Linea d'ombra - anno VI - n. 31 - ottobre 1988

più tenera età destinato all'orologeria, solenne sacerdote del Tempo, e ad esser posto, ad ogni errore nel mio noviziato, come in quella ingannevole sera ad Highgate, davanti all'esempio ammonitore di mio padre, morto (ahche se il suo nome vive nella gloria, iscritto sul monumento commemorativo a Chatham, l'unico Krepski fra tutti quei· fones e Wilson) alla ridicola età di 21 anni. M a questa storia non riguarda mio padre e neppure l'orologeria. Tutti questi preliminari servono solo a spiegate come mai un giorno della settimana scorsa, in una stanza del secondo piano di un fatiscente ma, come si vedrà, famoso edic ficio vittori~no, io Adam Krepski, sedessi stringendo nella mano, con il sudore che mi colava dal palmo, l'Orologio costruito dal bisnonno che per 170'anni non si era mai fermato e non era mai stato ricaricato. Era, si dà il caso, l'anniversario del mio matrimonio. Una data da ricordare, ma non da festeggiare. Sono quasi trent'anni che mia moglie mi ha lasciato. Ma cosa mi spingeva a stringere così forte quel prezioso meccanismo? · Gli urli. Gli urli che salivano echeggiando per quelle lugubri scale, provenienti dalla stanza al piano di sotto, e che sentivo a intervalli sporadici da parecchie settimane, ma che erano ora divenuti sempre più frequenti. Le grida di una donna, feline, inarticolate - almeno alle mie orecchie, poiché sapevo trattarsi di un'asiatica - indiana o pakistana - esprimenti dapprima rabbia ed angoscia (frammiste in quei primi giorni a quelle di un uomo) ed ora dolore, terrore e inconfondibile urgenza: ed era questo che mi portava a stringere così forte la presa sull'Orologio. L'anniversario del matrimonio. A pensarci bene, il tempo mi ha giocato parecchi brutti tiri... E cosa ci facevo in quell'edificio tetro, semicadente, io, un Krepski, un orologiaio. È una storia lunga e ingarbugliata che forse ebbe inizio quel fatale giorno di luglio del 1957 quando mi sposai. Il nonno (che quello stesso anno compiva 150 anni) vi si oppose sin dal principio. La vigilia del mio matrimonio fu uno di . quei momenti umilianti della mia vita in cui egli invocò la follia di mio padre. Non che Deborah avesse alcuna delle dubbie credenziali della vedova di un direttore di varietà. Era una maestra di 35 anni ed io ne avevo in fondo 43. Ma la tendenza misogina della famiglia aveva raggiunto in mio nonno, a metà del suo secondo secolo, un livello di forte intolleranza. Alla morte della terza moglie nel 1948, aveva smesso di fare l'ipocrita e invece di risposarsi per la quarta volta aveva assunto una governante. Lo svantaggio di questa decisione, si lamentava, era éhe le domestiche bisognava pagarle. La sua visione delle donne era radicata. Vedeva il mio prossimo matrimonio come una caduta irreparabile nel fango di vane brame biologiche e della stabilità fraudolenta offerta dalla riproduzione. Ma si sbagliava. Non mi sposavo per avere dei figli (questo doveva costituire la mia rovina) né per vendere la mia anima al STORÌE/SWln Tempo. Mi sposavo soltanto per avere un altro essere umano, che non fosse mio nonno, con cui parlare. Non mi si fraintenda. Non volevo abbandonarlo. Non avevo intenzione di lasciare il mio posto accanto a lui nel laboratorio Krepski o di rinunciare ai miei diritti sull'Orologio. Ma si .consideri l'onere dei suoi 150 anni sui miei 40 e rotti. Si consideri che dall'età di tre anni, senza aver conosciuto mio padre e avendo conosciuto a mala pena mia madre, ero stato allevato da questo prodigio, già più che centenario al momento della mia nascita. Come non sentire, in forma mitigata, l'oppressione e la frustrazione provate da niio padre? A 25 anni, m'ero già stancato dei suoi racconti insulsi delle sollevazioni polacche del 1830, dell'esilio a Parigi e della l'.,ondra degli anni Cinquanta e Sessanta del diciannovesimo secolo. Cominciavo a capire che, mista alla sua palese misoginia, covava una più generale misantropia - un dispregio per la sorte dell'uomo comune che viveva a stento fino a 70 anni. I suoi occhi (uno costantemente strabico a furia di usare la lente) avevano acquistato una fissità ipocrita ed ottusa. Su di lui, come se un fetore da infermeria ne impregnasse i vestiti, aleggiava un'aria stagnante di malumore, isolamento e, a giudicare dalle sue giacchette lise e dallo sfacelo della casa di Highgate, anche di relativa indigenza. Cosa era divenuto nel corso degli anni il negozio "Krepski & Krepski, Famosi Fabbricanti di Orologi"? Non era più il fiorente laboratorio dell'East End che dava lavoro a sei artigiani e a due apprendisti, quale era stato all'inizio del secolo. Portava i segni dei colpi inferti dai mutamenti economici. La produzione di massa di orologi da polso - un penny al paio - ed orologi elettrici (elettrici!) a buon mercato avevano finito per schiacciare la piccola impresa. A questo va aggiunta la sempre più forte diffidenza naturale del nonno. Anche se la scarsità di denaro non ve lo avesse costretto, egli avrebbe licenziato ugualmente i suoi fedeli operai, gradualmente, per paura che potessero scoprire il segreto dell'orologio e rivelarlo al mondo. L'Orologio poteva prolungare la vita umana ma non quella di un'impresa commerciale. Con gli anni Cinquanta, l'azienda Krepski aveva assunto l'aspetto di una di quelle bottegucce lerce, dickensiane, ancora pr~senti ai margini della City, che portano l'insegna "Si riparano orologi" e che assomigliano piuttosto ad un cadente banco dei pegni cui vecchi clienti portano di tanto in tanto i loro strani, antiquati meccanismi per una "controllatina". Il nonno, a 150 anni, aveva l'aspetto di un settantenne bisbetico, ma robusto. Se avesse lasciato il campo al momento giu0 sto (tra il 1860e il 1870, cioè), avrebbe provato la soddisfazione di lasciare in eredità un'azienda all'apice del suo successo commerciale e di godersi una vecchiaia confortevole. Negli anni Cinquanta, ancora in piena forma, non poteva fare altro che continuare nell'ingrato compito di sbarcare il lunario. Anche se si fosse ritirato ed io fossi riuscito a mantenerlo, sarebbe sicuramente tornato, come un cane al canile, al negozio di Goswell Road. Potete immaginare che sorta di compagno potesse essere un uomo simile in quella bottega angusta e piena di spifferi che vibrava senza posa al rotòlio del traffico della City, o nella casa di 77

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