IL CONTESTO Mauro Rostagno Goffredo Fofi Una vita "esagerata" e una morte esemplare Quasi ogni volta che ho avuto modo di parlare con Mauro Rostagno, ci ho litigato. Affettuosamente, ma anche calorosamente. Con lui si poteva; non era come con altri leader del gruppo cui ero vicino, con alcuni dei quali ero stato in passato, prima del '68, magari più amico. Con quelli bisognava tenersi sulla difensiva, sempre. Erano "i politici", per definizione; e la loro abilità, il loro sentirsi e darsi per capi, anche il fascino che, da questo, e per molti solo da questo, derivava, dal ruolo che si erano assunti, mi sembravano "pericolosi". Non amavano, questo è certo, la critica. E certo non sapevano metterti a tuo agio, se non per qualche loro scopo. Con Mauro, e con pochi altri, era diverso. Mauro era venuto a cercarmi, non so più perché, al Centro· Gobetti dove lavoravo di pomeriggio, a Torino, nel 1963 o forse già . nell'euforico '62. Per parlarmi male di Panzieri e dei Quaderni Rossi'. Era figlio di operai, aveva fatto l'operaio (e forse ancora Io faceva, non ricordo) ed era dèl tipo "sindacalista tozzo", rude classe operaia contro gli intellettuali che in fabbrica non lavoravano, e quindi che ne potevano sapere e dire? Fu la prima lite. Ma poi qualche tempo dopo Io rivedo su un treno, e della lite si ride. Nel '68 era diventato un Ieaderino anche lui, a Trento, e gli scrissi per chiedergli un pezzo per i "Piacentini". Mi rispose rifiutandolo: eravamo troppo intellettuali (ancora!) e Io fece per "Problemi del socialismo". A Trento, dove mi avvenne di andare, miriconobbi piuttosto in Peter Schneider che non in lui o Curcio - ala apparentemente più "libertaria", nella sostanza molto più "partitica". Dalle memorie e dai necrologi dei suoi amici, molti più intimi di me, appare a volte un Mauro di quegli anni più libero di quanto io non ricordi, perché se è vero. che Mauro seppe mantenere sempre una sua Ticonosciuta diversità dentro quella dirigenza, pure ne ~ccettò a lungo le regole e, diciamo, i conformismi. Anche ideologici. Ma Mauro era, vivaddio, un individualista vero, e seppe rimanerlo anche quando la moda era quella del militante innamorato del leader e della Organizzazione, autofustigantesi e santificantesi - di quelli così efficacemente descritti da Reich pronti a rispuntare spesso e volentieri nella storia della sinistra come della destra (oggi per esempio dilaganti in CL). Dell'individualismo ebbe i pregi e i limiti; ma alla lunga - Io abbiamo visto dalla sua morte, che è di quelle morti che illuminano a ritroso un cammino e in qualche modo Io liberano dalle sue scorie e dalle sue transitorie, contingenti contraddizioni - il conto è risultato massimamente all'attivo. La sua faticata libertà ha attraversato più fasi (mai quella dell'autofustigazione) e in essa non so se il periodo di LC sia stato poi il principale, incastrato tra un '68 molto dinamico e un "dopo" non meno delicato di quello dei coetanei, ma certamente più coraggioso e più "estremo": Macondo invece del terrorismo, Io spino invece del farsi, gli arancioni invece del pensiero debole e del "particulare", Trapani invece del giornalismo (o del PSI). Su ognuna di queste fasi - meno l'ultima, la Sicilia era lontana! - Io scontro riappariva. La lite più bella: in un bar di piazza San Cosimato a Roma, per aggredire, io, la figura del militante di ferro e difenderla lui; ma poi, seppi, dette su quel tema battaglia "nell'organizzazione". L'uliima: in una fermata di metrò di Milano, lui vestito all'indiana, e io, sprezzante e coglione: "sottocultura!". Quella volta ci si lasciò un po' male, ma poi Io rividi qualche giorno dopo in Galleria, e ci mettemmo ancora una volta a. ridere, già al sogguardarci da lontano, e ci abbracciammo. No, non ho avuto un gran rapporto con Mauro; Io seguivo a distanza (molti suoi amici, molte sue frequentazioni, ho continuato a non amarli), trovandomi spesso a pensare che ("troppa grazi;:i!") Mauro restava sempre "un esagerato". Anche la sua morte è "esagerata": il risultato di una sorta di strada obbligata in cui si era incamminato forse senza rendersi del tutto conto di cosa comportasse, perché in Italia è sempre molto facile fare (come si fa in pochi con convinzione e in tanti per opportunità di schieramento) i denunciatori di questo o di quello - rimanendo bensì sul piano del generico, "senzà far nomi" o facendo nomi che sono più simboli che nomi, di gente che accetta di buon grado la critica che non Ii tocca immediatamente nell'interesse. Ma non appena "si fanno nomi" in situazioni molto esatte, maggiori e minori, e le si documenta, si ledono gli interessi economici di qualcuno e quel qualcuno reagisce e come! Ha impressionato molto leggere, su "L'Espresso" /quella lettera di Mauro' a Curcio in cui diceva del suo lavoro come di una cosa in cui era ormai trascinato. La conseguenza di una scelta inizialmente forse non così chiara, un seguito di concatenazioni successive derivanti da un primo passo, dapprima quasi inavvertito, ma gravido di conseguenze, sulla via di una verità non estetica e rassicurante, di un impegno non cartaceo, e soprattutto di una collocazione e di un'alternativa molto concreta. Foto di Luigi Baldelli/Contrasto. 9
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