NOVEMBRE 1988 - NUMERO 32 LIRf 6.000 I mensile di storie, immagini, discussioni BONNOEFPER/C~EMENTE R BORA : RIFLbSIONÌDIUNOSCIENZIATO SULLAPRODUZIONE DIANIME • GLIAMARIVENT'ANNIDEL'68 NOBEL'88) ■ ILPADREDITANTI O/G LFO/RACIYMOW: STORIEDICOPPIA
StoriadiRoma direttadaArnaldoMomigliano eAldoSchiavone Una nuova grande opera che nasce da una collaudata esperienza storiografica. Roma e la sua presenza nel mondo antico, le culture, le idee, la politica, i contesti materiali e sociali, i personaggi di un millennio. Quattro volumi in sei tomi. In libreria il primo volume: Roma in Italia pp. xw-628 con 47 illustrazioni nel testo e 64 tavole fuori testo, L. 85 ooo LaColonnTaraiana AcuradiSalvatoreSettis. SaggidiS.Settis,A. LaRegina, G.Agosti,V. Farinello Per la prima volta fotografata interamente sugli originali e con un approfondito apparato storico-critico. «Il piu bel libro della Fiera di Francorfote di quest'anno» (Ulrich Weichsler, direttore dell'Ente Fiera). «Saggi», pp. x1x-597 con 288 fotografie a colori di Eugenio Monti e 92 illustrazioni nel testo, 1. I IO 000 G.B.Armenini De'veriprecetti dellapittura Un trattato cinquecentesco sulla pittura che è anche una testimonianza diretta su un'epoca e su un mondo, da mettere accanto alle opere di Vasari e di Bellori. Edizione a cura di Marina Gorreri. Prefazione di Enrico Castelnuovo. «I millenni», pp. LXVI-292con 65 tavole fuori testo, L. 55 ooo · W. LeasHt eat-Moon Stradeblu Un «pellerossa» sulle strade di un'America «minore». Un romanzo di incontri imprevedibili, un Easy Rider degli anni '80. Traduzione di Igor Legati. «Supercoralli », pp. 509 con 23 fotografie nel testo, L. 35 ooo Einaudi L.-FC. éline Normance Parigi in guerra nella lanterna magica di un delirio narrativo. L'ultimo Céline che ancora mancava in Italia tradotto da Giuseppe Guglielmi. «Supercoralli», pp. vn-269, L. 26 ooo SalvatoreMannuzzu Procedura Nei mesi del sequestro Moro, un giudice affronta in solitudine un caso giudiziario e l'indifferenza del suo ambiente. Un nuovo narratore presentato da Natalia Ginzburg. «Nuovi Coralli», pp. 2r 6, L. 14 ooo WilliamGerhardie Futilità Una Russia febbrile e fatiscente, un seduttore nei guai, una serie di contrattempi tra il balletto e il melodramma. Un romanzo inglese degli anni' 20 di raro divertimento. Traduzione di Gianni Celati. « Supercoralli », pp. 223, L. 22 ooo CarloDossi L' Altrieri VitadiAlbertoPisani Riuniti in un solo volume a cura di Dante Isella, questi due testi autobiografici ci invitano alla riscoperta di un grande «eccentrico» dell'Ottocento italiano. «Gli struzzi», pp. xx1v-294, L. 16 ooo Poetilatini delladecadenza Dall'imperatore Adrìano a Draconzio, l'esaurirsi della classicità sospinge la poesia verso una sperimentazione« moderna». A cura di Carlo Carena. «Col1ezione di poesia», pp. xvn-179, L. 12 ooo W. Schivelbusch Storiadeiviaggi inferrovia La storia di un'invenzione e dei cambiamenti che ha prodotto nella vita quotidiana, nella mentalità, nella cultura. Traduzione di Consolina Vigliero. «Saggi», pp. x1-218 con 26 tavole fuori testo, L. 28 000 O.H.K.SP,ate StoriadelPacifico Mercantei bucanieri Il Pacifico nel Sei e Settecento: dal declino della potenza spagnola ali' avvento degli olandesi e dei rùssi, e agli assalti inglesi. A cura di Gianluigi Mainardi. «Biblioteca di cultura storica», pp. xxv-483 con 28 illustrazioni nel testo e r r tavole fuori testo, L. 60 000 PininCarpi C'ègattoegatto Poesie e storie per i bambini (e i grandi) che vogliono bene ai gatti. « Libri per ragazzi», pp. r 4 r con 48 illustrazioni a colori nel testo, L. r 8 ooo
Novità PIRONTI A OTTOBREIN ·LIBRERIA Jean-Noel Schifano LA DANZA DEGLI ARDENT_I Napoli e Masanielllo, protagonisti di questo romanzo, ci vengono descritti in modo affascinante da un autore per il quale la finzione non può far altro che evocare lo spettacolo segreto della Storia. Bret Easton Ellis LEREGOLEDELL'ATTRAZIONE Dopo il grande successo di Meno di zero Ellisritorna con Le regole · dell'attrazione, che rappresenta un sorprendente distacco dal suo primo romanzo. . -LUIGIIN(OROnaTO SCdLd 4 SdnPOTITO IUI I IO /'/Ri)N fl f /llf(l/lJ Luigi Incoronato SCALA A SAN POTITO Pubblicata negli anni Cinquanta da Mondadori, la riproposta dell'opera mira a far ricordare uh grande scrittore che, dopo il suo tragico suicidio, è stato quasi dimenticato. Jean De Berg L'IMMAGINE " ... Una caratteristica importante di Historie d'oeil, e in misura minore di L'image, considerate come opere d'arte, è il tentativo evidente di trovare finali più sistematici o rigorosi pur restando entro i limiti dell'immaginazione pornografica ..." ('Susan Sontag, Interpretazioni tendenziose, Saggi Einaudi) Alain Borer Rimbaud in Abissinia ruwo PIRONT/ f Dlf()R/ Alain Borer RIMBAUD IN ABISSINIA Si può leggere "Rimbaud in Abissinia" come un racconto di un viaggio o come un romanzo filosofico; lo si può leggere anche come un saggio che cerchi di esàurire la questione o molto semplicemente come un poema dei nostri giorni. James Robert Baker SOGNI INIETTATI DI BENZINA Un romanzo mozzafiato e pieno di vita. È una storia d'amore e, contemporaneamente, una denuncia della celebrità, una commedia dall'umorismo nero, un giallo e un omaggio all'amore adolescente, ambientato nel mondo sfrenato e surreale del rock di Los Angeles.
Edizionie/o NOVITÀAUTUNNO1988 Kazimierz Brandys Variazionipostali Il romanzo di duecento anni di storia di una famiglia. Di padre in figlio si raccontano le loro vite straordinarie. Un altro capolavoro dell'autore di Rondò. pp. 216, L. -20.000 Leo Perutz Di nottesotto il pontedi pietra Magia e alchimia nella Praga di Rodolfo II e di Rabbi Low, il creatore del Golem. Il romanzo più praghese di un autore la cui opera è stata definita il "risultato di un faux pas di Agatha Christie con Franz Kafka''. pp. 224, L. 24.000 Gu Hua Lamortedelre dei serpenti Storie di incantatori di serpenti e guaritori tradizionali •in una Cina antica in cui irrompe la Rivoluzione culturale. L'esordio italiano di uno dei più interessanti autori cinesi contemporanei. pp. 136, L. 18.000 Nathanael West SignorinaCuorinfranti Un classico ormai, un cult-book negli Stati Uniti. Le disavventure di un ·cronista alle prese con una rubrica di cuori solitari. Presentazione di Goffredo Fofi. pp. 124, L. 18.000 Julian Stryjkowski TommasodelCavaliere L'amore tragico e non ricambiato di Michelangelo per un giovane artista nella splendida e crudele Roma del Rinascimento. pp. 11~, L. 15.000 Jerome Charyn Metròpolis Le tante storie dei personaggi più straordinari di New York raccontate da un giovane e originale scrittore american·o. "Se amate le città e se amate New York non esitate, leggete questo libro'' (New York Times). pp. 2,56, L. 24.000 Peter Schneider Papà Il figlio del criminale nazista Mengele insegue il padre fino al drammatico confronto. Un romanzo che ha suscitato roventi polemiche in 'Germania. pp. 100, L. 14.000 RISTAMPEE SUCCESSI I. Orkeny Novelle da un minuto, L. 18.000 T. Pynchon Un lento apprendistato, L. 20.000 V. Makanin Un posto al sole, L. 18.000 F. Iskander Il tè e 1.'amoreper il mare, L. 16.000 B. Hrabal Ho servito il re d'Inghilterra, L. 22.000 C. Wolf· Cassaµdra, L. 18.000 C. Hein L'amicoestraneo, L. 16.000 K. Brandys Rondò, L. 22.000 Ai lettori di "Linea d'ombra" offriamouno scontospecialedel 200/osu questenovità e sugli altri nostri libri fino a Natale {per un acquistodi almeno50.000 lire complessive). E in più, vi manderemoun nostro libro in omaggio.Auguri. Edizioni e/o - Via Camozzi 1 - 00195 Roma - Tel. 06/352829 ,
Direi/ore Goffredo Fofi Direzione editoria/e Lia Sacerdote Gruppo redazionale Adelina Aletti, Giancarlo Ascari, Mario Barenghi, Alessandro .Bariccq, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli, Paolo Bertinetti, Gianfranco Bettin, Franco Brioschi, Marisa Caramella, Cesare Cases, Grazia Cherchi, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino .Corrias, Vincenzo Consolo, Alberto Cristofori, Stefano De Matteis, Riccardo Duranti, Bruno Falcetto, Fabio Gambaro, Piergiorgio Giacché, Aurelio Grimaldi, Giovanni Jervis, Filippo La Porta, Gad Lerner, Marco Lombardo Radice, Marcello Lorrai, Maria Maderna, Luigi Manconi, Danilo Manera, Edoarda Masi, Santina Mobiglia, Maria Nadotti, Antonello Negr.i, Cesare Pianciola, Gianandrea Piccioli, Bruno Pischeddà, Giuseppe Pontremoli, Fabrizia Ramondino, Alessandra Riccio, Roberto Rossi, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Paola Splendore, Gianni TÙrchetta, Emanuele Vinassa de Regny, Gianni Volpi, Egi Volterrani. Progello Grafico Andrea Rauch/Graphiti· Ricerche iconografiche Carla Rabuffetti Relazioni pubbliche Vliriam Corradi Esteri Regina Hayon Cohen Amministrazione Emanuela Re Hanno inoltre collàborato a questo numero: Enrico Alleva, Franco Cavallone, Giorgio Ferrari, Barbara Galla, Cesare Garboli, Giovanni Giovannetti, Bruno Mari, Roberta. Mazzanti, Erika Mazzotti, Paolo Mereghetti, Grazia Neri, Alberto Re, Fabio Rodriguez, Vanni Scheiwiller, il Goethe lnstitut di Milano, gli uffici stampa delle case editrici Garzanti, Giunti e Paoline, le librerie Feltrinelli di via Manzoni e Popolare di via Tadino 18 a Milano. Editore Linea d'Ombra Edizioni srl Via Gaffùrio, 4 - 20124-Milano Te!. 02/6690931-6691132 Fotocomposizione e montaggi multiCOMPOS snc Distribuzione nelle edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N .. Via Famagosta, 75 - Milano Tel. 02/8467545-8464950 Distribuzione nelle librerie PDE - :VialeManfredo Fanti, 9·1 50137 Firenze - Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini, 6 Bucèinasco (Ml) - Tel. 02/4473146 LINEA D'OMBRA mensile di storie, immagini, discussioni Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393 Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo 111/70% ·Numero 32 - Lire 6.000 Abbonamenti Abbonamento annuale: 1T ALIA: L. 50.000 da versare a mezzo assegno bancario o c/c postale n. 54140207 intestato a Linea d'Ombra ESTERO: L. 70.000 I manoscritti non vengono restituiti Si risponde a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. LINEDA'OMBRA anno VI n.ovembre 1988 numero 32 IL CONTESTO - 5 10 19 21 Gianfranco Bettin Alfonso Berardinelli Marcello· Flores Goffredo Fofi Sangue navajo. Gli amari vent'anni del '68 Heidegger e il nazismo innominabile Al tempo di Stalin Marce Longhe RUBRICHE: Memoria (G. Fofi su Mauro Rostagno a pag. 9; R. Duranti su Raymond Carver a pag. 16), Mercato (0. Pivetta dalla Fiera di Francoforte a pag. 11), In margine (G. Cherchi a pag. 13), Cinema (M. Lorrai su Bird a pag. 17; F. Gambaro su Sembène Ousmane a pag. 23), Musica (A. Baricco sul Simon Boccanegra a Firenze a pag. 26), Confronti (P. Splendore su McEwan, Amis, D. Lessing a pag. 14; G. De Santi sull'ultimo Genet a pag. 24; F. Ferrari sullo Strindberg di Enquist a pag. 25; B. Falcetto su J.G. Ballard a pag. 27; G. Turchetta su F. Lucentini a pag. 28; B. Pischedda su R. Loy a pag. 30), Promemoria_ (a pag. 31). STORIE 45 52 54 Marvel Moreno Elvio E. Gandolfo Henri Raczymow Barlovento Il buio sotto il tavolo La scena inca INCONTRI 39 Naghib Mahf uz Il padre di tanti a cura di Sa!wa al Neimi NARRARELASCIENZA . 32 Erwin Chargaff Un diario e un monologo sulla produzione di anime SAGGI . . · 58 64 68 79 Giancarlo Gaeta Gian Luca Potestà Paolo Giovannetti Sotto l'imperio della forza. Simone Weil, i Greci, la guerra seguito da: S. Weil, L'Iliade, il poema della forza. Nella vita del mondo. Su una nuova edizione di Resistenza e resa di Bonhoeffer seguito da brani del libro Non sublimare mai. Il punto su Rebora seguito da: C. Rebora, Poesie Gli autori di questo numero La copertina di questo numero è di Margherita Be/ardetti.
ILCONTESTO Cari lettori, pochi mesi fa, cercando di documentarci sulla letteratura araba contemporanea, scoprimmo (in francese) Naghib Mahfuz e ce ne innamorammo, comprando subito un 'intervista apparsa ne/frattempo sul "Magazine littéraire". Di essa sono usciti brani su due giornali, in occasione del Nobel a Mahfuz, ma riteniamo utile darla lo stesso per intero, mentre rinviamo a un numero futuro alcuni racconti di Mahfuz ancora in traduzione. La "parte" di questo numero che ci ha coinvolti di più è la presentazione di alcuni "maestri", ancora non amati e· letti in Italia quanto si dovrebbe: Simone Weil, Dietrich Bonhoeffer, Clemente Rebora. Su Bonhoeffer torneremo, sperando di poter pubblicare suoi testi inediti in Italia, e di poter intervenire ancora su Karl Barth e su Hellmut Gollwitzer. ·È forse in certi teologi (convinti o no della "morte di Dio") che si può trovare oggi una riflessione utile sul presente, molto più che negli scritti dei filosofi e sociologi detti laici. Il prossimo numero, quello di dicembre, sarà "speciale", pieno di cose importanti: un dibattito tra Adorno e Gehlen, una lunga intervista con Miche/ Leiris, testtinediti di Céline, di Virginia Woolf, di Juan Ru/fo, alcune poesie bellissime di Ted Hughes, alcuni insoliti racconti "natalizi", ecc. E, riscoperta preziosa, le vignette del Professor Pi, ilpiù surreale e moderno dei cartoons ... Allegata al numero, ci sarà una preziosa p/aquette in cui proponiamo alcuni testi di Elsa Morante mai raccolti in volume, con alcune bellissime foto e con la riproduzione dei quadri di Bill Morrow, il giovane pittore americano che, prima della sua tragica scomparsa, fu amico e compagno della Morante. A gennaio, si partirà con gli opuscoli, le nostre "Aperture "._In vendita nelle librerie o, a condizioni speciali, in abbonamento cumulativo con la rivista. I primi titoli? Anders sulla.guerra, Berardinelli sulla cultura italiana contemporanea, e una recente serratissima discussione tra alcuni famosi intellettuali su Scrittori e politica, rigorosamente inedita in Italia. Non vi diciamo i nomi, li saprete a dicembre. Intanto: abbonatevi efçte abbonare i vostri amici. Nessun lettore esigente avrà, credo, a pentirsene. 4 Stretta di mana; Barcaiola nella tempesta e Polemica: tre disegni di Nicola Manzoni.
ILCONTUTO . Sangue Navaio: gli amari 20 anni del '68 Gianfranco Bettin Ci eravamo detti un anno fa che avremmo taciuto, che avremmo lasciato celebrare agli oggi ricchi e/o famosi. Ma poi un'attualità scottante ci ha costretti a intervenire. . E qualche buon libro ci ha soccorso, come quello di Peppino Ortoleva. I ragazzi sui tetti . Qualche volta, per ridere o per fare i "vissuti" con quelli più giovani, io e i miei amici leggiamo a voce alta, col tono in cui Ungaretti declamava in tivù l'Odissea, una p~gina del vecchio Del Carria di Proletari senza rivoluzione, ultimo volume (pagg. 161-163), dedicata a un episodio importante della stagione operaia e studentesca apertasi nel '68: la rivolta operaia di Porto Marghera (dove noi viviamo) dei primi di agosto del 1970, ancora in piena "onda lunga" dell'autunno caldo. "Il 2 agosto 1970 si ha una delle più grosse battaglie del bierinio operaio"; scrive Del Carria, che racconta lo sciopero, "il blocco dello stradone di tre chilometri" antistante le fabbriche da parte "dell'avanzato proletariato dell'entroterra industriale veneto". Descrive poi l'intervento della Polizia, malcapitata poiché si trova subito accerchiata: "alle spalle è il Petrolchimico, davanti un blocco stradale fatto dai proletari con la massa degli operai .scioperanti, a destra le stradine con le piccole case operaie e a sinistra le fabbriche meccaniche tutte recintate. (Noi, qui leggendo, sottolineiamo certe imprecisioni dello storico). Cinquemila poliziotti (Bum! gridiamo) iniziano un fuoco denso di granate lacrimogene e tossiche sulle migliaia di operai. Questi rispondono, per tenere lontano i poliziotti, con una dura sassaiola e con l'incendio di copertoni piazzati davanti al blocco stradale (È vero, questo). Insieme all'incendio dei copertoni gli operai lanciano bottiglie molotov (almeno un migliaio, sostiene Del Carria citando un cronista di "Potere Operaio")." Il racconto "storico" prosegue, con i fatti da noi risaputi, la sparatoria, l'operaio colpito, il poliziotto preso prigionie-. ro, le ore e ore di scontri, la mezza vittoria conquistata sulla strada in mano "delle masse" - "tutte le strade del quartiere vengono completamente bloccate, mentre le donne aiutano a far le barricate e i ragazzi, dai tetti, danno notizie sugli spostamenti della polizia". Facevamo di più, in realtà, almeno i più grandi, ma comunque a questo passaggio il tono della lettura si fa epico, e il coro dei commenti solenne e fiero come quello del Va' pensiero. C'eravamo, quell'episodio fa parte integrante e fondamentale della nostra formazione politica e personale, e anche se lo deridiamo nella sua versione nai:f e vetero-trionfalista; 'vi siamo in fondo affezionati come a·uno dei momenti migliori, e da non tradire, della nostra vita. Ci mancherebbe! Per una volta almeno, "i padroni hanno ceduto sulle richieste operaie! Le fiamme alte" cinquanta metri e le colonne di fumo per centinaia di metri annunciano a metà Veneto, prima dei giornali, che gli operai di Porto Marghera hanno vinto!" (Del Carria, cit., p. 163). C'è stato un momento, all'inizio di quest'anno, in cui è sembrato che il '68 - o meglio il sessantotto inteso come lunga stagione della nostra storia recente - fosse ormai stato digerito e metabolizzato da una società e da un'opinione pubblica che lo avevano a lungo mal sopportato e visto con diffidenza, soffrendone la dirompenza, la radicalità, l'imprevedibilità. È accaduto all'aprirsi delle cerimonie per il "ventennale''. C'era, sì, sempre Montanelli a mugugnare, e c'era Andreotti ad avanzare dei "distinguo", e anche Crc>.xai ribadire - ma con più forza l'ha fatto De Michelis - che in fondo il '68 è stato una gran perdita di tempo, che bisognava già allora entusiasmarsi invece per il Riformismo.: In definitiva, però, erano tutti propensi a concedere che "quei giovanì" erano pieni di entusiasmo ed esprimevano una grande ansia di "modernizzazione". Poi è venuta l'estate e le celebrazioni festose, di maniera, disincantate, come pure le mere, entusiaste o nostalgiche rivisitazioni si sono rivelate inadeguate. È venuto il "caso So- · fri", o "Sofri-Calabresi.", prima, a rammentare che l'innocenza, l'ingenuità, sono durate poco, sono divenute presto impossibili in quel contesto in cui il movimento si muoveva. Contesto politico, di trame e poteri, ma anche di linguaggi, di simboli interni al movimento e alla tradizione politica e ideale in cui, molto presto e anche contraddicendo certe proprie fonti, si è riconosciuto. Alla radice del caso Calabresi c'è piazza Fontana, la "strage impensabile", cioè l'orrore, il cuore di tenebra della politica italiana di questi vent'anni. Il 12 dicembre '69 ha rivelato quanto duro fosse il gioco (la Grecia prima e il Cile poi lo hanno confermato su scala sovranazionale). In. quel clima, la propria morte o la violenza o addirittura l'uccisione dei nemici divennero per molti militanti uno dei possibili orizzonti, o dellé possibili derive, dello scontro politico. Si scopriva di poter morire, e di poter trovare qualche ragione per uccidere, per giustizia o vendetta. L'orrore di piazza Fontana, replicato sui treni e su altre piazze, la pervicacia unilaterale della repressione, la percezione bruciante delle vecchie e nuove ingiustizie (e di quelle direttamente sperimentate) entravano in corto circuito con una predisposizione militante e, per così dire, battagliera, ereditata in particolare dall'esperienza storica della sinistra e del movimento operaio e comunista. Ne risultavano emarginate, così, altre radici, che pure avevano favorito il fiorire del movimento, come la nonviolenta, quella anarco-libertaria, la còntroculturale (il "movimento di strada") e più in generale l'anima antiautoritaria, mentre ogni accenno di nuova "teoria critica" e ogni pratica o elaborazione relativa alla lunga marcia necessaria __: dentro o fuori le istituzioni - a conquistare nuovi livelli di potere, di consapevolezza, di liberazione si rinsecchivano e irrigidivano nel ritorno alla vecchia- prassi leninista e alla sua vulgata. Su questa via, anche il legame con l'esperienza diretta dei singoli e del movimento nel suo insieme, il suo stesso "mandato" sociale, si facevano meno vivi e motivati. Vent'anni dopo, l'esigenza di rifare questa storia si intreccia al bisogno di riscoprirne le fonti e le ragioni vere, contro deformazioni e falsificazioni operate spesso nei tribunali o dalle tribune dei "media", ma anche contro la fuga dal ripensamento vero, contro la riduzione della cultura e· dell'esperienza del '68 a strumento delle attuali forme di con5
IL CONTESTO Maggio '68 a Parigi (foto Reporters Associés, da Foto Reporter sehen die Welt, Verlag Th. Martens & Co. 1969). trollo sociale. L'inopinato ritorno dell'affare Calabresi ha reso fosca l'estate del ventennale, e ha fatto sentire più viva quell'esig·enza. Tra le (finora) poche risposte di livello e tono adeguati è giunto tempestivamente il libro di Peppino Ortoleva, Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America (Editori Riuniti, p. 304, lire 24.000), che riconnette i.fatti (anzi "la trama di eventi pressoché simultanei" accaduti nel mondo in quell'anno) al loro contesto più adeguato e al loro più vasto significato storico. Il '68 è stato dunque per Ortoleva, che vi ha preso direttamente parte, "un evento storico", di natura "irriducibilmente ambivalente; un punto d'incontro fra molti piani temporali, e fra molte dimensioni differenti". Ortoleva spiega uno dei tratti più sorprendenti e nuovi del movimento - la sua diffusione planetaria - con il ravvicinarsi delle distanze, e il ridursi del mondo a un unico villaggio. Diverse sono state le motivazioni della rivolta, .sostiene, specie tra Est e Ovest, ma sono giunte simultaneamente a maturazione in un processo che tendeva a unificare la rete delle comunicazioni (la "mondovisione") e, in prospettiva, a omologare sempre più le esperienze. Il '68 è impregnato di questo fervore comunicativo, almeno quanto si distingue per il rifiuto di ogni dimensione "geopolitica", come la chiama Ortoleva. "L'idea che il territorio, le sue caratteristiche fisiche, la sua collocazione, potesse contribuire a definire, non diciamo l'identità personale, ma anche la situazione storico,politica di un popolo non poteva che apparire frutto di una logica di tipo positivistico, falsamente scientifico, la razionalizzazione dell'ordine dominante ·con argomenti solo apparentemente 'neutri'.'' ·u rifiuto dei "blocchi militari e politici", la solidarietà verso pÒpoli e Paesi lontani ma sentìti come "fratelli" sono aspetti centrali di questo approccio. E anche l'ambivalente atteggiamento verso le "appartenenze" nazionali o regionali. Il rifiuto del nazionalismo, all'Ovest, era molto forte (di esso erano portatori soprattutto i settori e 1~culture tradizionali, gerarchiche, se non militariste o apertamente reazionarie), e tuttavia si sapeva bene che la ricerca di una dignità e identità e autonomia nazionale era al centro delle (ivendicazioni di popoli a cui il movimento guardava con ammirazione (il Vietnam, soprattutto). In questo sfuggire comunque alla connotazione nazionale, e al sentimento nazionalista, Ortoleva nota l'emergere di una iniziale "identità di specie", forse forzando un poco, con l'ottica di adesso, gli elementi autentici di· quell'esperienza. È forse più appropriata la definizione di identità o consapevolezza generazionale, intendendo una generazione dai confini temporali molto ampi e, in prospettiva, sempre meno legata al solo fattore biologico e anagrafico e sempre più agli stili di vita e ai valori. In realtà, l'idea di generazione e la "scelta di classe" rappresentarono i cardini attorno ai quali · fondare la critica e i tentativi di contrapposizione concreta al "sistema". Era molto, ma non era forse ancora abbastanza, anche perché, ben presto, è stato il secondo fattore - il richiamo alla classe - a imporsi quasi esclusivamente. Quel6 lo del '68, e Ortolevii lo sottolinea, era un movimento di intellettuali che partivano dal disagio della loro condizione e un movimento di giovani, "con l'urgenza di edificare proprie comunità separate e autonome rispetto al mondo adulto". Questi tratti, però, il movimento ha finito per negarseli: li ha confinati ai margini di sé, ed erano invece fondamentali, costitutivi. Si è perciò negato anche una piena esperienza e coscienza di sé. Quel senso di estraneazione che penetrerà nella più parte dei militanti pochi anni dopo - pochi, febbrili, tempestosi anni dopo - fino a confonderli e a smarrirli, ha a che fare con questa rimozione di sé. Nella sua prima e più felice stagione, il movimento del '77 cercherà di riannodare creativamente i fili dell'esperienza politica e dell'identità sociale con la soggettività e la ricerca di un sé generazionale è radicalmente altro rispetto ai modelli dominanti (egemoni anche, nella dimensione del privato e della vita quotidiana, in quel "popolo della sinistra", in quella classe; cui il movimento continuava a riferirsi politicamente e idealmente). Ma è durata poco. Anche in questo caso, il precipitare dello scontro politico, !°'asprezza della repressione, la ricerca della massima efficacia organizzativa sul piano interno, hanno imposto ritmi e modalità di sviluppo al movimento che ne hanno inaridito rapidamente la vena più originale. Di nuovo, e presto, tutto si è fatto politica, ideologia, militanza, quando non militarizzazione. Ma era già la ripetizione, insieme farsesca e tragica, di quanto era accaduto poco dopo il '68. "A partire dalla primavera del 1968, in America, dall'autunno-inverno successivo, in Europa, il delicato equili-
brio fra spinte·centrifughe e spinte ac~entratrici si era rotto: mentre 1~dinamica che portava il movimento studentesco dalla scuola alla società si accompagnava a un ritorno delle forme organizzative tradizionali, e prima di tutto al modello leninista del partito, l'unità originaria si frantumava (più lentamente, e con tempi molto diversi nei diversi paesi) sotto la pressione non solo delle scissioni 'di linea', ma anche dell'emergere di nuovi movimenti, che assumevano la parzialità di una condizione e di un'identità, etnica o di genere, come proprio principio fondante; e che esigevano di differenziarsi rispetto alle strutture politiche urtitarie della nuova sinistra, con la stessa intransigenza, e la stessa esigenza di totale autonomia, con cui la rivolta giovanile aveva praticato il suo esodo dalla società dominante". Cominciavano, insomma, i nùovi e più duri pe(corsi. Itinerari, e persone. La lettura del Saggio di Ortoleva lascia infine una sensazione duplice. Di completezza e di buona sintesi delle principali ragioni, fonti e dinamiche del movimento, ma anche di voglia inappagata di saperne di più e più a fondo, di seguire certi itinerari. Com'erano davvero quelle persone? Cosa volevano? E cosa,hanno fatto, dopo? E ora, invece, come ripensano ad allora e·cosa è vivo di quell'esperienza? Cosa può ancora dirci? È rintracciabile in segni concreti, in modalità riconoscibili e originali anche nei presenti anni di ~ariopinto e benestante conformismo? Immagino sia stata una curiosità, un'esigenza di questo tipo a motivare in Fabrizia Ramondino la decisione di scrivere un romanzo come Un IL CONTESTO giorno e mezzo, storia appunto di una riunione politica di un giorno del '69 e dei suoi protagonisti. La finzione, e il sortilegio, del romanzo consente di indagare zi:mealtrimenti annebbiate, sfuggenti alla ricostruzione storica e che pure si avvertono come essenziali. Anche l'Autoritratto di gruppo di Luisa Passerini sembra rispondere a questo bisogno. E un libro sospeso tra memoria (anche personale) e ricostruzione storica, un racconto corale costruito con interviste a protagonisti di base e a leader del movimento studentesco torinese (fra i quali Guido Viale). Non ha molto a che fare con l'aneddotica del megafono di Capanna, quanto con un tentativo, anche sofferto, certo problematico, di interrogare quegli anni lontani e il loro senso più vero attraverso le domande poste oggi a chi li ha vissuti. Va da sé che sòno anche domande sull'oggi, pur se in tutti questi libri (cioè pure iHOrtoleva e Ramondino) l'oggi sembra come venire allontanato. Di esso questi libri non parlano, malgrado suscitino dubbi e quesiti che riguardano in modo preciso il nostro presente. Un lontano, possibile modello di sintesi tra biografia, tra analisi storica e politica e indagine sul presente, citato anche da Ortoleva nella sua antologia finale di documenti, sono i Dati personali di Hans Jiirgen Krahl, tra i massimi leader del '68 tedesco, insieme soprattutto a Rudi Dutschke (pubblicato sui "Piacentini" e raccolto, con molti altri suoi importanti saggi nel volume Costituzione e lot(a di classe, edito in Italia da Jaca Book nel 1973, libro prezioso e purtroppo poco reperibile). "Vengo da un Land sottosviluppato della Bassa Sassonia" scrive Krahl, "impregnato dell'ideologia della terra" arretrata e "buia" come quella regione. Krahl descrive la sua "odissea tra le forme organizzative della classe dominante" (compresa l'iscrizione alla CbU) fino al distacco e al passaggio "al positivismo logico è, infine, alla dialettica marxist.a", all'adesione all'SDS (dove "ho imparato, per la prima volta, che cosa significa solidarietà: creare forme di relazione che si staccano dall'oppressione e dall'asservimen- • t9 alla classe dominante'') e alla stagione del movimento stu- . dentesco. . Krahl è morto giovanissimo nel 1970. Anche nel breve tempo avuto a disposizione, tuttavia, ha lavorato molto, impegnandosi in particolare nell'analisi delle forme attuali di dominio e di oppressione. Egli ha individuato nella "decadenza dell'individuo borghese una delle motivazioni essenziali della protesta antiautoritaria del movimento degli studenti". La sua ricerca punta decisa a una quova coscienza di classe, che oggi possiamo agevolmente ritenere un po' improbabile e comunque non esauriente. Ma è stata una ricerca precocemente interrotta, come si è detto. Rimangono comunque, sul piano dell'analisi,. degli spunti originali di riflessione, attualissimi ancora, in particolare nel rapporto tra sapere e potere, tra movimento e conoscenza scientifica. È anche, questo, il punto di arrivo di Ortoleva, che con molta efficacia conclude: "Nell'organizzazione sociale del sapere, nella condizione dell'intellettuale, nelle trasformazioni che si stavano verificando nel campo della scienza, gli studenti in rivolta non riconoscevano solo la fonte del proprio disagio e la sede della propria agitazione, e neppure semplicemente un nuovo importante terreno di scontro, ma molto di più ... Nella nuova organizzazione, socializzata e collettiva, del sapere, il '68 intravvedeva (almeno nelle sue espressioni più lucide) una potenzialità nuova di liberazione, non solo per lò strato privilegiato degli intellettuali, ma per tutta l'umanità, e al tempo stesso la possibilità di una oppressione senza precedenti, in cui il dissenso poteva essere soppresso fin nell'interno dell'individuo ... ". Questa problematica è stata poi abbandonata, afferma Ortoleva, man mano che ·pro7
ILCONTESTO grediva la politicizzazione e la divisione in g~uppi del m_ovimento. Ma il tentativo c'è stato e in questo, e 1~conc~us10ne del Saggio, è "il lascito più duraturo" del '68, 11m6v1mento che ha intuito il nuovo stato delle cose e h~ provato_ a cambiarlo nonostante sia stato il movimento d1mass~,?1 c~l~ro che come ha scritto Hans Jiirgen Krahl, avevano 11pnv1legio 'di studiare". O forse proprio per questo. I ragazzi sulla strada Il privilegio di studiare è ?~gi :o~ce_sso a quasi tutti, nel nostro angolo di mondo, pnv1leg1at1ss1mo. Allora non era così vent'anni fa erano ancora molti gli esclusi. Eppure il sens~ della rivolta, della ricerca di forme e valori nuovi della vita e dell'esperienza,-era diffuso in tutte le generazioni più giovani, coetanee di "quelli del '68", anche se escluse dalla scuola e prive di strumenti culturali e di consapevolezza raffinati. I ragazzi sui tetti di Margherçi, narrati da Del Carria, cioè io e i miei amici, una volta scesi non sapevamo bene che fare, sulla strada (che pure era, per così dire, la nostra isola di Arturo). Cosa I?Otevaessere per noi il '68? Porto Marghera è un luogo chiave, perfino mitico, di quella stagione, sul versante operaio. Immersi, però, non certo nella "ideologia della terra" di Krahl, ma senz'altro, e come perduti, in un vuoto d'irrequietezza, seguivamo piuttosto un istinto, non decifrabile con i poveri strumenti della nostra precaria scolarizzazione e della nostra identità sociale sradicata (avevamo alle spalle famiglie migranti, e genitori o fratelli che avevano dovuto improvvisarsi una nuova storia). Certo, intuivamo, sapevamo con certezza, qual era la nostra parte, e non solo nella facile scelta tra operai e celerini. Il '68, e il prima, e il dopo, erano gli operai con le barbe lunghe, coi cappottacci, o in canottiera sulle barricate, nei lunghi scioperÌ e nei cortei della Chatillon, della Scac, del Petrolchimico. Spesso, erano operai cattolici, cislini, perfino democristiani di una risolutezza e durezza politica e di classe inaudite, parenti stretti degli operai "bianchi'; che a Valdagno, nell'aprile del '68, rovesciarono la statua del conte Marzotto, in uno dei gesti più simbolici di quell'anno. Non ci voleva molto a capire perché si ribellavano e perché era giusto salire sui tetti e dietro le barricate al loro fianco. Da bambino, quando vivevamo in due famiglie e mezza nelle quattro stanze di casa mia, avevo visto morire in una luriga e straziante agonia mio zio, soffocato da una malattia polmonare guadagnata in fabbrica. Qualcosa di simile era successa a quasi tutti i miei amici, e anche di peggio. Li sfruttano, li ammazzano, e adesso li licenziano, pensavamo più o meno nell'estate' delle barric.ate. E mandano i celerini in tenuta da guerra. Come non tirare quelle pietre, quelle molotov? Come non accogliere fra noi, su quelle strade, i giovanotti dal parlare fluente e dalle idee chiare - gli studenti? La nostra idea della rivolta, ~ella protesta, somigliava molto a quello che accadeva in un fumetto fra noi "mitico" in quegli anni, un'avventura di Tex Willer intitolata Sangue navajo. È la storià della guerra dichiarata da Tex ai bianchi, nella sua veste di capo dei Navajos col nome di Aquila della Notte, in seguito all'uccisione impunita di alcuni giovarti della sua tribù da parte di un gruppo di bianchi violenti e ben protetti dalle autorità. Tex non uccide nessuno e tuttavia la guerriglia condotta dai suoi Navajos è tremendamente efficace e sbaraglia le truppe inviategli contro fino a costringere le autorità politiche a fare giustizia degli assassini. Ci piaceva, questa guerra vera, combattuta, ma in cui non muore nessuno, si fanno solo dei feriti, dei prigionieri, e la giustizia, sia pure menando un po' le 8 mani, infine prevale. Con questo spirito stavamo nella rivolta, lo stesso che animava le nostre scorribande nei "quartie- . ri alti" o le vendette contro la scuola (intesa come edificio e come insegnanti). Era tutto molto grezzo, elementare, prepolitico. Ma era ànche su questo magma che si muoveva il '68 italiano. Era anche a suo nome che diceva di voler parlare. È un peccato che di esso non vi sia. traccia nelle celebrazioni di quest'anno, e neppure, se non di striscio, nei libri qui citati, per altri aspetti invece molto completi. Dov'è andato quel '68 incosciente di sé, senza "privilegi", mai vincente? Molti, di quei ragazzi sui tetti, hanno continuato a combattere lungo vite di lavori difficili, di impossibili integrazioni; orgogliosi, poco ciarlieri ma spesso allegri, hanno in molti preferito la sfida alle regole e alle leggi. Non s_onodiventati terroristi. Non erano, infatti, dei politicanti verbosi e violenti, capaci di ciarlare per mesi attorno a risoluzioni strategiche e poi di scendere in strada a sparare alle spalle a qualcuno. Erano in~ece dei duri autentici e nella loro durezza s'irrigidiva e assumeva consistenza e durata il disagio, il dolore, la protesta, lo sberleffo di una classe e di una generazione. Hanno agito al di fuori, di lato, della coscienza e della politica. Hanno fatto parlare di sé soltanto nelle cronache nere. Non so nemmeno bene perché, parlando di quegli anni, mi è venuto spontaneo di pensare soprattutto a loro. Con alcuni, siamo perfino acerrimi nemici, ora, sul fronte della lotta alla droga (ma altri, dei più duri fra tutti, autentici guerrieri navajos, combattono sul fronte giusto e in ciò io vedo . il legame con quelle remote barricate, e rivedo i loro volti bambini, non ancora così induriti). Credo di aver ripensato a loro cercando di ricordare gli innumerevoli nomi e volti di altri coetanei, mare e magma sui quali la navicella del '68 .ha navigato. Ma non li ho trovati, si sono dissolti nel tempo, nelle sconfitte, nelle rassegnazioni, nella dissoluzione del paesaggio industriale e della classe, nelle briciole del benessere e del privilegio finalmente concessi. Non verrà, da questi "privilegi", un altro '68, anche se un disagio cova, forse più smisurato e temibile che mai. Non è stata innocente la guerra di chi si è indurito - ci sono stati morti e rotture e guasti irreparabili, non è andata come nei fumetti di Tex. Ma non è stata innocente nemmeno la vita di chi si è subito rassegnato, e sono stati i più, scolarizzati o meno, leader politici e intellettuali di un attimo e ignoti studenti di sempre, ignoti ragazzi fattisi adulti nell'Italia di questi vent'anni. Se adesso ci ricordiamo quasi solo di chi ha lasciato un segno, politico o prepolitico, raffinato o irrazionale, dialettico e articolato o inconsapevole e ruvido, duro, è anche perché la gran folla si è ritratta, si è lasciata scacciare e schiacciare negli angoli. A volte con un senso di sconfitta amaro, ma spesso con sollievo e complicità. Fuori della terra Navajo, nelle città dei bianchi, e senza nemmeno più chiedere· giustizia per il sangue disperso. Autunno In questi primi giorni d'autunno abbiamo saputo di Mauro Rostagno. Parlando del movimento del '68 e dei protagonisti e leader, nel suo Saggio Ortoleva cita una frase di Bob Dylan: ''Chi non è impegnato a rinascere è impegnato a morire". Non è sempre vero. È anzi meno vero, qui, nell'Italia odierna, dove a vivere, magari a vivacchiare con viltà e confort, sempre di più, sembra adatto soltanto chi si impegna a diventare uno zombi.
IL CONTESTO Mauro Rostagno Goffredo Fofi Una vita "esagerata" e una morte esemplare Quasi ogni volta che ho avuto modo di parlare con Mauro Rostagno, ci ho litigato. Affettuosamente, ma anche calorosamente. Con lui si poteva; non era come con altri leader del gruppo cui ero vicino, con alcuni dei quali ero stato in passato, prima del '68, magari più amico. Con quelli bisognava tenersi sulla difensiva, sempre. Erano "i politici", per definizione; e la loro abilità, il loro sentirsi e darsi per capi, anche il fascino che, da questo, e per molti solo da questo, derivava, dal ruolo che si erano assunti, mi sembravano "pericolosi". Non amavano, questo è certo, la critica. E certo non sapevano metterti a tuo agio, se non per qualche loro scopo. Con Mauro, e con pochi altri, era diverso. Mauro era venuto a cercarmi, non so più perché, al Centro· Gobetti dove lavoravo di pomeriggio, a Torino, nel 1963 o forse già . nell'euforico '62. Per parlarmi male di Panzieri e dei Quaderni Rossi'. Era figlio di operai, aveva fatto l'operaio (e forse ancora Io faceva, non ricordo) ed era dèl tipo "sindacalista tozzo", rude classe operaia contro gli intellettuali che in fabbrica non lavoravano, e quindi che ne potevano sapere e dire? Fu la prima lite. Ma poi qualche tempo dopo Io rivedo su un treno, e della lite si ride. Nel '68 era diventato un Ieaderino anche lui, a Trento, e gli scrissi per chiedergli un pezzo per i "Piacentini". Mi rispose rifiutandolo: eravamo troppo intellettuali (ancora!) e Io fece per "Problemi del socialismo". A Trento, dove mi avvenne di andare, miriconobbi piuttosto in Peter Schneider che non in lui o Curcio - ala apparentemente più "libertaria", nella sostanza molto più "partitica". Dalle memorie e dai necrologi dei suoi amici, molti più intimi di me, appare a volte un Mauro di quegli anni più libero di quanto io non ricordi, perché se è vero. che Mauro seppe mantenere sempre una sua Ticonosciuta diversità dentro quella dirigenza, pure ne ~ccettò a lungo le regole e, diciamo, i conformismi. Anche ideologici. Ma Mauro era, vivaddio, un individualista vero, e seppe rimanerlo anche quando la moda era quella del militante innamorato del leader e della Organizzazione, autofustigantesi e santificantesi - di quelli così efficacemente descritti da Reich pronti a rispuntare spesso e volentieri nella storia della sinistra come della destra (oggi per esempio dilaganti in CL). Dell'individualismo ebbe i pregi e i limiti; ma alla lunga - Io abbiamo visto dalla sua morte, che è di quelle morti che illuminano a ritroso un cammino e in qualche modo Io liberano dalle sue scorie e dalle sue transitorie, contingenti contraddizioni - il conto è risultato massimamente all'attivo. La sua faticata libertà ha attraversato più fasi (mai quella dell'autofustigazione) e in essa non so se il periodo di LC sia stato poi il principale, incastrato tra un '68 molto dinamico e un "dopo" non meno delicato di quello dei coetanei, ma certamente più coraggioso e più "estremo": Macondo invece del terrorismo, Io spino invece del farsi, gli arancioni invece del pensiero debole e del "particulare", Trapani invece del giornalismo (o del PSI). Su ognuna di queste fasi - meno l'ultima, la Sicilia era lontana! - Io scontro riappariva. La lite più bella: in un bar di piazza San Cosimato a Roma, per aggredire, io, la figura del militante di ferro e difenderla lui; ma poi, seppi, dette su quel tema battaglia "nell'organizzazione". L'uliima: in una fermata di metrò di Milano, lui vestito all'indiana, e io, sprezzante e coglione: "sottocultura!". Quella volta ci si lasciò un po' male, ma poi Io rividi qualche giorno dopo in Galleria, e ci mettemmo ancora una volta a. ridere, già al sogguardarci da lontano, e ci abbracciammo. No, non ho avuto un gran rapporto con Mauro; Io seguivo a distanza (molti suoi amici, molte sue frequentazioni, ho continuato a non amarli), trovandomi spesso a pensare che ("troppa grazi;:i!") Mauro restava sempre "un esagerato". Anche la sua morte è "esagerata": il risultato di una sorta di strada obbligata in cui si era incamminato forse senza rendersi del tutto conto di cosa comportasse, perché in Italia è sempre molto facile fare (come si fa in pochi con convinzione e in tanti per opportunità di schieramento) i denunciatori di questo o di quello - rimanendo bensì sul piano del generico, "senzà far nomi" o facendo nomi che sono più simboli che nomi, di gente che accetta di buon grado la critica che non Ii tocca immediatamente nell'interesse. Ma non appena "si fanno nomi" in situazioni molto esatte, maggiori e minori, e le si documenta, si ledono gli interessi economici di qualcuno e quel qualcuno reagisce e come! Ha impressionato molto leggere, su "L'Espresso" /quella lettera di Mauro' a Curcio in cui diceva del suo lavoro come di una cosa in cui era ormai trascinato. La conseguenza di una scelta inizialmente forse non così chiara, un seguito di concatenazioni successive derivanti da un primo passo, dapprima quasi inavvertito, ma gravido di conseguenze, sulla via di una verità non estetica e rassicurante, di un impegno non cartaceo, e soprattutto di una collocazione e di un'alternativa molto concreta. Foto di Luigi Baldelli/Contrasto. 9
IL CONTESTO Heidegger e il nazismo innominabile ·. Alfonso Berardinelli Il kitsch della potenza teoretica,, le ragioni del fascino di un ex nazista non pentito su_gliintelle.ttuali italiani già di sinistra. Ci deve pur essere qualcosa negli ex nazisti non pentiti che oggi affascina tanto gli intellettuali di sinistra italiani. Questo qualcosa è lo Stile: la stilizzazione altamente parodistica dell'intelligenza, l'esibizione coerente, sistematica, apatica, senza riflessioni e senza ripensamenti del proprio pensiero come prodotto di un'intelligenza superiore. Il kitsch della potenza teoretica condensata in formule inestricabili e tautologiche. È un fatto che uomini come Ernst Jiinger, Cari Schmitt e Martin Heidegger offrono questo. E sembrano sempr_eun poco (o molto) superiori ai fatti. Non si sono mai pentiti, loro! Non ci hanno mai fornito nessun utile, trasparente resoconto delle loro convinzioni e vicende politiche. Nel '33, il nazismo come "fatto dominante" li ha tremendamente affascinati, attratti e mobilitati. Ma poi, dopo il '45, come "fatto perdente", li ha annoiati ed è parso indegno di considerazioni ulteriori. Provare vergogna era qualcosa che superava nettament~ le possibilità espressive del loro stile. Chi volesse confrontare il grado di lucidità retrospettiva degli ex comunisti e degli ex nazisti, potrebbe leggere uno di seguito all'altro Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler e Ex captivitate salus di Cari Schmitt. È una prova che vale la pena di fare. Nessuno dei due libri è un capolavoro letterario. Ma l'intelligentissimo Schmitt ci fa la figura di un povero furbo molto impegnato a tenere il contegno per non farsi scoprire. Imbroglia, evidentemente. E si mette a recitare perfino la parte dello sconfitto solo perché il regime su cui aveva scommesso non è riuscito a mettersi sotto i piedi l'intero mondo e ha fatto male i suoi calcoli. Grazie ad ex comunisti e scrittori di sinistra come Koestler, Silone, Gide, Orwell e altri sappiamo quasi tutto delle aberrazioni staliniste e rivoluzionarie degli anni trenta. Ma la filosofia del novecento, che ormai è sufficientemente vaccinata contro ~Itotalitarismo comunista, non sembra negli ultimi tempi esserlo altrettanto contro il totalitarismo nazista. Di fatto, quest'ultimo non costituisce problema. È tornato ad essere ciò che sempre è stato: un ingrediente del capitalismo, presente qua e là a piccole dosi, in casi di emergenza, e quindi scarsamente riconoscibile. Ma è piuttosto strano che lo stesso tipo di intellettuali che trovavano plausibile ed emozionante l'affermazione certamente azzardata di Roland Barthes secondo cui "ogni linguaggio è fascista", restino così indifferenti e disarmati di fronte al caso Heidegger e alla connessione (interessante da analizzare) fra il suo Iingua&gio filosofico e la sua adesione al nazismo. E proprio questo l'aspetto che colpisce di più. Dal punto di vista del problema dell'essere, pensato da un filosofo del tipo di Heidegger, l'assassinio; la politica dell'eliminazione fisica, fa guerra come fine ultimo, il genocidio e la sottomis- . sione di altri popoli sono .tutte cose possibili di fatto, non escluse in linea di principio, ma che non possono essere chiamate con il loro nome. Nient'altro che trascurabili epifenomeni, miserevoli accidenti, difficili da percepire per ragioni di incongruità, dismisura o superiorità terminologica. 10 In effetti, il nazismo di Heidegger non è stato molto concreto. Il linguaggio del discorso per l'assunzione del rettorato a Friburgo nel 19~3 è un capolavoro di "doppio gioco" filosofico-politico. I colleghi che lo spinsero ad accettare quel- .la carica dovevano averlo capito: pochi altri sarebbero stati capaci collie lui dì mentire dicendo la verità, di ingannare in piena buona fede. Una vera truffa nei confronti sia degli studenti sia del partito al potere, perché non si capisce mai se chi parla esorta all'essenza della verità o esorta al nazionalsocialismo: "Infatti 'spirito' non è né mero ingegno, né il disinvolto gioco dell'intelligenza, né l'arte di promuovere illimitatamente distinzioni logiche, né la ragione che governa il mondo, ma spirito è decisiope originariamente e consap,evolmente determinata verso l'essenza dell'essere. E il mondo ·spirituale di un popolo non è la sovrastruttura di una cultura, tantomeno l'arsenale in cui vengono di volta in volta conservati conoscenze e valori, che vi entrano e escono continuamente, ma è la potenza che scaturisce dalla più profonda conservazione delle sue forze fatte di terra e di sangue, potenza che provo-. ca la più intima commoziòne e il più ampio sommovimento del suo esserci". (M. Heidegger, L'autoaffermazione dell'università tedesca, Il melangolo, Genova, 1988, p. 23). Mentre Jiinger, Schmitt e Gottfried Benn si rendevano certamente conto (e si capisce dai loro scritti) di quello che stava accadendo in Germania, con Heidegger la questione è sempre più "profonda" e sfuggente. Nel suo linguaggio si possono far capire infinite cose, non dicendone mai precisamente nessuna (e Io dimostra la varietà multicolore degli esiti che l'heideggerismo ha avuto nei suoi numerosi seguaci). In quel linguaggio, non si aapisce più la di-fferenza fra leggere un libro e sparare contro qualcuno, fra uri progetto di ricerca e una dichiarazione di guerra. Rispetto alla propaganda e alla pubblicità, siamo senza dubbio al polo opposto. Ripetitività ipnotica e vuotaggine, però, sono curiosamente analoghe. La controversia che ultimamente si è riaperta dopo la pubblicazione del libro di Victor Farias (Heidegger e il nazismo, Bollati Boringhiéri 1988} e dopo le polemiche di Habermas, potrà anche durare a lungo. Dubito fortemente, però, che almeno in Italia si possa arrivare a un vero chiarimento. Buona parte dei filosofi italiani che hanno oggi fra i quaranta e i cinquant'anni sono più o meho heideggeriani e scrivono su giornali più o meno comunisti e democratièi. Nonostante questo, sembrano vergognarsi di essere considerati culturalmente dei comunisti o dei semplici democratici, e non desiderano altro che di poter mostrare uno stile superiore, che non teme le idee di destra, e anzi le preferisce, senza peraltro tenere conto del legame che le idee di destra possono avere o hanno avuto con una politica di destra. Destra e Sinistra: metafore consunte. E le idee, in politica, contano così poco, tanto a destra che a sinistra. (Per gentile concessione di "Paragone")
MERCATO Libro e spaphetto · alla fiera · d1 Francoforte Oreste Pivetta Senza togliere la mano dal vassoio vedo dal mio orologio che sono le otto e un quarto. Con la destra, alzando lievemente la spalla per distendere il braccio, infilo le ultime figurine di Forattini nella tasca dietro dei pantaloni insieme con il portafoglio. Dal vassoio posso finalmente pescare una fetta di salame, una fetta di formaggio tipo sottiletta kraft, una brioche, un panino al latte, un panino con i semi di finocchio, la marmellata, il burro, la torta. Bevo avidamente il caffè nestlè. Come il vicino di posto, che forse è un manager editoriale, mi strucco con la salvietta alitalia. Ci sono briciole dappertutto e me ne vergogno. Il sedile è piccolo e stretto. Le ginocchia urtano contro la schiena di chi siede davanti. L'aereo infine si abbassa. Dal finestrino piccolo e stretc to intravvedo le grigie foreste tedesche, imbrattate di nebbia, tagliate dalle grigie autostrade e dalle grigie strade, ch·e in Italia sarebbero "provinciali", dove le auto sono quasi rare. Nel bosco occhieggiano le case dei tedeschi. L'aereo imbocca la sua grigia pista. Poi è un attimo, in un taxi grigio sotto la pioggia fitta che ingrigisce ogni· cosa, un albergo, secondo piano, camera con vista su un muro grigio. Un attimo ancora e supero il cancello della Buchmesse: sono un "inviato speciale" alla Fiera del libro di Francoforte, quarantesima edizione, tema "Italia". - Ammetto di non capire nulla. Un collega mi consiglia: cerca il tuo filo rosso. Posso solo· seguire il tricolore, ma la mostra nazionale è in un ambiente blu cupo da far paura. E non c'è mai nulla da mangiare. Riesco appena a sorbire un caffè nero e lunghissimo, fluviale come il Meno, uri caffè che non finisce quassù in gola, ma si sente scendere caldo e ristoratore fin nel profondo del corpo. Quanto basta per accorgersi che non è caffè, che si direbbe acqua sporca, ma è la stessa che sta bevendo Umberto Eco, due metri più in là, in piedi allo stesso luccicante bancone. Si narra che Eco abbia bevuto anche dell'altro, vino, birra, persino liquori ad alta gradazione e che in condizioni proprio poco normali, non potrei dire ubriaco, alterato forse, sia stato visto oscillante nei saloni del Frankfurter Hof e che in tali condizioni abbia concesso interviste, promesso incontri, regalato fotografie. Non so. Si dice. lo Eco l'ho sentito soltanto pagando sei marchi in un salone splendente di.luci, mentre per due milioni di lire rileggeva ad alta voce un suo scritto ed elogiava il romanzo di un altro, Franco Ferrucci, che, confesso, non conosco, ma_che in Germania, dopo tanta raccomandazio- · ne, è diventato famoso e in Italia .è ritornato come "scrittore incompreso". Volubilità della critica. Ma anche lui, Ferrucci, non aveva mirato basso compilando la biografia (o l'autobiografia) di Dio, che un bel momento s'era deciso a inventare la terra e si era innamorato degli animali delle piante e forse anche di Eva. Ma Dio, visto che le cose non giravano, non giravano bene, non giravano come piaceva a lui, aveva deciso di andarsene, la- . sciando solo il povero Ferrucci. Qui, con la scusa di Francoforte, con paterne o paternalistiche sembianze, si intrometteva Eco, che metteva la sua buona parola, con qualche imbarazzo per Ferrucci, diviso tra Dio ed Eco, •con il rischio di confonderli. Per ine invece Eco non è stato che una meteora durata lo spazio di quei sei marchi. Non l'ho più rivisto, non l'ho più sentito, non mi ha telefonato. Ho continuato, senza Dio e senza Eco, ho continuato ad inseguire il mio filo rosso. Mi sono perduto nei corridoi della Halle 4, della Halle 3, della Halle 5, mi sono lasciato trascinare per ore dai tapis rulant (che progetterei dotati di strapuntini), ho bussato alle porte di· una infinità di stands, come bambino alla Fiera Campiònaria ho imbottito borsoni di plastica di depliants, fascicoletti, comunicati vari, ho conquistato gadget metallici, autoadesivi, fosforescenti, mi sono spinto tra i paesi più lontani. Ho raggiunto il Benin, scoprendo a casa che si tratta dell'ex Dahomey, che ospita tre milioni e mezzo di persone. L'enciclopedia non dice nulla a proposito della sua letteratura. Ho soltanto soppesato qualche libro in francese, con le copertine di trent'anni fa. Non hÒ dimenticato la Bolivia, il Botswana, la Costa d'Avorio, lo Zaire, lo Zambia, lo Zimbabwe e il Togo. Ho lasciato questi paesi con il solito complesso di colpa per aver abbandonato là una infinità di pagine importanti che nessuno conoscerà mai, mentre continueremo a leggere Eco, Bradbury, Thurow e i soliti altri. _Ma non è solo colpa mia. Nessuno s'è sognato di far sfi- · lare in passerella gli autori del Benin o dello Zaire. La pa~serellaera invasa invece dai nostri romanzieri e poeti, felici e fortunati, bravi e applauditi, che adesso venderanno moltissimo. Grazie a loro venderemo tutto moltissimo, a cominciare dalla pasta, tagliatelle o spaghetti, che alla Buchmesse veniva presentata acqmto ai libri, infiocchettata però di tricolore e si poteva mangiare ovunque, in tutte le taverne francofortesi. Chi chiedeva un tradizionale piatto di wurstel e crauti con patate fritte veniva rimandaIL CONTESTO to all'anno prossimo, quando la febbre italiana sarà tramontata. In qild giorni invece la febbre · era alta e i tedeschi erano molto contenti. Hanno fatto la fila ad esempio per assistere al gran galà che era stato officiato dalla Rai tv, nel temp~o della lirica francofortese, l' Alte Oper, che è un teatro neoclassico con colonne e scalinate in una piazzà enorme battuta dal vento. La Rai aveva assoldato la Katia, la Vanoni, altre voci d'oro, Branduardi. Non c'era Baglioni, considerato di sinistra dopo il recital con Sting. C'era in compenso Albertazzi, che declamava. Declamava anche Dante, solo che, proprio all'ultimo verso, gli scappava un· · "porco" per "corpo", cadendo come "corpo morto cade". O porço morto'? Non so·più. Pàre che del recital teatral-canoro agli ospiti tedeschi sia piaciuto il banchetto finale, che per un errore di valutazione circa la mia tabella orario di inviato speciale non ho avuto modo di apprezzare. Ho apprezzato, stretto dalla fame e provocato dal çaffè lungo lungo, la focaccina consegnataci al~aconclusfone dell'inaugurazione con i ministri Genscher e Andreotti. Focaccina salata e un po' passata, che qualche autore ha addentato per compiacere i ministri. Andreotti è stato proprio bravo. Ha spiegato che anche i libri sono buoni per conquistar-e i russi, che grazie alla perestrojka potranno apprezzaDisegno di Leo Longonesi. . 11
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