Linea d'ombra - anno VI - n. 32 - novembre 1988

CINEMA L'orrorecolonialista in un filmdi Sembène·Ousmane Fabio Gambaro Alla Mostra del cinema di Venezia il regista senegalese Sembène Ousmane ha presentato il suo ultimo film, Camp de Thiaroye (Il campo di Thiaroye}, diretto in collaborazione con il suo connazionale Thierno Faty Sow. L'opera è stata accolta favorevolmente sia dal pubblico che dalla critica, come testimoniano il Gran Premio Speciale della Giuria e gli altri premi minori che le sono toccati e che di fatto sanciscono anche qui da noi il definitivo riconoscimento del cinema africano (il film è una coproduzione Senegal-AlgeriaTunisia) all'interno del cinema di serie A. Il film racconta una brutta pagina del colonialismo francese, rievocando l'episodio storico della notte del primo dicembre 1944, quando i soldati d'oltralpe massacrarono nelle vicinanze di Dakar un battaglione di tirailleurs - i fucilieri africani che i francesi avevano organizzato nel loro esercito. La vicenda si svolge nel Campo di Thiaroye, poche baracche isolate nella brousse dominata da grandi baobab, in cui, prima di rientrare nei rispettivi villaggi, transitano i soldati africani, da poco tornati dal fronte europeo dove, al fianco delle truppe alleate, hanno combattutto corag-. giosamente contro i nazisti. Sul fronte, dove le pallottole dei tedeschi erano le stesse per bianchi e neri, i soldati africani hanno imparato a farsi rispettare, conquistandosi parità di diritti con i loro compagni bianchi. Ma una volta tornati in patria, scoprono che nel loro paese le còse non sono cambiate e nel campo poco a poco riprendono contatto con la realtà della disparirà e del colonialismo: bianchi e neri ricevono trattamenti diversi sul cibo, sulle uniformi, sulle paghe, su tutto. Le giornate di Thiaroye se- · gnano il progressivo ritorno.alla realtà che distrugge le illusioni anche di quelli che più avevano creduto di aver pagato con la guerra il biglietto d'ingresso al IL CONTESTO dentro una visione del presente tutta proiettata sul futuro e sulla messa in questione dell'es1.stenza di un futuro; la radicale rilettura di un rapporto ch~rici/politici che non conceda nulla alla miscelazione opportunistica del passato (per intenderci, i politici-chierici alla Mao come alla ultimo Berlinguer); e un radicale partire-da-sé in funzione-rapporto con gli altri e "la specie", e non per quella lamentazione narcisistica cui compiacentemente ci siamo abituati a sacrificare. Eccetera eccetera. Sul piano più immediatamente politico, non mi pare molto serio che persone fino a ieri di idee tutte opposte cambino anche stavolta velocemente gabbana per imbonirci le loro quattro pseudo-verità da quotidiano e da "marcia'', per e dentro il potere. E che ci si dica nonviolenti così alla leggera. Forse basterebbe che si cominciasse da uno dei corollari meno ricordati della. nonviolenza, la nonmenzogna, che in politica sarebbe più che una rivoluzione, sarebbe uno sconvolgimento senza precedenti! O che si partisse da un altro corollario ancora, quello della disobbedienza civile e della noncollaborazione rispetto a leggi considerate ingiuste. Ma avranno mai, questi o altri capi-marcia, un coraggio del genere? Il coraggio, in definitiva, di andare controcorrente rispetto agli interessi dei loro elettori e al sistema di complicità di cui sono, essi politici, uno dei prodotti? Forse basterebbe, per guardare un po' oltre, che ci si metta, ciascuno e in più,. a ragionare su come cominciare, a partire da sé e a partire dal mondo, a far meno violenza possibile cas·o per caso, nelle scelte quoti~ diane del singolo e nelle scelte collettive di uri.a comunità. mondo dei diritti dei bianchi, e che speravano quindi in un cambiamento dell'amministrazione coloniale francese. La rivolta•dei tirailleurs, la loro ingenuità e il massacro finale non sono che l'esito inevitabile di un percorso lungo il quale il film non lascia spazio a indulgenze o a falsi sensi di èolpa. Il film di Ousmane e di Faty Sow ha il merito di' uscire da un certo cliché del cinema africano tutto costruito sulle opposizioni città/ campagna, modernità/trad1zione, vecchi/giovani, affront_ando invece, le difficoltà della ricostruzione storica, in cui apche i problemi cruciali del colonialismo e del razzismo vengono visti da un'angolazione inedita. Per esempio, attraverso gli occhi di uno dei protagonisti, il sergente maggiore Diatta, un africano che ha potuto studiare e che ora legge poesia e ascolta musica classica, che è amico di un capitano bianco e per di più, a suggello della sua ricerca di integrazione, ha sposato una donna bianca, scelta che non è stata certo approvata dalla sua famiglia che non dimentica i misfatti compiuti dai bianchi. Proprio Diatta, il più "francese" dei ti-· railleurs, pagherà più di tutti e il suo tragitto di disincanto sarà doloroso ed esemplare. E nella costruzione dei personaggi sta una delle chiavi del film, che, pur nella coralità della vicenda, è capace di mostrare una ricca varietà di tipi umani, nel mondo dei neri come in quello dei bianchi, in grado di rendere conto pienamente delle molte sfumature e dei diversi percorsi, morali ed emotivi, di coloro che di questa triste storia sono stati i protagonisti. Camp de Thiaroye è il lavoro di registi che credono ancora alla funzione civile del cinema, alla sua capacità. di denunciare e muovere le coscienze. Certo, il film è forse eccessivamentedidascalico e a tratti si dilunga inutilmente, forse qualche personaggio è troppo macchiettistico e alcuni momenti lirici risultano estranei al resto del film; ma nonostante questi appunti, resta un'opera assai interessante e compiuta, che centra i suoi obbiettivi, riuscendo a piegare il modello classico dell'universo chiuso del campo di prigionia ai ritmi e ai colori del mondo africano. L'atmosfera farsesca e spensierata dell'inizio scivola progressivamente verso il dram- . ma e la tragedia finale, quando i soldati africani, invece delle loro paghe, ricevono le pallottole di quell'esercito francese nelle cui file erano stati orgogliosi di combattere. 23

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