Linea d'ombra - anno VI - n. 31 - ottobre 1988

L'OROLOGIO Graham Swift D itemi se esiste qualcosa di più magico, sinistro, malefico e insieme consolatorio, di un orologio, e che più di esso · esprima la costanza, e la volubilità, del destino. Pensate al ticchettio dell'orologio che vi sta alle spalle o sul capo, o a quello che vi scruta dal polsino. Pensate allo sconsiderato cinguettio degli orologi al polso delle persone morte. Agli orologi che vengono implorati perché mai registrino sventure e che tuttavia continuaQo imperterriti il loro sussultare; a quelli, invece, supplicati d'affrettarsi perché una sofferenza giunga al termine e che rifiutano caparbiamente di avanzare. Pensate agli orologi che rintoccano adagio sulle mensole dei camini e che hanno su alcuni un effetto rilassante mentre danno sui nervi ad altri. Pensate al celebre orologio della canzone che, alla morte del proprietario, s'arrestò; come un mastino fedele, per non più funzionare. È davvero così straordinario - come accadde ai selvaggi la prima vo'lta che li videro - immaginare in questi ronzanti meccanismi a scatto la presenza di uno spirito, d'una potenza soprannaturale, d'un demone? La mia è, era, una famiglia di orologiai. Tre generazioni or sono, i miei antenati, a causa di persecuzioni politiche, si rifugiarono in Inghilterra; venivano da una città polacca, Lublino, famosa per gli edifici barocchi e per i suoi ingegnosi manufatti, gli orologi. Per due secoli, i Krepski dettero forma agli orologi di Lublino. Si sostiene anche che Krepski altro non sia che forma corrotta del tedesco Krepf e, a percorrere a ritroso la nostra genealogia, si scoprirebbero legami con i grandi orologieri di Norimberga e di Praga. I miei antenati, infatti, non erano dei puri e semplici artigiani. Saranno pure stati uomini miopi, pallidi, seduti in tetre botteghe a contare il denaro guadagnato curando la puntualità della piccola nobiltà del luogo; ma erano anche negromanti, uomini impegnati in una missione. Credevano in modo primitivo, ma incrollabile, che pendole e orologi non si limitassero a registrar<: il tempo ma lo contenessero, filandolo con il loro moto simile a quello di un telaio. Che fossero, veramente, la causa del tempo. Che senza il loro coscienzioso tic-tac, tra presente e futuro non vi sarebbe stato incontro, l'oblio avrebbe imperato ed il mondo, in qualche attimo di autoannichili- . mento, sarebbe sprofondato nelle sue stesse viscere. · Chi guardi ogni tanto l'orologio e consideri il tempo qualcosa di fisso e preordinato, come un calendario, e non quell'energia da cui dipendono i battiti stessi del suo cuore, probabilmente sogghignerà. La fede della mia famiglia non la si spiega con appelli alla ragione. Tuttavia, nel nostro caso, esiste un indizio singolare e decisivo, un innegabile e sacro depositario di prove materiali. Nessuno potrà mai spiegare perché, fra tutti i miei rispettabili antenati, l'eletto dovesse essere proprio Stanislaw, il mio bisnonno. Né si potrà stabilire quale misteriosa congiunzione astrale, quale unione di istinto, mestiere e cognizioni rendessero propizia l'occasione. Ma un giorno di settembre del 1809, a Lublino, il bisnonno fece la scoperta che per l'orologiaio equivale a ciò che l'elisir di lunga vita è per l'alchi74 mista. Inventò un orologio che non solo avrebbe funzionato in eterno s~nza carica, ma dal quale sarebbe stato possibile cogliere, per prossimità e contatto, il tempo stesso, quest'essenza invisibile e tuttavia palpabile, come una sorta di carica magnetica. E questo risultato, almeno, gli appartiene. Le qualità dell'orologio - un grosso orologio da tasca, per la precisione, ché per trai'ne beneficio era necessario portarselo appresso facilmente - non furono subito evidenti. Il bisnonno ebbe però una misteriosa intuizione. Quel giorno di settembre, ·egliscrissenel diario: "Il nuovo orologio, m_elo sento nel sangue, so che è quello giusto". In seguito, ad intervalli settimanali, la stessa annotazione: "Il nuovo orologio: ancora senza carica". Gli intervalli diventano mensili. Quindi, alla data del 3 settembre 1810 - l'anniversario esatto della nascita dell'orologio- la frase: "L'Orologio: un anno intero.senza carica", cui segue la mistica afferll1azione: "Vivre- ·mo in eterno'.'. ., Ma la storia non finisce qui. Sono gli anrii Settanta, ora, mentre scrivo. Nel 1809, il bisnonno aveva 42 anni. Un semplice Gakolo mostrerà che qui abbiamo a che fare con una longevità straordinaria. Il bisnonno morì nel 1900, ali' età di 133 anni, a Londra, orologiaio operoso e ormai affermato. Era allora, tome appare in uno sbiadito dagherrotipo, vecchio d'aspetto sì, ma non decrepito: lo si sarebbe preso per un arzillo settantenne, ancora in piedi e in piena attività. Non morì di vecchiaia ma investito da un omnibus a cavalli, condotto sconsideratamente, mentre s'apprestava, un giorno di luglio, ad attraversare Ludgate Hill. E facile dedurne che l'orologio non conferiva l'immortalità. Riservava forse a chi ne era a contatto un numero imprecisato di anni da vivere; costituiva una difesa contro tutti quei processi per i quali è possibile dire che il tempo ha un suo termine, ma non contro gli incidenti fortuiti. Lo dimostra la morte di Juliusz, il figlio primogenitò del bisnonno, ucciso da una palla di moschetto in Russia nel 1807; e di Josef, il secondo figlio, che morì di morte violenta durante i tumulti che costrinsero il bisnonno ad abbandonare il paese. Ma veniamo a noi. Nel 1900, mio nonno Feliks (il terzo figlio) era un giovanotto di soli 92 anni. Nato nel 1808e avendo tratto quasi immediato beneficio dall'orologio di suo padre, era persino più saldo di membra del bisnonno. E questo, · benché nel 1900 io non fossi stato ancora concepito, posso garantirlo poiché p<!,rlodi una persona con cui ho trascorso gran parte della mia vita e che, a dire il vero, mi ha allevato sin quasi dalla nascita. ' Comunque lo si guardi, mio nonno era il discepolo e l'immagine del padre. Lavorò a lungo, instancabile, nel laboratorio dell'East End in cui insieme con Stanislaw, benché benedetti fra i mortali, s'occupavano giorno dopo giorno degli affari della famiglia. Invecchiando, finì per assumere l'aspetto sempre più sospettoso, grave e piuttosto gretto di suo padre. Nel 1900, egli era l'unico figlio superstite ed erede di Stanislaw, il quale, con mirabile autodisciplina, se _si considera la sua lunga vita, aveva rinunciato a genetare altri figli prevedendo le gelosie e le divisioni che l'orologio avi;ebbepo-

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