. modo da come era combattuta da chi l'aveva scatenata? Vi è forse per la nostra SAGGI/GAETA cultura, anche oggi, un altro modo di combattere una guerra? Un modo per il quale il nemico non sia considerato radicalmente tale; un modo per il quale la sua sconfitta non sia ragione di umiliazione e quindi di rivalsa ma di riconciliazione ad un livello più alto, perché lo si è messo in grado di riconoscere l'errore, di cui ci si è fatti per la nostra parte corresponsabili. Questa parola era allora impossibile. Metterla in pratica avrebbe comportato un compieta rovesciamento della cultura della guerra ereditata da Roma, e potenziata dall'ideologià delle crociate, dalle guerre di religione, dai nazionalismi,. dallo spirito di partito, in definitiva dall'idea radicata che la verità e l'errore, il bene e il male militano in campi avversi. Ma la semplice constatazione di un'impossibilità storica non può chiuderci gli occhi di fronte ai guasti profondi che quella guerra ha prodotto fino ai giorni nostri, di cui noi, la nostra gen~razione porta il segno evidente nell'incapacità di esprimere una diversa visione dei rapporti tra gli uomini, anche quando ne avverte, con dolore o con rabbia, la necessità. Fatto è che il sogno angoscioso in cui furono gettati, e non senza loro responsabilità, i nostri padri è continuato in noi, ed in forma più confusa ed ambigua nella misura in cui le nostre condizioni di esistenza si sono fatte via via più indefinite, volubili, astratte. Si è così riprodotta quella logica di separatezza che pure avremmo voluto, nei casi migliori, abolire, per ritrovare il volto dell'uomo, la sua sofferenza, il suo bisogno di bene e di giustizia. Finché anche quest'aspirazione dai contorni più ideologici che reali è andata sfumando, mentre il potere si riappropriava in pieno della delega all'uso della forza, lasciando al nostro privato e alle istituzioni deputate la gestione dei valori etici. Se è vero che "la guerra è là realtà pi.ù preziosa da conoscere, perché la guerra e l'irrealtà stessa" < 4l, allora dobbiamo riconoscere che essa è stata piuttosto rimossa in fretta, consentendo all'irrealtà di dilagare firio ad assumere oggi, ai nostri occhi, le sembianze della realtà. A condizione che non ci tocchi personalmente, l'orrore non ci sorprende quasi più, fa parte del panorama della nostra convivenza sociale, locale o mondiale; salvo schierarsi, per chi ne ha tempo e voglia, da · questa o da quella' parte. D'altronde, la rivolta e l'indignazione, l'abbiamo constatato, non porta lontano; né serve la critica all'onnipotenza della tecnologia e della comunicazione di massa. In realtà si tratta ·sempre di forme di attaccamento a ciò che si vorrebbe colpire o modificare. I lager nazisti e la bomba su Hiroshima hanno contaminato anche noi, ne portiamo il virus in noi malgrado 'la nostra buona coscienza o la nostra buona volontà, perché non ci sono in noi, o non in misura ·sufficiente, gli anticorpi per distruggerlo. E questi certo non si creano in un giorno; occorre un addestramento, occorre un'educazione, e per questa occorrono degli spazi che si fanno ogni giorno più stretti. Simone Weil è in questo senso uno spazio reale, tra i pochi praticabili. E innanzitutto perché essa scava nella nostra 59

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==