Linea d'ombra - anno VI - n. 32 - novembre 1988

SAGGI/GAETA SOff'OL'IMPERIODELLAFORZA. SIMONEWEIL,I GRECI, LAGUERRA Giancarlo Gaeta Scritto nel 1939, poche settimane dopo l'inizio della guerra, L'Iliade, o il poema della forza fl), non è solo un commento al poema omerico, seppure straordinario per novità d'interpretazione e bellezza delle traduzioni; è anche una meditazione lucida sulla natura della forza nella sua rappresentazione estrema, la guerra. Non la guerra degli eroi, che immortalano le loro gesta sotto le mura di Troia, ma quella messa in scena e dominata dalla ferrea logica della forza, a cui nessuno sfugge. una volta che le sia lasciato campo, né vinti né vincitori, neppure gli dèi. Il testo ci impone sin dalle prime righe immagini e concetti che non ci sono, credo, tra i più familiari. "Dirigere volontariamente il pensiero verso la sventura - scriveva in quei mesi Simone Weil a un amico - è come persuadere un cane, senza previo addestramento, a camminare tra le fiamme"<2>. E noi siamo ben poco addestrati al riguardo. Se c'è qualcosa 58 di cui vogliamo sapere il meno possibile è la sventura. Ma forse non sono principalmente le immagini a turbarci, malgrado l'estrema tensione che esse racchiudono, perché ci siamo comunque abituati a consumarle in fretta; è piuttosto il pensiero che le sostiene, così desueto, quasi arcaico, a farci problema. Per chi come noi è abituato, e da lungo tempo, a guardare in avanti considerando la durezza del presente come un passaggio necessario verso approdi migliori, è cosa non agevole volgere lo sguardo verso il quadro tragico che ci viene da un passato remoto, non per comodi esercizi letterari mà per riflettervi la nostra comune condizione umana. E ciò che ha invece tentato Simone Weil all'alba della guerra che avrebbe imposto una lettura del tutto nuova, orribilmente nuova, della realtà e che noi, in questi quarant'anni, non possiamo certo dire di aver sconfitto alla radice. Una lettura infinitamente distante da quella che aveva consentito ad Omero di esprimere nel canto il sentimento della miseria umana germinato sulle rovine di Troia, e che ora risuona concentrato nella parola di questa giovane donna alla svolta non solo del nostro secolo ma dell'intera storia della cultura occidentale. Quasi una presa di coscienza estrema dell'origine, di quella "fonte greca" che lei sperava, s'illudeva, potesse essere ancora luogo d'ispirazione per un'intera civiltà sottoposta alla prova decisiva per la sua stessa sopravvivenza. Perché quella guerra è stata la nostra guerra di Troia, almeno nel senso che ha deciso del destino dell'Europa come

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