Linea d'ombra - anno VI - n. 32 - novembre 1988

IL CONTESTO Heidegger e il nazismo innominabile ·. Alfonso Berardinelli Il kitsch della potenza teoretica,, le ragioni del fascino di un ex nazista non pentito su_gliintelle.ttuali italiani già di sinistra. Ci deve pur essere qualcosa negli ex nazisti non pentiti che oggi affascina tanto gli intellettuali di sinistra italiani. Questo qualcosa è lo Stile: la stilizzazione altamente parodistica dell'intelligenza, l'esibizione coerente, sistematica, apatica, senza riflessioni e senza ripensamenti del proprio pensiero come prodotto di un'intelligenza superiore. Il kitsch della potenza teoretica condensata in formule inestricabili e tautologiche. È un fatto che uomini come Ernst Jiinger, Cari Schmitt e Martin Heidegger offrono questo. E sembrano sempr_eun poco (o molto) superiori ai fatti. Non si sono mai pentiti, loro! Non ci hanno mai fornito nessun utile, trasparente resoconto delle loro convinzioni e vicende politiche. Nel '33, il nazismo come "fatto dominante" li ha tremendamente affascinati, attratti e mobilitati. Ma poi, dopo il '45, come "fatto perdente", li ha annoiati ed è parso indegno di considerazioni ulteriori. Provare vergogna era qualcosa che superava nettament~ le possibilità espressive del loro stile. Chi volesse confrontare il grado di lucidità retrospettiva degli ex comunisti e degli ex nazisti, potrebbe leggere uno di seguito all'altro Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler e Ex captivitate salus di Cari Schmitt. È una prova che vale la pena di fare. Nessuno dei due libri è un capolavoro letterario. Ma l'intelligentissimo Schmitt ci fa la figura di un povero furbo molto impegnato a tenere il contegno per non farsi scoprire. Imbroglia, evidentemente. E si mette a recitare perfino la parte dello sconfitto solo perché il regime su cui aveva scommesso non è riuscito a mettersi sotto i piedi l'intero mondo e ha fatto male i suoi calcoli. Grazie ad ex comunisti e scrittori di sinistra come Koestler, Silone, Gide, Orwell e altri sappiamo quasi tutto delle aberrazioni staliniste e rivoluzionarie degli anni trenta. Ma la filosofia del novecento, che ormai è sufficientemente vaccinata contro ~Itotalitarismo comunista, non sembra negli ultimi tempi esserlo altrettanto contro il totalitarismo nazista. Di fatto, quest'ultimo non costituisce problema. È tornato ad essere ciò che sempre è stato: un ingrediente del capitalismo, presente qua e là a piccole dosi, in casi di emergenza, e quindi scarsamente riconoscibile. Ma è piuttosto strano che lo stesso tipo di intellettuali che trovavano plausibile ed emozionante l'affermazione certamente azzardata di Roland Barthes secondo cui "ogni linguaggio è fascista", restino così indifferenti e disarmati di fronte al caso Heidegger e alla connessione (interessante da analizzare) fra il suo Iingua&gio filosofico e la sua adesione al nazismo. E proprio questo l'aspetto che colpisce di più. Dal punto di vista del problema dell'essere, pensato da un filosofo del tipo di Heidegger, l'assassinio; la politica dell'eliminazione fisica, fa guerra come fine ultimo, il genocidio e la sottomis- . sione di altri popoli sono .tutte cose possibili di fatto, non escluse in linea di principio, ma che non possono essere chiamate con il loro nome. Nient'altro che trascurabili epifenomeni, miserevoli accidenti, difficili da percepire per ragioni di incongruità, dismisura o superiorità terminologica. 10 In effetti, il nazismo di Heidegger non è stato molto concreto. Il linguaggio del discorso per l'assunzione del rettorato a Friburgo nel 19~3 è un capolavoro di "doppio gioco" filosofico-politico. I colleghi che lo spinsero ad accettare quel- .la carica dovevano averlo capito: pochi altri sarebbero stati capaci collie lui dì mentire dicendo la verità, di ingannare in piena buona fede. Una vera truffa nei confronti sia degli studenti sia del partito al potere, perché non si capisce mai se chi parla esorta all'essenza della verità o esorta al nazionalsocialismo: "Infatti 'spirito' non è né mero ingegno, né il disinvolto gioco dell'intelligenza, né l'arte di promuovere illimitatamente distinzioni logiche, né la ragione che governa il mondo, ma spirito è decisiope originariamente e consap,evolmente determinata verso l'essenza dell'essere. E il mondo ·spirituale di un popolo non è la sovrastruttura di una cultura, tantomeno l'arsenale in cui vengono di volta in volta conservati conoscenze e valori, che vi entrano e escono continuamente, ma è la potenza che scaturisce dalla più profonda conservazione delle sue forze fatte di terra e di sangue, potenza che provo-. ca la più intima commoziòne e il più ampio sommovimento del suo esserci". (M. Heidegger, L'autoaffermazione dell'università tedesca, Il melangolo, Genova, 1988, p. 23). Mentre Jiinger, Schmitt e Gottfried Benn si rendevano certamente conto (e si capisce dai loro scritti) di quello che stava accadendo in Germania, con Heidegger la questione è sempre più "profonda" e sfuggente. Nel suo linguaggio si possono far capire infinite cose, non dicendone mai precisamente nessuna (e Io dimostra la varietà multicolore degli esiti che l'heideggerismo ha avuto nei suoi numerosi seguaci). In quel linguaggio, non si aapisce più la di-fferenza fra leggere un libro e sparare contro qualcuno, fra uri progetto di ricerca e una dichiarazione di guerra. Rispetto alla propaganda e alla pubblicità, siamo senza dubbio al polo opposto. Ripetitività ipnotica e vuotaggine, però, sono curiosamente analoghe. La controversia che ultimamente si è riaperta dopo la pubblicazione del libro di Victor Farias (Heidegger e il nazismo, Bollati Boringhiéri 1988} e dopo le polemiche di Habermas, potrà anche durare a lungo. Dubito fortemente, però, che almeno in Italia si possa arrivare a un vero chiarimento. Buona parte dei filosofi italiani che hanno oggi fra i quaranta e i cinquant'anni sono più o meho heideggeriani e scrivono su giornali più o meno comunisti e democratièi. Nonostante questo, sembrano vergognarsi di essere considerati culturalmente dei comunisti o dei semplici democratici, e non desiderano altro che di poter mostrare uno stile superiore, che non teme le idee di destra, e anzi le preferisce, senza peraltro tenere conto del legame che le idee di destra possono avere o hanno avuto con una politica di destra. Destra e Sinistra: metafore consunte. E le idee, in politica, contano così poco, tanto a destra che a sinistra. (Per gentile concessione di "Paragone")

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