ILCONTESTO grediva la politicizzazione e la divisione in g~uppi del m_ovimento. Ma il tentativo c'è stato e in questo, e 1~conc~us10ne del Saggio, è "il lascito più duraturo" del '68, 11m6v1mento che ha intuito il nuovo stato delle cose e h~ provato_ a cambiarlo nonostante sia stato il movimento d1mass~,?1 c~l~ro che come ha scritto Hans Jiirgen Krahl, avevano 11pnv1legio 'di studiare". O forse proprio per questo. I ragazzi sulla strada Il privilegio di studiare è ?~gi :o~ce_sso a quasi tutti, nel nostro angolo di mondo, pnv1leg1at1ss1mo. Allora non era così vent'anni fa erano ancora molti gli esclusi. Eppure il sens~ della rivolta, della ricerca di forme e valori nuovi della vita e dell'esperienza,-era diffuso in tutte le generazioni più giovani, coetanee di "quelli del '68", anche se escluse dalla scuola e prive di strumenti culturali e di consapevolezza raffinati. I ragazzi sui tetti di Margherçi, narrati da Del Carria, cioè io e i miei amici, una volta scesi non sapevamo bene che fare, sulla strada (che pure era, per così dire, la nostra isola di Arturo). Cosa I?Otevaessere per noi il '68? Porto Marghera è un luogo chiave, perfino mitico, di quella stagione, sul versante operaio. Immersi, però, non certo nella "ideologia della terra" di Krahl, ma senz'altro, e come perduti, in un vuoto d'irrequietezza, seguivamo piuttosto un istinto, non decifrabile con i poveri strumenti della nostra precaria scolarizzazione e della nostra identità sociale sradicata (avevamo alle spalle famiglie migranti, e genitori o fratelli che avevano dovuto improvvisarsi una nuova storia). Certo, intuivamo, sapevamo con certezza, qual era la nostra parte, e non solo nella facile scelta tra operai e celerini. Il '68, e il prima, e il dopo, erano gli operai con le barbe lunghe, coi cappottacci, o in canottiera sulle barricate, nei lunghi scioperÌ e nei cortei della Chatillon, della Scac, del Petrolchimico. Spesso, erano operai cattolici, cislini, perfino democristiani di una risolutezza e durezza politica e di classe inaudite, parenti stretti degli operai "bianchi'; che a Valdagno, nell'aprile del '68, rovesciarono la statua del conte Marzotto, in uno dei gesti più simbolici di quell'anno. Non ci voleva molto a capire perché si ribellavano e perché era giusto salire sui tetti e dietro le barricate al loro fianco. Da bambino, quando vivevamo in due famiglie e mezza nelle quattro stanze di casa mia, avevo visto morire in una luriga e straziante agonia mio zio, soffocato da una malattia polmonare guadagnata in fabbrica. Qualcosa di simile era successa a quasi tutti i miei amici, e anche di peggio. Li sfruttano, li ammazzano, e adesso li licenziano, pensavamo più o meno nell'estate' delle barric.ate. E mandano i celerini in tenuta da guerra. Come non tirare quelle pietre, quelle molotov? Come non accogliere fra noi, su quelle strade, i giovanotti dal parlare fluente e dalle idee chiare - gli studenti? La nostra idea della rivolta, ~ella protesta, somigliava molto a quello che accadeva in un fumetto fra noi "mitico" in quegli anni, un'avventura di Tex Willer intitolata Sangue navajo. È la storià della guerra dichiarata da Tex ai bianchi, nella sua veste di capo dei Navajos col nome di Aquila della Notte, in seguito all'uccisione impunita di alcuni giovarti della sua tribù da parte di un gruppo di bianchi violenti e ben protetti dalle autorità. Tex non uccide nessuno e tuttavia la guerriglia condotta dai suoi Navajos è tremendamente efficace e sbaraglia le truppe inviategli contro fino a costringere le autorità politiche a fare giustizia degli assassini. Ci piaceva, questa guerra vera, combattuta, ma in cui non muore nessuno, si fanno solo dei feriti, dei prigionieri, e la giustizia, sia pure menando un po' le 8 mani, infine prevale. Con questo spirito stavamo nella rivolta, lo stesso che animava le nostre scorribande nei "quartie- . ri alti" o le vendette contro la scuola (intesa come edificio e come insegnanti). Era tutto molto grezzo, elementare, prepolitico. Ma era ànche su questo magma che si muoveva il '68 italiano. Era anche a suo nome che diceva di voler parlare. È un peccato che di esso non vi sia. traccia nelle celebrazioni di quest'anno, e neppure, se non di striscio, nei libri qui citati, per altri aspetti invece molto completi. Dov'è andato quel '68 incosciente di sé, senza "privilegi", mai vincente? Molti, di quei ragazzi sui tetti, hanno continuato a combattere lungo vite di lavori difficili, di impossibili integrazioni; orgogliosi, poco ciarlieri ma spesso allegri, hanno in molti preferito la sfida alle regole e alle leggi. Non s_onodiventati terroristi. Non erano, infatti, dei politicanti verbosi e violenti, capaci di ciarlare per mesi attorno a risoluzioni strategiche e poi di scendere in strada a sparare alle spalle a qualcuno. Erano in~ece dei duri autentici e nella loro durezza s'irrigidiva e assumeva consistenza e durata il disagio, il dolore, la protesta, lo sberleffo di una classe e di una generazione. Hanno agito al di fuori, di lato, della coscienza e della politica. Hanno fatto parlare di sé soltanto nelle cronache nere. Non so nemmeno bene perché, parlando di quegli anni, mi è venuto spontaneo di pensare soprattutto a loro. Con alcuni, siamo perfino acerrimi nemici, ora, sul fronte della lotta alla droga (ma altri, dei più duri fra tutti, autentici guerrieri navajos, combattono sul fronte giusto e in ciò io vedo . il legame con quelle remote barricate, e rivedo i loro volti bambini, non ancora così induriti). Credo di aver ripensato a loro cercando di ricordare gli innumerevoli nomi e volti di altri coetanei, mare e magma sui quali la navicella del '68 .ha navigato. Ma non li ho trovati, si sono dissolti nel tempo, nelle sconfitte, nelle rassegnazioni, nella dissoluzione del paesaggio industriale e della classe, nelle briciole del benessere e del privilegio finalmente concessi. Non verrà, da questi "privilegi", un altro '68, anche se un disagio cova, forse più smisurato e temibile che mai. Non è stata innocente la guerra di chi si è indurito - ci sono stati morti e rotture e guasti irreparabili, non è andata come nei fumetti di Tex. Ma non è stata innocente nemmeno la vita di chi si è subito rassegnato, e sono stati i più, scolarizzati o meno, leader politici e intellettuali di un attimo e ignoti studenti di sempre, ignoti ragazzi fattisi adulti nell'Italia di questi vent'anni. Se adesso ci ricordiamo quasi solo di chi ha lasciato un segno, politico o prepolitico, raffinato o irrazionale, dialettico e articolato o inconsapevole e ruvido, duro, è anche perché la gran folla si è ritratta, si è lasciata scacciare e schiacciare negli angoli. A volte con un senso di sconfitta amaro, ma spesso con sollievo e complicità. Fuori della terra Navajo, nelle città dei bianchi, e senza nemmeno più chiedere· giustizia per il sangue disperso. Autunno In questi primi giorni d'autunno abbiamo saputo di Mauro Rostagno. Parlando del movimento del '68 e dei protagonisti e leader, nel suo Saggio Ortoleva cita una frase di Bob Dylan: ''Chi non è impegnato a rinascere è impegnato a morire". Non è sempre vero. È anzi meno vero, qui, nell'Italia odierna, dove a vivere, magari a vivacchiare con viltà e confort, sempre di più, sembra adatto soltanto chi si impegna a diventare uno zombi.
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