IL CONTESTO CONFRONTI . L'ultimo Genet nell'immaginario della rivoluzione palestinese Gualtiero De Santi Cosa ha spinto Genet a doppiarsi - almeno in parte - sulla vita e sul dramma storico del popolo palestinese? Da dove è scesa la determin.azione - dopo le acri pagine sui massacri di Sabra e Shatila - a comporre un libro, Le captif amoureux, che alme~o nelle sue previsioni nessuno avrebbe letto m Europa e che mai sarebbe stato tradotto nei paesi arabi? . , . . . La risposta estenore e mtmb1le: una sollecitazione a partecipare al mondo emozioni e pensieri, dicendo esattamente (questa la richiesta dei capi dell'OLP) ciò che avesse sentito e visto. Un invito politico dunque (tradotto in pratica per la precisione filologico-storica nell'agosto 1983, data d'avvio della stesura), ma tale da presentarsi alla fantasia come un viaggio a ritroso nella memoria e nei ricordi. Ciò per accogliere da subito le ambivalenze di cui la scrittura si ammanta. Genet non sfugge a quelli che sono stati chiamati i codid dell'esotismo (nel profumo e nella freschezza di non ritrovarsi in Franciaavverte il distacco dall'angoscia europea). E neppure va esente da certo estetismo, per esempio nell'identificaj':ione tra giovinezza e Palestina. Ciò che però piu gli importa, è il riflettersi del senso delle cose nella natura e nella verità del popolo perseguitato. A partire dal quale anche la scrittura - che pure prende le distanze dalla n-;altà - recupera il senso. Il "prigioniero amoroso" si lascia subito conquistare dal corpo erotico e spirituale dei giovani combattenti. Ma il senso del li0 bro non è quello di dire le ragioni della causa palestinese, sì invece di calarne i parametri nel flusso di inquietudini e ambiguità che fondano in ognuno la vita individuale. Così, vuoi per caso vuoi per calcolo, sotto la scrittura di facciata, nel rapporto tra il tema razionale e quello psicologico e privato, corre un'altra scrittura di cui la Palestina è il motore primo. Quasi a inizio di libro Genet racconta un sogno. La vertigine di sapersi in un paese musulmano in cui le donne restassero da parte era così intensa da evocargli un corteo di sc~poli, meno mariti che non masturbatori, i quali si impadronivano dell'immagine di una signora raffigurante la stella polare. Il passaggio dalla rea_ltàstori;a a quella onirica si svolge nella psiche dell autore, veggente scomodo ma anche spontaneo simulatore. Alla pari degli altri, del resto, che si proiettano nel destino dei palestinesi: i francesi"in primo luogo, che vi celebrano l'universalità della loro lingua e della loro cultura; le grandi P,Otenze,per le quali quella fetta di ter24 ritorio non è altro che un contrasto planetario; gli ebrei infine, cui la terra promessa s'è sempre presentata come spazio vuoto, non esperibile o conoscibile e invece sognato. Ugualmente i palestinesi sono stati per lungo tempo più immaginati che realmente pensati, un po' come accadeva nei portolani del Trecento popolati di mostri, entità e animali non vivi, ma in grado di infondere nei viaggiatori e nei pellegrini racconti immaginifici su flore e faune di pura fantasia. La Palestina e i feddayn, come sono effettivamente, sono cancellati dalla realtà di quanti li osservano, appoggiano o avversano. Ed essi stessi si battono contro forze non sempre individuabili, una indifferenziazione che il termine "i/s" rende benissimo: come ha detto Arafat, "essi" ci fotografano, filmano, scrivono su noi e ci giudicano. Niente insomma traspira dalla rivolta palestinese. Lo stesso splendore di cui Genet li contorna, accompagnato dal murmure amoroso delle loro loquele, della gentilezza e dolcezza dei loro corpi, li fa scomparire nella luce che li accende. Una tale indeterminazione, che sola sopporta i riferimenti esteriori e mai invece quelli definenti l'oggetto Palestina e i palestinesi in sé, si enfatizza grandemente nei media. Che hanno fatto esistere Israele nella lunga serie di luoghi comuni: sacrificio, olocausto, kibbutz, deserto sottratto alla sterilità, adesso - vedi la cronaca degli ultimi mesi, con il quotidiano stillicidio di vite - l'unica democrazia della regione mediorientale. La rappresentazione del problema sotto le spoglie israeliane viene appena intaccata da un interesse del potere mediale per i feddayn, ridotti ad atlanti e a burattini della rivoluzione. Irrisolta, com'era all'inizio, permane la contraddizione tra una verità, che come nel caso dei palestinesi si richiama a inoppugnabili fatti storici, e invece il potere del linguaggio di esistere di per sé. Insomma, scrivendo sulla Palestina e l'OLP, Genet porta la riflessione al punto estremo di dissonanza tra parola e politica - la prima rifluente nell'immaginario, la seconda nell'ordine strumentale del dominio. ♦ Ìl discorso logico e storico, anche in quegli eccessi che un interlocutore costante di Genet, Abou Omar, definisce una overdose di "vedettisation", registrando ininterrottamente l'interferenza di elementi nativi sfugge in parte al potere dei simulacri. Il sogno poetico dello scrittore si incontra con il sogno della Palestina. Tanta pulsività insorta nei sensi non modifica a sua posta la concretezza del problema. Pur muovendo da un suo punto di vista Genet ne indaga l'immediata e non sopprimibile evidenza nel contrasto violento tra le varie componenti interne all'OLP; nella marcata diversità dei palestinesi rispetto agli altri arabi (indifferenti, quando non ostili come nel caso dei siriani e dei libanesi); o nella contraddizione tra la rigorosa definibilità della questione con l'appoggio del pensiero occidentale (quanti guerrieri non hanno ripetuto a Genet le frasi di Marx e Lenin?) e la fedeltà a un passato, fatto di tradizione ma anche di .osservanza a regole feudali, come si direbbe da noi in Europa. La denotazione oggettiva del conflitto non fa insomma difetto nelle pagine del Capti/ amoureux, ma non questo è l'essenziale. Ciò che colpisce lo scrittore è il carattere rituale della lotta (i giovani e le ragazze che si detergono prima dei combattimenti) e insieme la sua naturalità: una qualità spirituale che sa trascendere, per lui la mera richiesta di una patria e di un territorio, per diventai-e lotta in assolùto contro il potere. Infatti, anche il mondo dei palestinesi è intessuto di essenza impalpabile. Di che sono fatti - si domanda Genet - i sogni di un soldato che, nel deserto, senza sapere nulla: dell'occidente e sapendo assai pocò dell'oriente, impugna le armi? di cosa vive la sua attesa di futuro? La chiave di volta dell'argomentazione è la presa d'atto di questi vuoti - "périodes creuses" - a muovere dai quali la ribellione palestinese:, perseguendo una strategia attraverso l'immaginario, lampeggia per coordinate anche su quanto la attornia. Così nell'ottica di Genet la battaglia dei feddayn si compie in quanto passato, o evento d'assenza, che rechi la dolcezza di ciò che ancora non può essere, o è solo esistito nella memoria interiore, giustificando al contempo l'inerzia opprimente del presente e del futuro. Nel fatto di voler ricomporre l'unità dialettica tra passato, presente e futuro, la rivoluzione è anche metafisica. Il vuoto, che dev'essere colmato e scritto, vale come attesa dell'utopia. Nulla è avvenuto, ma tutto deve succedere. Quella meccanica che fa avanzare la mostruosità e l'assassinio nell'atto in cui più si raggiunge il corpo dell'essere amato (si ripensi a Querellede Brest) torna anche in Le capti/ amoureux. Chi non ha conosciuto quella del tradimento nulla sa della voluttà, così in Souvenir II (la seconda parte del libro). Ciò porta lo scrittore, in un processo conoscitivo che va al di là della militanza e della solidarietà, a evocare la componente entropica calata fatalmente nella tensione ideale. A evocarla non intellettualmente, sì invece in una concretezza da amour f ou che già presente i termini delfa diminuzione erotica: e nella lucidità della rivoluzione che perciò allinea tra i capi le figure dei nuovi arricchiti e dei profittatori. Lo sguardo di Genet sa andare in profondità, cogliendo i termini dell'obiezione a Israele giusto nel carattere di una diversità che ~i tinge d'orrore.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==